DOSSIER BENI COMUNI, 112. ANNI D’INTENSO LAVORO… CON SCELTE RAGIONEVOLI – 2

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

Si è parlato, la volta scorsa, della postazione astronomica dell’Associazione Astrofili dei Monti della Tolfa, sistemata sugli edifici della parrocchia di San Pio X, e mi ha fatto molto piacere che Maria Zeno abbia commentato: «Ho frequentato quel pezzetto di finestra sullo Spazio. Bei ricordi!» Sollecitare ricordi e stimolare nostalgie è un risultato importante per questa rubrica, che si rifà – come scrivevo quattro anni addietro nella prima puntata, il 14 dicembre 2021 – ad una categoria di “cose” che è parte essenziale della “memoria”, la nostra memoria di singoli e la “memoria storica” della collettività.

Questa rubrica è dedicata a tutte quelle “cose” che appartengono alla comunità, alla generalità dei cittadini e che devono interessarci proprio per questa loro essenza. Le definizioni sono innumerevoli, ma qui ci riferiamo al dettato della nostra Legge fondamentale, la Costituzione della Repubblica Italiana. I nostri Beni sono compresi nella materia dell’Articolo 9 della Costituzione, che dichiara: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.»

Sono i beni “nostri”, di tutti. Nel senso di “Italia nostra” e non di “cosa nostra”. Di tutti ma non di ciascuno come singolo, privato. Quindi da rispettare perché anche degli altri. In particolare, la rubrica vuole parlare del comune patrimonio culturale e storico-artistico del nostro territorio (nazionale, regionale e locale) da studiare, proteggere e tramandare integro nel futuro. Una rubrica basata su domande e risposte, da entrambe le parti, in cui possa anche trovare spazio il dialogo (divenuto raro) tra cittadini e istituzioni, tra “esperti” e “non addetti ai lavori”, tra persone di buona volontà, sugli argomenti suddetti ma con attenzione all’attualità, alle questioni di cui s’interessa l’opinione pubblica, ma anche a quelle di cui non s’interessa nonostante la loro importanza ed a quelle dimenticate, per dare un contributo alla ricostruzione della “memoria storica”. Per tentare di vedere con occhi diversi quello che spesso guardiamo senza vederlo.

Mi è accaduto spesso, incontrando persone, anche illustri, che non vedevo da molti anni, di essere salutato con frasi come questa: «Oh, che piacere rivederla! Lei è la nostra Memoria Storica! È la coscienza, il testimone, il custode del Passato della nostra Città!» Che sono parole di apprezzamento, certo, ma anche tristemente riduttive: non ci ricordiamo di te per quello che puoi aver fatto, nel bene o nel male, ma solo perché hai tentato – in larga misura, inutilmente –  di farci prendere coscienza di noi stessi, del nostro glorioso passato.

Adesso, a quanto è parso di intravvedere sul «piano di valorizzazione» illustrato su “TRC giornale”, di quel pezzetto di finestra sullo Spazio poeticamente rievocato da Maria Zeno non rimarrà assolutamente nulla, proprio niente, sostituito da una «Nuova chiesa per San Pio», che forse sarà dotata (tutto è possibile) di un osservatorio astronomico vero e proprio, con tanto di specola a cupola apribile e rotante. Ma non sarà più quella di prima, demolita per sostituirla con la nuova. In fondo, anche la vecchia basilica costantiniana di San Pietro in Vaticano fu demolita per sostituirla on una più bella e più superba che pria. E qui voglio assicurare l’eventuale Lettore che non ho «battaglie interne perse e fallimenti elettorali alle spalle», come dimostrano tutti i miei comportamenti e innumerevoli fotografie e documenti. E tuttavia sono contrario, da architetto, urbanista, storiografo, ispettore onorario e pure Memoria Storica, alla scelta “irragionevole” di demolire certe “cose” (quelle, le solite). Allarmato, per di più, da fatti evidenti e da precise parole che ho letto o ascoltato.

