SONO CHARLIE, ANZI NO
di LUCIANO DAMIANI ♦
Eravamo tutti Charlie, chi più chi meno, pronti a difendere la libertà di satira, quella che irride alle religioni, ai potenti. ai fondamentalismi ed alla morte. La reazione violenta della mano armata del fondamentalismo ci ha fatto stringere tutti attorno a Charlie, ai suoi morti, alla vita offesa. A dire il vero qualcuno disse che gli stava bene, che non si poteva irridere le coscienze della gente, alcuni si sono pure spinti ad affermare la responsabilità dei vari Charlie rispetto al terrorismo fondamentalista, ma, insomma, non ci si è divisi, solo alcuni hanno preso le distanze, tutti gli altri erano Charlie, convintamente Charlie.
Ma come spesso accade, le cose cambiano, non siamo più Charlie. Charlie chi?. L’occasione, chiamiamola così, senza voler mancare di rispetto, è venuta dal sisma che ha sconvolto il Reatino e dintorni. Senza dubbio una tragedia sulla quale non è proprio il caso di scherzare, ma…., Charlie ci ha fatto una vignetta con vittime vive e defunte organizzate in una sorta di menù “Sisma all’italiana” composto da tre primi piatti, tipicamente italiani. Il titolo “Seisme a l’italienne” (Sisma a l’italiana) ha richiamato alla mia mente lo “spaghetti mandolino” con il quale pare che ancora in Germania ci identificano, salvo rispettarci quando rappresentiamo un “know how”, ovvero quando sappiamo fare qualche cosa, a differenza dell’italico emigrante senza arte ne parte che viene appunto trattato da mangiatore di spaghetti e suonatore di mandolino.
Insomma, “sisma all’italiana”, dunque, richiama la “vergogna” degli edifici pubblici, quelli che erano classificati “sicuri” che invece son caduti rivelando, ancora una volta, il solito malaffare. A me il collegamento è parso subito chiaro, la satira precisa e puntuale a ricordare innegabili responsabilità, non tanto quella degli attori detentori di responsabilità diretta, quanto quella del popolo italiano tutto, quello che fa le cose “all’italiana maniera”, “seisme a l’italienne”, ovvero con un mix micidiale di superficialità, interesse privato, ignavia e fatalismo. Ma noi siamo italiani, e tutte le donne sono mignotte tranne mia madre e mia sorella, per cui, col sangue all’occhio, ci siamo in molti scagliati contro Charlie, qualcuno è arrivato anche a dire che “bene hanno fatto ad ammazzarli”, il tutto corredato da cori di parolacce ed improperi diffusi in quantità sui social. Poi ci sono coloro che se la sono presa col popolo francese tutto, così come, a seconda del tema del giorno, se la prendono con i tedeschi, con gli americani e alla via così. Qualcuno, pochi in realtà, hanno provato a far presente che alla satira, dei morti, non frega nulla, non è mai fregato nulla, anzi spesso è proprio la morte oggetto di irrispettosa dissacrazione, di mancanza di rispetto, così per le religioni, le istituzioni ecc..
Insomma, Charlie Hebdo, sorpreso dall’italica reazione, pensando che la vignetta non sia stata capita, ha dovuto produrne un’altra esplicativa, per dire che le case non le ha fatte cadere il terremoto ma la mafia. Ce lo sapevamo, verrebbe da dire, ma la satira transalpina ci ha messo di fronte alle nostre responsabilità di popolo. Molti hanno però fatto finta di non capire ed hanno accusato Charlie di speculare sulle disgrazie di una popolazione farcendo delle lasagne con i corpi dei terremotati. Io, come italiano, piuttosto di lanciare invettive mi vergognerei. Invece le reazioni, a parte coloro che proprio non l’hanno capita, sono quelle tipiche del marito che si ritiene l’unico in diritto di dare della puttana alla moglie, l’italiano, spaghetti mandolino, può tranquillamente parlare di mafia lanciare accuse a politici ed amministratori, ma guai se chi lo fa è uno straniero, peggio se fa uso di strumenti come la satira. E così avviene che una moltitudine di Charlie Hebdo nostrani si sono tolti la maglietta con la scritta “Je sui Charlie Hebdo”, e lo hanno fatto con la stessa superficialità con la quale l’hanno indossata. Charlie chi? Ma chi ti conosce!?!?!?
Qualcuno dice che lo scopo della satira è quello di far ridere colpendo i potenti. A me pare riduttivo assai, credo piuttosto, che il suo mestiere sia quello di incalzare contraddizioni, difetti, e negatività di ogni tipo senza rispetto alcuno, e non potrebbe essere altrimenti. Credo che noi, come popolo, ci dovremmo in qualche modo sentire responsabili di quello che non va in questo paese, compresi i morti che non sarebbero morti, se solo avessimo fatto quello che dovevamo.
