Ho conosciuto una città diversa
di FABRIZIO BARBARANELLI ♦
Ho conosciuto un’altra città, una città con un mondo del lavoro vigile, pronto, capace di esprimere attiva solidarietà in ogni circostanza e verso qualsiasi causa ritenuta giusta.
Una città che in ogni segmento della sua vita politica, sociale, culturale, esprimeva il meglio di sé e che alle sue direzioni, a partire dalle istituzioni, riconosceva autorevolezza.
Una città che sulle questioni di fondo e nei momenti eccezionali sapeva unirsi al di là delle barriere ideologiche e delle divisioni sociali.
Una città in cui si esprimevano le tendenze dell’epoca, talvolta persino anticipandole.
Non si tratta delle facili nostalgie per il tempo che fu, dei miti del passato, ma l’autentica rappresentazione di una realtà che molti di noi hanno vissuto e della quale sono stati partecipi.
Così fu per le iniziative e le proposte per lo sviluppo dell’Alto Lazio, così nei momenti di attacco alla democrazia, così per le tante emergenze, così per la difesa dei valori e dei principi e per le battaglie contro i poteri forti a cominciare dall’Enel, così fu – perché non citarlo? – per la visita del Papa il 19 maggio 1987 in cui si espresse con particolare forza la comunità, una comunità con i suoi tanti difetti, ma una comunità.

19 marzo 1987 – la visita del Papa a Civitavecchia
Si dirà che i risultati sono stati deludenti. Può darsi, se si prescinde dai punti di partenza. Se non si considera che solo settanta anni fa la città fu distrutta dai bombardamenti e che si è dovuta fare una opera straordinaria per la ricostruzione.
Si poteva fare meglio. E’ possibile. Ma i processi alla storia fatti nella tranquillità dei salotti o nel vociare dei caffè sono fin troppo facili.
Poi un lento declino ha portato la città a smarrire identità, unità, solidarietà. Persino le possibilità di dialogo si sono perse.
Ognuno per sé, ogni gruppo arroccato e chiuso nei suoi egoismi, nelle sue postazioni, nel potere o contro di esso.
Alla lotta politica anche vivace si è sostituita l’invettiva, la vendetta, l’uso strumentale della magistratura e di tutto ciò che può colpire l’avversario.
E sui social impazza troppo spesso il disprezzo, la denigrazione, l’ottusità dell’insulto che offende la dignità degli interlocutori.
Al tentativo di dialogo si risponde con il sarcasmo dell’ignoranza, con la battuta che ferisce.
Un processo involutivo che riguarda il paese ma che si esprime con le sue forme specifiche nella nostra città.
Si possono ricostruire le tappe di questo processo per capire le trasformazioni intervenute nella società e nell’economia, nel tessuto culturale e nei valori?
Si può tentare di capire per risalire?
Gli input che giungono dal Comune non sono incoraggianti. C’è nei nostri attuali amministratori una visione chiusa e miope di arroccamento, di separazione netta della società che è la negazione dell’idea di comunità.
E’ la miopia di coloro che pensano o fingono di pensare che fuori di loro il mondo sia da condannare. Una forma di integralismo che interrompe ogni comunicazione, ogni dialogo, che disprezza ogni memoria, ogni continuità della storia. Come nei regimi: i regimi vivono e si alimentano anche di questo. Da un lato i buoni che sono poi per lo più carnefici, dall’altro i cattivi, i reprobi, che si identificano spesso con le vittime.
Sarebbe interessante ripercorrere la storia di questi ultimi cinquanta anni, capire le trasformazioni intervenute, i personaggi che nei vari segmenti della società hanno espresso una presenza attiva.
Ho personalmente conosciuto nel mondo del lavoro in particolare, ma non solo in esso, persone straordinarie che hanno dato contributi importanti alla crescita della città e che ci hanno insegnato l’altruismo, la politica come spirito di servizio, il sacrificio per l’interesse collettivo.
Il fatto che la società abbia preso strade diverse da quelle da loro auspicate non può indurre a dimenticarli. Così per le tante battaglie di questo mezzo secolo che in questa stagione dell’oblio rischiano di essere oscurate facendoci ulteriormente perdere il senso di ciò che siamo, della nostra identità.
Se solo riuscissimo ad avere su queste pagine testimonianze sia pure parziali e settoriali di questa storia potremmo dare un contributo che consegnerebbe forse più chiare le possibilità di uscita da una strada che oggi sembra senza sbocchi e rilanciare una progettualità, un’idea di città che mai come oggi sembra necessaria quanto del tutto assente.
Vogliamo tentare una ricostruzione collettiva delle tante vicende che hanno caratterizzato il nostro recente passato prima che tutto si oscuri e se ne perdano persino le tracce?
Esisteva una città diversa, facciamola riemergere dalle macerie dell’oggi, non certo per riproporla, ma per trarre da essa elementi importanti per tracciare il futuro.