L’Associazione Astrofili dei Monti della Tolfa mi era stata fatta conoscere da uno dei soci più attivi, Michele Galice, figlio di un amico carissimo e grande artista, Ennio Galice, e dell’altrettanto cara ed altrettanto grande artista Bianca Moraja. Michele era uno dei giovani colleghi architetti vincitori delle borse di studio e lavoro che avevamo istituito per condurre il programma ministeriale del Prusst di cui eravamo capofila. Grazie a questo rapporto di amicizia e di collaborazione, avevo fatto adottare al Comune di Civitavecchia un regolamento all’avanguardia, che dettava norme per il miglioramento dell’illuminazione pubblica e privata esterna attraverso il contenimento del consumo energetico e l’abbattimento dell’inquinamento luminoso. Il regolamento fu pubblicato, come era d’uso normale all’epoca, in quella pubblicazione che avevo proposto all’Amministrazione e che era stata accettata con entusiasmo, ossia il bollettino di informazione del Centro di documentazione urbanistica «OC/quaderni del CDU». Dove OC, naturalmente, alludeva allo stemma comunale e alla sua tradizionale interpretazione di «ottimo consiglio»: un emblema ed un auspicio.

L’anno era il 1997. Un anno di avvenimenti memorabili per me e altri colleghi di lavoro, perché in quell’anno, il 19 marzo, si era conclusa con la rassicurante sentenza del tribunale penale di Civitavecchia, l’assurda vicenda nota in quegli anni con il nome di un vecchio edificio, la Nona. Occorse del tempo perché si concludesse anche per alcuni del numeroso gruppo di imputati, anch’essi vittime di incredibili ingiustizie ed abusi. Nello stesso anno, si è concluso il lavoro – per me particolarmente gratificante – per la realizzazione del mio progetto dell’Aula consiliare intitolata a Renato Pucci, primo sindaco di Civitavecchia eletto democraticamente, con la mia direzione dei lavori. Cosa che mi ha permesso di ottenere effettivamente che i miei disegni fossero rispettati in ogni particolare, fatto non sempre accaduto in altri casi. La cerimonia di inaugurazione si svolse il 1° giugno e fu effettivamente un giorno emozionante e non fu il solo, perché l’attività d’ufficio di quegli anni – che comprendeva anche tutte le iniziative in campo culturale – era veramente intensa.

Organizzavamo visite guidate ai monumenti cittadini per gli insegnanti delle scuole cittadine, corsi di storia della città e di pratica amministrativa per i consiglieri comunali e gli uffici, convegni e mostre, stimolando la partecipazione di tutti. Era stata appena conclusa, agli inizi dell’anno, la prima mostra all’Infermeria Presidiaria, venuta nella disponibilità del Comune con altri monumenti e immobili demaniali (ne riparlerò in un’altra puntata), con un grande plastico della città prima dell’inizio delle distruzioni, quale si era conservata fino al 1870, realizzato con i ragazzi dell’Istituto Statale d’Arte, guidati nella lavorazione del legno da Bonarino Loru. Ho potuto anche organizzare una Giornata di visite alle nuove acquisizioni con il FAI di Roma, grazie alla gentile collaborazione di una discendente di Carlo Calisse, Susanna, conosciuta in occasione delle celebrazioni del Cinquantenari della morte, due anni prima. Destò grande interesse, in particolare, l’edificio degli antichi Forni di Pio VI, trasformato nelle cosiddette “Carcerette”, ossia il Carcere giudiziario in via dei Granari.

Altri progetti di quel periodo furono quello per l’utilizzazione della Caserma “Italo Stegher” e poi il concorso pubblico per le piazze cittadine, a cui parteciparono importanti studi di architettura di varie parti d’Italia, lo Studio Michelato di Roma, il Gruppo Péttena di Firenze, il Gruppo Ferrara di Napoli e il Gruppo Abbadessa-Vitellozzi di Roma (ottenemmo che i rilievi delle piazze fossero da loro affidati ai nostri studenti della facoltà, equamente ricompensati del lavoro) e, in contemporanea, la partecipazione al bando ministeriale per i Contratti di quartiere, ottenendo puntualmente i finanziamenti previsti. E, ancora, gli studi e i progetti per rendere utilizzabile e accessibile il maschio della Fortezza di Giulio II, cioè il Forte finalmente denominato con la sua intitolazione corretta a San Michele Arcangelo, senza gli ambigui e fasulli accenni delle guide locali al Buonarroti, che non ci aveva mai messo mano, in nessuna fase, troppo impegnato altrove. Inoltre, abbiamo dedicato molte riflessioni e ipotesi alle nuove sistemazioni del Casale sede dell’Ufficio Urbanistico al Parco della Resistenza (l’antica Vigna Antonelli) e alla documentazione per il grande convegno sul «Porto del Giubileo», in cui mi fu affidata la relazione ufficiale, molto apprezzata da tutti, ma in modo particolare dal presidente del CAP (Consorzio Autonomo del Porto) Raffaele Meloro.