Lungi dal pensare che gli altri popoli siano esenti dai difetti, credo sia necessario che noi siamo sinceri con noi stessi e che ci si debba riconoscere delle responsabilità che forse troppo spesso abbiamo riversato su altri, del resto è pur vero che la mafia non può fare tutto da sola, ha bisogno di una pletora di conniventi e di gente che chiude gli occhi, si tura il naso e si tappa le orecchie. Forse le tre scimmiette sono italiane e anche loro non conoscono Charlie.
LUCIANO DAMIANI
E’ una vignetta malriuscita, sostanzialmente cretina, prima ancora che irrispettosa, quindi, prima ancora di una condanna morale, merita l’esclusione dall’albo della satira.
Ma altrettanto cretine sono le reazioni di chi, in parlamento, chiede spiegazioni e scuse alle istituzioni francesi e cretinissime queste che si affrettano a precisare che Charlie Hebdo non rappresenta i sentimenti del popolo francese né tampoco la posizione del governo. Ma guarda un po’..
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Condivido la caratterizzazione dell’Italiano medio di fronte ai discorsi che si fanno sulla Bella Italia all’estero. Personalmente, non ho mai apprezzato nessuna vignetta di Charlie Hebdo ma, come direbbe Evelyn Beatrice Hall (Voltaire per il gran popolo), darei la vita perché possa continuare a produrne senza paure. Ed è solo da questo che nasce il “Je suis Charlie”, per cui è ancor più legittimo, dopo essersi dichiarati Charlie, prenderne le distanze. Meno legittimo è giustificare, dopo esser stati toccati nell’intimo, la strage di gennaio 2015.
E allora, a leggere insulti d’ogni sorta verso i francesi (come se poi C. Hebdo rappresentasse tutta la Francia!) e addirittura pentimento per la solidarietà dimostrata nell’ultimo terribile anno di Parigi e Nizza, vien quasi da pensare che, forse, nel secolo dei Social e del volubile pensiero orizzontale, non valga più tanto morire perché ognuno possa esprimere la propria idea.
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Mi associo alle parole di Ettore. Posso accettare anche l’humor macabro, ma qui manca l’humor e rimane solo il cattivo giusto. Non scomoderei archetipi nazionali ed eredità culturali. Certamente però esiste un’antica inclinazione francese a “épater les bourgeois” costi quel che costi così come, simmetricamente, noi italiani tendiamo più all’autodenigrazione che all’autocritica. Su stereotipi e pregiudizi etnocentrici potremmo aprire una discussione sterminata. Colpiscono tutti e sarebbe interessante qualche volta ricostruirne la genesi e spiegarne la persistenza, apparentemente anacronistica, nel tempo della globalizzazione.
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Io ho trovato la vignetta in puro stile CH i quali non hanno risparmiato neanche i loro morti, vedi quelle su Nizza. Ha inoltte il merito di aver aperto un dibattito sulle nostre colpe e poi trascendendo un colto e interessante discorso sulla ricostruzione ( vedi sulla mia pagina facebook i post dell’arch Luigi Prestinenza Puglisi sul kintsugi )
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Ho letto il “pezzo”; e l’ho letto per così dire con serietà, perché – seriamente – parlava di satira. A seguito delle famigerate vignette ci si imbatte, in questo universo vagante che è facebook, in reprimende indirizzate a charlie hebdo, con accuse di ipocrisia a coloro che solidarizzavano con i vignettisti barbaramente trucidati da un commando pluriomicida, là dove (adesso, che se la sono presa con l’Italia) quegli stessi autoproclamatisi “charlie” prendono le distanze. Non è il caso dell’articolo di Damiani, lo dico subito a scanso di equivoci. E tuttavia rappresenta una buona occasione per riflettere un po’ sul tema, occasione che mi permetto di cogliere, ringraziando chi me la offre: lo stesso Damiani e Spazio Libero Blog . Dunque: difendere il formale – e per formale s’intenda qualcosa come categoriale, principiale, indipendente da … – diritto d’espressione è dal mio punto di vista doveroso. Non dissi di essere Charlie, perché trovai francamente di pessimo gusto le loro vignette, compresa quella disgustosamente anticristiana, oltre a quella altrettanto disgustosamente antislamica; ciò non toglie che essere cafoni e superficiali è un diritto (non certo un dovere: sia chiaro!). Perciò non vedo alcuna contraddizione: solo confusione: se uno viene ammazzato perché cafone e superficiale sono solidale col suo diritto di esserlo, senza che ciò comporti che diventi cafone e superficiale pure io! Al di là di ciò: fare