Er sòrdo ‘n bocca

di SILVIO SERANGELI ♦

Fra gli scaffali con le centinaia di videocassette dell’archivio di Telecivitavecchia ho ricavato uno spazio per collocare quello che, per me, significa, non solo simbolicamente, l’inizio del nostro impegno per il recupero della memoria storica della bella e d’incanto che prese il via all’inizio degli Anni Ottanta. È una riproduzione, fra quelle esposte alla mostra alla Festa dell’Unità dell’82, curata da noi di TRC con l’indimenticabile Umberto Mazzoldi, gelosamente conservata con la cornice originale da Maurizio Colaiacomo che l’aveva sempre tenuta nel suo “torrino” di via Prampolini, nel piccolo abbaino che era la sua sala di montaggio. È la stampa in grande di una foto Alinari degli Anni Venti-Trenta, virata a seppia, che si trova anche nel formato cartolina. Perché tanta cura e attenzione? Per me è uno spaccato di vita unico che, come tante fotografie in bianco e nero, con un semplice scatto racconta tante cose. Intanto c’è la Calata con alcune piccole imbarcazioni a vela che fanno da sfondo al bacino portuale, stretto e disordinato; c’è la città che si affaccia sul porto: la Rocca, il campanile della chiesa di Santa Maria, il Fontanone. Tutto un po’ alla meno peggio, compresi i casamenti che si affacciano sulla merlatura. Sembrano incollati lì, alla rinfusa, senza un ordine preciso. E poi c’è, in primo piano, il piccolo specchio di mare, la concolina piena d’acqua, che lambisce alcune barchette legate all’ angusta banchina che tocca quasi le pescherie. L’immagine centrale, il quadretto, costruito dal fotografo dei fratelli Alinari, uno del mestiere, è costituito da un guscio con a bordo un’intera famiglia, in bella posa. Il barcarolo ai remi, padre e figlio con il capello della domenica e le donne vestite da giorno di festa: tutti a fissare l’obiettivo. A ravvivare l’immagine, a renderla più vera, ci sono, subito davanti alla barchetta, dei ragazzini che fanno il bagno, vicino ad alcuni scogli: giocano, schizzano, anche loro sorridenti verso la macchina fotografica. È questa la città di sempre con il suo popolo, è questo il porto, e il mare nostrum.

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Quei ragazzini sono gli stessi gamins che i viaggiatori dell’Ottocento raccontano di aver visto tuffarsi, nudi, per recuperare fra i denti le monete lanciate dalle imbarcazioni dei curiosi visitatori. Un gioco, un accattonaggio che, mi racconta il vecchio amico macellaio Angelo, faceva anche lui, prima della guerra, sempre nelle acque del porto, sfuggendo con abilità all’attenzione di qualche guardia che, bonariamente, lasciava fare. Il bagno di mare, al porto, vicino ai postali per la Sardegna, come ho visto fare ancora negli Anni Sessanta, e poi il tuffo nel Funtanone per risciacquarsi, facendo molta attenzione a non scomodare la Principessa, che teneva la pescheria a due passi, e ti correva dietro con la scopa. Il mare, la stagione dei bagni, del ritorno a galla, come tanti sugherini, come tante alghe, delle polemiche e delle litanie. Leggo l’appello di un gruppo di cittadini, magari di un comitato: “Ridateci il Piccolo Paradiso !” Protestano perché, dicono, è stato rimesso a nuovo, ma non è ancora aperto al pubblico. Nessuna novità: il mare nostrum, da sempre, è un po’ raccogliticcio, come tutto il resto, da accontentarsi, da bandiera grigiolina più che blu. Ci vuole pazienza, tanta pazienza, e sapersi adeguare, accontentare. Del resto il mitico Pirgo con l’aggiunta dei Ferrovieri nel dopoguerra non vantava forse il molo del fognone, prodigo di abbondante pastura per i cefali, puntualmente pescati da canne sapienti? E la Marina di quando ero ragazzino non era una stretta lingua di sabbia con i binari incombenti sulla ripida salita di sassi? Per anni, come molti altri bagnanti di città, ho sguazzato al Pirgo, prima e dopo la ricostruzione epocale, fra i cartelli di divieto. Tanto il mare era quello, e quello rimaneva, prima durante e dopo le ordinanze. Dicono, in questi giorni, che al Pirgo ci siano le alghe. È scattato un vero e proprio allarme a mezzo stampa, e i bagnanti, che fra le alghe ci hanno fatto l’osso, educatamente replicano: “ecchissene…, sennò dove annamo a parà?”. Le altre spiagge e mozzichi di mare che andavi a cercare alla Buca di Nerone, alla Mattonara, da Caravani, perfino al Turchetto a quattro passi da piazza d’Arme, quei pizzichi di costa sono stati cancellati dalla Clasa e compagnia bella. Rimanevano Grottaurelia e l’Ideale. E andava bene così, a piedi, da casa, dal mercato. Tanta pazienza, nessun vittimismo, basta spostare l’asciugamani un po’ più in là, fino a che c’è posto. Magari a Sant’Agostino che, ironia, è nel comune di Tarquinia. La spiaggia dorata che, quando scatti qualche foto ricordo dell’indimenticabile domenica d’agosto, ti accorgi che intorno ai bagnanti più che sabbia c’è monnezza. Pessimismo? No. Siamo abituati alle sangozzate. Prima o poi il fluido stellare rimetterà tutto a posto, anche il Pirgo già vecchio e rugginoso, e riaprirà il Piccolo Paradiso. Forse un nome troppo altisonante per noi abituati al peggio. Meglio Piccolo Purgatorio.

SILVIO SERANGELI