Fabrizio Barbaranelli
N.d.A. – La foto del titolo: 12 gennaio 1973 – Sciopero generale per lo sviluppo dell’Alto Lazio. Un imponente corteo percorre le strade cittadine.
Credo che l’analisi ( interessante ) si possa estendere alla società nel suo complesso.
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Dal mio libro “Bracciano, una città, un partito. Dal migliore dei mondi ad un mondo migliore”….alcune volte il palco non era ancora pronto, qualche problema con le luci, le prove del microfono, c’era poca gente, poi improvvisamente tutto era pronto, la piazza si riempiva, tutti parlavano con la stessa scaletta e poi…via verso la tappa successiva. A notte fonda eravamo tutti stanchi ma certamente soddisfatti, anche se in quelle elezioni Antonio non fu eletto deputato, ma non fu un dramma, sapeva anche lui che quello della Camera era un collegio difficilissimo, contrariamente al collegio del Senato che era ritenuto un collegio sicuro e per questo fu imposta dall’alto la candidatura di Cesare Salvi, mentre la Federazione di Civitavecchia aveva proposto la candidatura di Fabrizio Barbaranelli, per tanti anni sindaco di Civitavecchia e figura storica della sinistra del nostro comprensorio, quelli di Civitavecchia non la presero bene e avevano ragione”.
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Emozionante ritrovarci in quella foto di anni lontani. Importante tornare con la memoria ai nostri “luoghi del tempo”. Senza sterili nostalgie o puerili invettive. La logica noi/loro, amico/nemico mina dalle fondamenta la comunità, qualsiasi comunità. Sarebbe bene che lo capissero quelli che si candidano a governare.Con l’infantilismo settario di un perenne stato nascente non si costruisce altre che risentimento. Specie quando si fa tanta fatica a superare la prova pratica del governo.
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In consiglio comunale sedevano figure note e stimate del mondo del lavoro, della cultura che esprimevano esigenze e visioni diverse, ma rappresentavano adeguatamente la città nel suo complesso. E la casa comunale era veramente una casa.
Ho il sospetto che l’elezione diretta del sindaco abbia avuto, per molti aspetti, conseguenze negative.
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Sono convinto caro Ettore e lo sostengo da molto tempo che l’elezione diretta del Sindaco non solo non abbia raggiunto lo scopo della stabilità del governo locale (e a Civitavecchia ne abbiamo testimonianze evidenti) ma abbia anche avviato quella fase della personalizzazione della politica
che tanti guasti ha prodotto e produce. Ma di questo dovremo tornare a discutere con una riflessione più attenta
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sì, sarebbe opportuno tornare sull’argomento
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Ricordo una città benevola con noi giovani di allora. L’appartenenza, una radicata solidarietà anche per il solo fatto di essere concittadini. Oggi invece abitiamo una città sempre più anonima, in cui il senso di comunità è pressoché assente, in cui anche i rapporti di prossimità sono deboli, apparentemente impossibili da tessere, da riannodare. E le persone sperimentano quotidianamente il sentimento della solitudine, la debolezza dei legami sociali, la fragilità del social network inteso come rete fisica e non virtuale …
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Caro Fabrizio,
Sono approdato a Civitavecchia il 12 maggio 1980. Giovanissimo medico ortopedico alla corte del Prof. Roberto Fati, Maestro di medicina e di vita. Ci sarei dovuto rimanere sei mesi, il “tempo di farmi le ossa” e poi ritornare all’ovile del CTO a Roma. Da allora vivo a Civitavecchia. Ho avuto il grande onore di conoscere Te e persone come Nicola Porro, al quale mi lega un grande affetto come per Te e tutti i Compagni di una stagione irripetibile. Nel 96 lasciai professionalmente Civitavecchia per nuove sfide di Carriera. Il 1 novembre andrò in pensione dal pubblico, ma non dall’università, impegno relativo e mi rimetterò in gioco per la mia città. Non farò Cincinnato. Amo troppo Civitavecchia.
Un abbraccio
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Vedo la scomparsa della solidarietà, scalzata dalla cultura del sospetto e dalla convinzione che la politica sia un esercizio di furbizia e non un impegno per un comune miglior futuro.
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Negli anni 70 facevo parte dei movimenti studenteschi e con gli studenti di tutte le scuole della città ho manifestato e partecipato a gomito a gomito con i lavoratori alla ricerca di soluzioni per grandi temi sociali e per problemi specifici della città. Ricordo il fervore ,il confronto le grandi discussioni tutti insieme desiderosi di dare il meglio di noi stessi. “Noi “questo era il nostro pronome preferito, un aggregante scomparso sostituito da una logica settaria ed inquisitoria che sempre più divide. Costituimmo la “consulta giovanile” e sedevamo come studenti i banchi del consiglio comunale per dare il nostro contributo che veniva ascoltato dagli amministratori di allora persone semplici che ascoltavano la voce dei giovani. Parlavamo, ascoltavano ,discutevamo, tutte attività che oggi diventa urgente ripristinare
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