CIVITAVECCHIA E LA SUA VISIONE

di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦

E’ un esercitazione fin troppo facile quella che trova realizzazione nella “parte distruttiva” a proposito dei problemi della nostra città.

Spazio Libero ha accolto in abbondanza pensieri articolati su questo tema. Più arduo tracciare qualcosa sulla “parte costruttiva”.

Recentemente la nuova nata Associazione “Vision 2030”ha esordito tentando di costruire una strategia del possibile per la città. Le osservazioni che seguono vanno lungo la traccia impressa da questa Associazione che ha dato luogo ad una serie di contributi che tenterò di inserire nell’insieme del mio discorso.

Civitavecchia (come altre realtà) soffre di una crisi di cittadinanza!

I sintomi di questa crisi sono ravvisabili nei seguenti: scarsa coscienza identitaria del luogo, (Tullio Nunzi ), brama distruttiva ovvero, in luogo di una positiva “distruzione creatrice” una sorta di storica maledizione che impedisce l’azione del secondo momento, la creazione ( Roberto Melchiorri).

Le cause della crisi sono, a mio parere, le seguenti: una bassa energia civica (scarsità di capitale sociale, cioè di reti relazionali; concetto sul quale si è soffermato con autorità Nicola Porro in questo blog), rapporti di potere ancora fortemente caratterizzati dal rapporto patrone-cliente.

Che cosa fare?

A me sembra, per quel poco che ho potuto leggere dai resoconti stampa, che la giornata di lavoro di “Vision 2030”abbia tentato di porre le basi per qualcosa che potremmo titolare come “fare società locale”.

Un termine , questo, che richiama un concetto a prima vista banale ma che si rivela, ove approfondito, molto complesso: il territorio”.

Un immediato chiarimento: il territorio non esiste come fatto naturale!

Il territorio è il frutto storico di una relazione sociale, economica, politica di una popolazione con il suo ambiente naturale.

Il territorio è tre cose insieme.

E’ il sistema sociale e culturale messo in piedi dagli abitanti. Abitare una città non è la stessa cosa che risiedere, che essere cioè un “attore muto”. E’ la “cultura del fare”( Luigi Landi). Un progetto locale degno di tale nome deve, allora, garantire una sostenibilità sociale e culturale. Questo significa autorganizzazione , una sorta di “patto di una pluralità di attori tesi alla ricostruzione della “municipalità”( di cui l’apparato amministrativo è solo un momento): i residenti devono farsi “abitanti”, attori parlanti, dotati di energia civica ( i “tavoli di lavoro” sono un principio utile di questa visione).

In secondo luogo, il territorio è il sistema economico. Un progetto locale deve garantire la sostenibilità economica. Le scelte , le grandi scelte sono state, fin qui, “paracadutate”. Scelte esogene, certamente da accettare, ma che hanno espropriato la decisionalità cittadina in merito alla modalità di avviamento degli investimenti o del controllo sulle ricadute ambientali.

Civitavecchia non potrà mai essere provincia! Ma se l’aspetto formale del sogno si è vaporizzato rimane valido (eccome!) l’aspetto sostanziale. La città è un centro di attrazione socio-economico rilevante. L’area di gravitazione è vasta. Come tutte le aree di attrazione territoriale la forza è inversamente proporzionale alle distanze ma è direttamente proporzionale alla massa attrattiva (porto, industrie, commerci, tribunale, sanità cultura, spettacoli, viabilità, turismo…). Necessita, dunque, rafforzare questa massa ( Augusto Battilocchio, Alessandro Priori)

In terzo luogo, il territorio è la natura, l’ambiente naturale. La sostenibilità ambientale è la terza sostenibilità. Dobbiamo fare molta attenzione nel distinguere due concetti: un conto è il patrimonio come valore, un altro è il patrimonio come risorsa ( economica, turistica…).Il nostro territorio, inteso in senso di area vasta, può e deve essere considerato risorsa a disposizione ( una risorsa certamente rilevante), ma non potremmo pensare di appiattire il patrimonio sul concetto di risorsa rischiando azioni dissipative in luogo di azioni conservative anche in funzione delle future generazioni (Alessio Pascucci, Francesco Serpa, Patrizia Esposito).

Penso di aver interpretato il senso della giornata di lavoro dell’Associazione “Vision 2030”. Ho aggiunto a quelle osservazioni il tentativo di una prima, approssimativa sistematicità.

Un tentativo che, spero, sia solo l’inizio di un proficuo lavoro collegiale in termini di pars costruens nei confronti del futuro della città.

Riusciremo a stilare un patto che sia plurimo nel senso delle caratteristiche qualitative degli attori, che sia stabile e non effimero nel senso della serietà dei promotori, che sia visionario nel senso di inverarsi in strategie di largo respiro, che sia auto sostenibile nel senso di eludere ogni dirigismo interessato, che sia esorcizzante rispetto alla maledizione distruttiva avviando quella “distruzione creatrice”così basilare nel dominio economico?

CARLO ALBERTO FALZETTI