Fu anche un periodo di viaggi, di “professione itinerante”: il progetto e poi la partecipazione all’allestimento (con impegnative attività manuali e artigianali svolte con la collaborazione di Gianni Marinucci e di Paola) per lo stand del Comune di Civitavecchia e dell’Autorità Portuale all’Expo 98 di Lisbona, poi a quello del padiglione di Civitavecchia a Montecarlo, con sarcofagi etruschi e con il solito mascherone di bronzo di Papa Leone X, che ho portato anche in Giappone. Contemporaneamente, abbiamo elaborato il progetto per la sistemazione del comprensorio delle Terme Taurine ed i nuovi studi sul Campanile di San Giulio e Sant’Egidio. A seguire, tra il ’98 ed il ’99, i primi studi per il Piano dell’area integrata “Litorale Nord”, come comune capofila del gruppo (Allumiere, Tolfa, Santa Marinella, Cerveteri e Ladispoli), per il quale otterremo il contributo di 50.000 € dalla Giunta regionale, che però non vennero erogati per l’incuria di chi avrebbe dovuto trasmettere formalmente le tavole del progetto predisposto dal Gruppo Tuscia 40.

Ancora, scorrendo i titoli delle cartelle dell’archivio informatico dei progetti, trovo quello per Piazza Piccinato con il grande sedile circolare, quello per Piazza Calamatta, realizzato solo in parte (senza lo scavo delle fondamenta delle antiche mura che l’attraversavano) e poi ci fu l’inizio effettivo di restauri di preesistenze storiche, come il campaniletto di San Nicola dei Dottrinari a Piazza Leandra. Anche due fatti di grande rilievo: il primo fu l’avvio dei contatti con i Comuni del circondario, fino a divenire un centinaio di quattro province e di tre regioni, per partecipare – come poi avvenne, con ottimi risultati – al bando del Ministero dei Lavori Pubblici per il Prusst (programma di riqualificazione e sviluppo sostenibile del territorio). Il secondo fu lo studio più approfondito degli immobili da salvaguardare ai sensi della legge regionale 38, secondo il Regolamento di tutela approvato nel 1992 (ed ancora in vigore) che portò all’adozione della variante 30 per evitare la demolizione della Villa Berardi in cui era ospitata la pensione Santa Lucia e qui mi fermo.

Non senza dire che a quella intensa attività di progettazione, di lavoro, di idee e di programmi si associava la capacità di fare scelte ragionevoli. Tra gli innumerevoli progetti ideati per inventare una soluzione al problema di ripristinare un collegamento diretto tra il porto e la città in vicinanza della cattedrale e della piazza intitolata a Vittorio Emanuele II, dando risposta alle attese, da una parte, del sindaco Pietro Tidei e dell’altra a quelle del presidente Nerli. Alcune soluzioni erano decisamente fuori luogo e fuori misura, come appunto quella visibile in copertina. Di tutte, ne ho parlato abbondantemente nella puntata della rubrica Beni comuni n° 73 di maggio 2024 in cui ho dato dimostrazione di come fosse irragionevole una scenografica doppia scalea intervallata da vasche con cascatelle d’acqua che saliva dove era in origine la vecchia Scaletta di prima della guerra e più in antico il famoso Caracollo. Alcuni, come l’amico Pietro Rinaldi non hanno trovato entusiasmante la soluzione scelta, che però è quella più rispettosa dei luoghi e soprattutto dei secoli che sono passati in quel porto, certo della bontà dell’insegnamento di Renato Amaturo: la buona architettura non si fa a colpi di grancassa.

Qui, chiudo le rievocazioni della mia memoria sulla zona a nord del “nucleo centrale urbano” nota in passato come “Poligono del Genio”.

Restando in attesa della presentazione ufficiale del progetto, come ha opportunamente detto nel suo commento alla precedente puntata Rosamaria Sorge, il 30 ottobre 2025 alle 13:05. Con alcune semplici considerazioni finali.

