JE SUIS LASAGNA: ITALIANI CHARLIE GIÀ DAL ‘300.

di ELISABETTA APPETECCHI ♦

Grande scalpore per le vignette parlanti di Charlie Hebdo: la satira francese ci dipinge male, malissimo, in seguito al terremoto che ha colpito il centro Italia. Si parla di italiani penne al sugo, penne gratinate, lasagne, a seconda del grado di lesioni riportate dalle vittime del sisma.

Per la prima volta gli italiani sentono stridere l’accostamento Italia=cucina: feriti nell’onore in un momento così delicato reagiscono al fuoco con il fuoco. Ma mica quello dei fornelli, quello dei social.

Deve esser sembrato simpatico e geniale ai creatori di queste vignette paragonare una teglia di lasagne ai nostri morti, seppelliti tra le macerie in seguito ai crolli. Peccato che l’idea non sia originale neanche un po’: a voler essere pignoli fu proprio un italiano, Baldassarre Bonaiuti per gli amici Marchionne di Coppo Stefani, a scrivere per primo una cosa simile nella sua Cronaca fiorentina. Correva l’anno 1348:

«La mattina se ne trovavano assai nella fossa, toglievasi dalla terra, e gittavasi laggiù loro addosso; e poi venivano gli altri sopr’essi, e poi la terra addosso a suolo, a suolo, come si ministrasse lasagne a fornire di formaggio».

Parlava di peste e fosse comuni, è vero, ma il principio è proprio lo stesso: risultare dissacranti paragonando la disposizione dei morti alla sacra arte del comporre una lasagna. Ci aspetteremmo pagine e pagine di reazioni a questo tipo di insulto alla memoria dei propri cari. Invece no: nel Medioevo erano consuete cronache dissacranti come questa, altrettanto ricche di umorismo nero.

“Gli uomini del Medioevo sono allenati all’insensatezza della vita: sono abituati a guardare la morte in faccia e a riderne molto più di noi, almeno per esorcizzarne il pensiero”.

Piuttosto che sparare a zero senza mirare, sarebbe preferibile imparare a farlo così bene da evitare con classe il bersaglio, se l’esito può risultare imbarazzante. Se ancora è troppo difficile facciamoci bastare la consapevolezza che a lasagne il primato non ce lo toglie nessuno. E abbiamo saputo riderne – da soli – fin dal ‘300.

ELISABETTA APPETECCHI