black humor è un’arte sottilissima, arte che a questi nostri interlocutori è mancata, nella fattispecie. Anzitutto: non liquiderei il tema del bersaglio; d’accordo, l’obiettivo non erano certo i morti del terremoto (ci mancherebbe altro!), ma l’Italia come tale: ma è proprio questo che non è accettabile. Non lo dico per via di un rigurgito di patriottismo di rincalzo, ma per una ragione molto semplice, che attiene – io credo – all’essenza stessa della satira. Ossia: la satira colpisce il potente o il costume diffuso. Esorcizza ed irride la morte, volendo suscitare una riflessione attenta sulle contraddizioni della vita: è nella sua natura farlo. E però: irridere la morte, capovolgerne il senso, è lo strumento col quale si cerca il paradosso, si ricostruisce una sintassi concettuale inedita, altrimenti non occorre certo prendere una lasagna umana e sbatterla in faccia al lettore. In questo caso cosa è successo? Semplicemente, facendo poco sforzo di comprendonio, e ancora meno ricerca stilistica, s’è assunto un patetico, frusto, vieto, trito, penoso luogo comune e s’è tentato – con risultati ridicoli, e cioè involontariamente comici – di elevarlo allo status di presunta ed acuminata lettura critica del reale… Diciamocelo francamente, è ben poca cosa. Quanto al tema della libertà, pensare che essa coincida semplicemente con l’arbitrio – o per meglio dire: la licenza – di insolentire chi si vuole, è una idea troppo miserabile, per essere presa sul serio
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Infatti il topic del mio articolo non era la questione di libertà, ma il repentino spogliarsi di quella maglietta di Charlie indossata da tanti altrettanto rapidamente. Credo che sia un problema connesso alla rapidità dei media, o meglio la ristrettezza temporale nella quale gli eventi rimangono a fuoco. Ci rimangono talmente poco che, per essere presenti, in questo mondo nel quale la presenza pare sia tutto, non ci prendiamo più il tempo per riflettere. Lo vediamo quotidianamente nei social, basta lanciare una cosa che subito si trovano nugoli di persone che la fanno propria o che l’avversano, non a ragion veduta ma abbracciando la tesi che piace. E così eravamo Charlie ed ora non più. Così come rapidamente ci si toglie o si indossa una maglietta, senza nemmeno chiedersi perchè o percome. Come abbiamo visto c’è voluta la spiegazione, date le reazioni assolutamente impulsive, non meditate ed a volte violente. Mi viene in mente un Ministro della Repubblica che si è lasciato andare ad una espressione non proprio signorile. A dirla tutta non amo i francesi, per l’esperienza, scarsa, che ho, ma ciò non può farmi identificare in Charlie un popolo, per quanto mi o ci possa stare antipatico. Riguardo ai luoghi comuni, è evidente che hanno una loro ragion d’essere, come altrettanto evidente è l’uso speculativo che spesso se ne fa e che fan tutti ma non si può negare che abbiano un loro fondamento come non si può negare che con il tempo i popoli cerchino di disfarsene, magari a fatica. Finisco aggiungendo che solo viaggiando e scambiando esperienze si può capire fino a dove il luogo comune abbia valenza e fino dove arrivano le radici che ne sono all’origine. Noi stessi, italiani, ne facciamo grande uso riferendoci agli altri popoli, magari per giustificare, rispetto alle qualità altrui, le nostre debolezze. L’esercizio dell’autocritica propedeutica al miglioramento credo sia fondamentale se si vuole uscire da certi pantani, senza fare esercizio di autolesionismo, che sarebbe deleterio ma mettendo a fuoco il positivo separandolo dal negativo. Ma questo con Charlie poco ci azzecca.
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Vero, la libertà non è semplicemente questione di arbitrio, la libertà secondo me è uno stato della persona, talmente prezioso, e spesso raro, che se ne dovrebbe fare un uso più che attento e prudente per non perderlo. Attenzione e prudenza però non sono compatibili con la satira, la satira graffia, fa male e ti sbatte in faccia le contraddizioni. Ne scende che accostare la satira alla libertà è un esercizio piuttosto difficile e pericoloso, difficile immaginare dove il discorso possa portare. Altrettanto vero è che Charlie ha fatto facile uso di un “luogo comune” vecchio stereotipo dell’essere italiano, ma mi permetto di puntualizzare che il topic dell’articolo era il repentino spogliarsi della maglietta di Charlie, altrettanto repentino quanto lo è stato l’indossarla.
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