Il progetto del Campus del “Poligono del Genio” e della nuova sede dell’Istituto Statale d’Arte prevista in quell’ambito, fu da me illustrato nel Quaderno di documentazione n° 6 – Maggio 1980. La relazione era intitolata Una esperienza di progettazione partecipata, ed effettivamente descriveva le innumerevoli riunioni di lavoro del gruppo dell’ufficio e dei consulenti con la preside e i docenti dell’istituto, con i progettisti e i magistrati per il Palazzo di Giustizia e con altri gruppi delle altre scuole, per poi passare al livello delle consultazioni con la cittadinanza (consiglio di quartiere) e i professionisti tecnici, per finire con le commissioni tecniche e consiliare dalle quali passava alla deliberazione finale in Consiglio.

La mia relazione ai Seminari tecnici sul Programma innovativo Porti e Stazioni, organizzati dal Ministero delle Infrastrutture nei giorni del 25-26 gennaio 2007 al Circolo del Ministero sul Lungotevere Thaon di Revel, 3 a Roma, era intitolata Una esperienza insolita di collaborazione tra enti locali e dava conto di quanti enti pubblici e soggetti privati avevano, anche in questo caso, “partecipato” al programma, con apporti mirati e logicamente arricchiti dalla conoscenza diretta e specifica dei problemi, grazie al concorso di tutte le esperienze locali.  

Questa volontà di associare altre persone e soprattutto giovani colleghi in gruppi di lavoro e di riuscire a coordinare i tanti contributi era per noi un principio ideologico fondamentale. Nella figura 2, la molteplicità dei soggetti che hanno partecipato alla formazione del Prusst appare evidente. Del resto è stato il programma territorialmente più esteso e più complesso per i contenuti di quanti (ben 78) hanno presentato proposte sul bando ministeriale. Ma anche nella conduzione degli altri progetti d’ufficio, poter dare l’opportunità a neo-laureati di avere un contatto diretto con i temi e i problemi della professione, attraverso borse di studio e di lavoro, ha rappresentato una costante. Questo che segue era nel 2007 il quadro organico del Dipartimento Assetto del territorio – Pianificazione urbanistica – Beni culturali e ambientali, ultima denominazione della Ripartizione Urbanistica che avevo iniziato a dirigere nel febbraio 1969:

Gruppo operativo: Arch. Ugo Gentili, Arch. Claudio Mari, Arch. Raffaella Carli, Arch. Luisa Curella, Arch. Alessia D’Amico, Arch. Monica Galeotti, con la collaborazione, per alcuni temi specifici, dell’Arch Michele Galice e dell’Arch. Ester Fanali e la partecipazione alle elaborazioni storiche dell’Arch. Elisa Fochetti.

Gruppo di lavoro “Tuscia 40”: Dott.ssa Barbara Dominici, Arch. Raffaella Carli, Dott.ssa Giulia Moscetti, Arch. Simone Quilici, con la partecipazione dell’Arch. Elisa Fochetti e il contributo amministrativo della Sig.ra Maria Ceccarelli.

Tutor o magistri: Arch. Renato Amaturo, Prof. Arch. Vittoria Calzolari Ghio, Prof. Ing. Mario Ghio, Arch. Corrado Placidi e Sig. Arnaldo Massarelli.

Termino con un’ultima considerazione. A dicembre dello scorso anno, in un clima molto sereno e promettente, avevamo preso spunto dalla recente pubblicazione del VII volume di 50 di professione (che riguarda i nuovi iscritti all’Ordine degli Architetti dal 1966 al 1971) per immaginare una Giornata di “riflessione collettiva”. Infatti, il volume offriva la preziosa occasione di far dialogare gli architetti di questa generazione, giunti ormai al ruolo di decani, quelli che sono i più direttamente legati alla zona per la loro attività – Ugo Cavallero, Francesco Correnti, Giangiacomo D’Ardia, Francesco Paolo Fiore, Massimiliano Fuksas, Francesco Karrer, Ruggero Martines, Edoardo Monaco, Paola Moretti, Marcella Morlacchi, Giovanni Rebecchini, Luciano Sapora, Amedeo Schiattarella – sia con i giovani architetti di oggi, sia con la città tutta (estendendo la partecipazione agli altri centri della Tuscia), cittadini ed amministratori, appunto in una riflessione che – scrivevo nel programma – «è strumento indispensabile e da troppo tempo eluso, per riprendere un cammino consapevole, sostenibile, di qualità, verso una meta possibile». Da certe fissazioni non si guarisce mai! 

FRANCESCO CORRENTI