Per chi suona la campana
di ENRICO PARAVANI ♦
“No man is an island entire of itself; every man
is a piece of the continent, a part of the main;
if a clod be washed away by the sea, Europe
is the less, as well as if a promontory were, as
well as any manner of thy friends or of thine
own were; any man’s death diminishes me,
because I am involved in mankind.
And therefore never send to know for whom
the bell tolls; it tolls for thee.”
Jonh Donne
Quando ero piccolo, durante i mesi di agosto e settembre, perché la scuola riapriva a ottobre, andavo al paese di mia nonna: Allumiere, poche case, poche strade, la piazza, l’oratorio, la Casa del Popolo e la vita da bar. La giornata era scandita dal tocco della campana che regolava la quotidianità di una comunità, spesso si sentiva dire “Hanno appena suonato l’Ave Maria” oppure “Al tocco ci si vede alla fontana Tonna”. I suoni delle campane oggi non sono più frequenti, sono stati sostituiti da tracce audio, però quel tocco ricorda ancora che non siamo degli individui isolati, facciamo parte di una comunità.
Nei giorni appena passati, a Civitavecchia si è svolta una protesta contro la realizzazione di un ossidatore, forse la più importante manifestazione mai fatta negli ultimi vent’anni, strade piene di civitavecchiesi a esprimere un dissenso, tutti uniti a fare comunità attiva. Erano anni che non si riusciva a creare coesione attorno a un tema comune, erano anni in cui non si sentiva il Dovere di camminare l’uno al fianco dell’altro.
Qualcosa sta cambiando? Il senso di appartenenza si sta ripresentando in maniera inaspettata o è solo un caso sporadico? Forse le ragioni di tale coesione sono molteplici e mi pare non esista solo una risposta.
La generazione dei nostri padri, quelli che hanno vissuto all’ombra di un campanile, erano abituati a situazioni simili, oggi invece l’individualismo ha massacrato il tessuto sociale, malgrado la storia provi a ricordarci che la xenofobia e la diffidenza nei confronti di quanto appare diverso siano deleteri, continuano a prendere campo ideologie come il leghismo o si innalzano muri per non far valicare i confini geopolitici.
Un tempo c’era l’affiliazione politica ideologica, ci si riconosceva tra comunisti e democristiani, c’era un sottointeso rispetto di fondo, ora non più, ci si guarda in cagnesco e il senso della comunità si è decisamente perso. Il bisogno di appartenenza, tuttavia, è una componente fondamentale del bisogno di socializzazione dell’uomo, si manifesta in un tentativo di apertura verso gli altri, questo mi pare di poter dire che si riconosca nella “Marcia contro l’ossidatore”. Ecco, in questa Marcia ho rivisto il desiderio di ricreare quei legami perduti, tutti uniti senza più alcuna differenza.
Il processo della fiducia non è mai immediato, tutti noi abbiamo bisogno del contatto con gli altri, cerchiamo una giusta miscela di differenza e somiglianza, quel tanto di differenza necessaria per non annoiarsi, quel tanto di somiglianza necessaria per non disorientarsi. Ben vengano le Marce, la strada sia percorsa insieme, al fine di rinsaldare quel senso di convivenza e, riprendendo il concetto di John Donne, quella stessa campana potrà suonare per tutti noi, per ricordarci che l’individualismo, stretto parente dell’egoismo, non è cosa buona, in fondo viviamo in funzione degli altri e ogni azione che facciamo si ripercuote, inevitabilmente, su tutto ciò che ci circonda.
Noi siamo tutt’uno col mondo.
di ENRICO PARAVANI
Sono d’accordo. Bisognerebbe provare a capire che le cose che uniscono , uniscono davvero.
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Condivido. Il senso dell’appartenenza e della coerenza ideologica in parte l’ho affrontato anche io in uno dei miei precedenti interventi. D’altronde per chi è della nostra generazione è facile identificarsi in ciò. Tremendamente difficile capire i motivi che spingono oggigiorno a prendere posizioni a prescindere dalle reali necessità e bisogni della comunità. La marcia contro l’ossidatore è un esempio eclatante ed eloquente di come non tutto è perduto. Forse rimango ancora un inguaribile ottimista e anche un pò nostalgico..
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Il senso di appartenenza odierno è figlio della paura di essere se stesso, è figlio della necessità ancestrale ed inconscia di far parte del “branco”. In una società che individualizza, l’individuo, spaventato e certo di non potercela fare, ha bisogno del branco, che assieme lo protegge e lo rende forte. Negli anni passati il gruppo, l’appartenenza, serviva per cambiare il mondo, negli anni passati si pensava che il mondo fosse “cambiabile”. Oggi, ahimè, il mondo è più forte ed inesorabile di qualunque ideologia, inesorabilmente tutto travolge. Ecco quindi che, oggi, l’appartenenza, assomiglia davvero al sentirsi membro del branco. Ne è riprova di ciò, il modo con il quale i gruppi d’appartenenza si rapportano fra di loro. Non è forse vero che si rapportano il più delle volte in modo antagonista in un sorta di contrasto perenne lasciando poco alla collaborazione propositiva e produttiva? In questà realtà di branchi, quanto c’era di senso comunitario, ovvero senso di appartenenza ad una città, a un territorio comune ecc.., è svanito, sotterrato. In ciò, e mi duole dirlo, la manifestazione contro l’ossidatore, ha visto la convergenza di molte realtà solo per la coincidenza che nessuna di queste aveva interessi particolari e ne c’era motivo di attrito sul tema. Ho partecipato anche io convintamente, ma per tutta la mattina la domanda non mi ha lasciato: “perchè in tutte le altre occasioni la macchina non si è accesa?”. Vorrei avere una risposta migliore, ma ho idea che quando si parlerà di porto, di carbone oppure di traffico… questa comunione svanirà come neve al sole e per strada ci saranno sempre i soliti quattro gatti sfigati.
Quello che va costruito è il senso della comunità, e lo si fa capendo che il branco rema contro proprio per il suo essere “branco”. Ma è difficile, tremendamente difficile.
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