Vignanelli, la Tecnica e lo Spirito. Note d’epoca per un Concerto.

di CLAUDIO GALIANI ♦

Il prossimo 4 ottobre cadrà l’anniversario della nascita di Ferruccio Vignanelli.

In suo onore, nella cornice del “Premio Ricordando”, l’organista Luca Purchiaroni eseguirà un concerto presso la Cattedrale di Civitavecchia.

È un omaggio a colui che  l’Accademia di Santa Cecilia nel suo necrologio del 1988 ha definito “uno dei più grandi organisti e clavicembalisti del Novecento …. nonostante fosse famoso in tutto il mondo (anche se più nell’ambiente degli “addetti ai lavori” che presso il grande pubblico) Vignanelli era un personaggio schivo che aveva sempre subordinato l’attività di concertista a quelle, meno appariscenti anche se non meno importanti di insegnante, revisore e saggista…”.

Da “non addetto ai lavori” mi sono avvicinato con rispetto al personaggio, attraverso la lente di alcune testimonianze, per provare a delineare l’uomo, l’educatore, l’artista.

Intervista sulla tecnica e l’elevazione.

È il 1954. In un servizio RAI sugli organi di Roma la giornalista Pia Moretti intervista Ferruccio Vignanelli, che si è appena esibito all’organo di San Luigi dei Francesi.

“Maestro Vignanelli, grazie. E ora, mi vuol fare una piccola confessione. Che cosa rappresenta per lei l’organo? È fatica o è spirito, è tecnica o è liberazione?

Mah, è liberazione. L’organo esprime il senso più profondo, il senso religioso di tutti i secoli, di tutte le epoche, di  tutte le scuole, per lo meno in Europa.

E per lei qual è l’emozione più profonda che prova? La riesce a descrivere?

È difficile, è difficile. L’emozione di una esecuzione organistica io la potrei assomigliare all’impressione che fanno le grandi opere architettoniche, non so, vedere il  duomo di Colonia, per esempio, o la cupola di San Pietro. 

È  molto dura e faticosa, è vero, la preparazione di questo strumento.

Occorrono molte qualità. Non basta un’abilità tecnica, non basta essere bravi, occorre una preparazione, una preparazione morale, religiosa, e poi molta cultura, perché ci sono tante scuole, tante epoche e lo strumento è uno; allora in questo strumento bisogna cercare di fare l’opera che potrebbe fare un abile traduttore, tradurre quello che è stato concepito per uno  strumento diverso, tradurlo in quello che si ha disposizione sul momento, salvando  lo spirito e, potendo, anche la lettera.

Giustissimo. Che cosa pensa lei della passione forse un po’ in decadenza che c’è oggi per l’organo, e che cosa si potrebbe fare per ravvivarla, e a cosa attribuisce soprattutto oggi questa decadenza?

Senza entrare in una questione profondamente storica e religiosa, c’è anche il lato pratico. Secondo me qui in Italia bisognerebbe costruire dei buoni organi, perché altrimenti si rimane sempre al solito circolo vizioso: il pubblico non ama i cattivi organi, non si costruiscono buoni organi perché il pubblico non ama l’organo. Quindi bisognerebbe costruire dei buoni organi. Attorno ad un organo, che veramente è un’opera d’arte, si forma sempre una scuola organistica.

L’Italia è da sempre all’avanguardia nella costruzione degli organi, vero?

Certamente. Ha avuto dei periodi di eclissi, ma adesso abbiamo dei grandi costruttori, abbiamo delle fabbriche. Si potrebbero fare buonissimi strumenti. Bisogna risvegliare, facendo dei concerti d’organo, facendo conoscere questo strumento, perché quando il pubblico lo conosce lo ama.

E questo è il compito che spetta a lei, Maestro Vignanelli. Grazie.”

È un’intervista ricca di spunti, che ravviva il profilo abbozzato dall’Accademia, sottolineando anzitutto la radice della sua esperienza artistica: una visione etica che crede nell’eccellenza tecnica come veicolo di un percorso di elevazione.

 Un artista di razza.

Dalle cronache del tempo emerge l’intensità delle emozioni trasmesse dalla sua musica: commozione e meditazione nei luoghi di culto, ammirazione ed entusiasmo nella sale da concerto.

Ancora ventunenne, una sua esecuzione nella cappella di San Luigi dei Francesi nella notte di Natale del 1924 cattura l’attenzione della “Rivista Nazionale di Musica”.

“Il Vignanelli ha poi toccato così profondamente gli animi degli uditori con quattro pezzi per organo che sarebbe stato applaudito con fervore se il luogo e l’ora lo avessero consentito.”

Sulla stessa rivista, dopo un anno, Pietro Barenghi esulta all’ascolto di “due importantissimi concertitenuti nella sala Borromini.

“Non ci deve quindi far meraviglia se proprio nel M. Ferruccio Vignanelli, già allievo della Scuola di Musica Sacra, abbiamo riconosciuto quelle doti peculiari che ci hanno subito avvertito di trovarci di fronte a un artista di razza… Ferruccio Vignanelli, il giovane organista infatti possiede una preparazione profonda e una tecnica  matura; cosicché egli può interpretare a meraviglia tanto le musiche secolari del Frescobaldi…. quanto quelle di padre Martini… entrambe trattate con tale felice scelta di timbri trasparenti e quindi di effetti da estasiare gli uditori…. Nel giuoco, così della tastiera come dei pedali, Ferruccio Vignanelli dimostra intendimenti severi e nobilissimi e dà prova di tecnica impareggiabile. Qui le note si avvicendano con una precisione ed una esattezza che rivela l’artista educato alla sola scuola capace di ottenere i risultati più eccellenti, dalle esatte entrate dei vari temi ai perfetti passaggi di agilità in guisa che l’organo quasi rifletta il “tocco” pianistico, in lui sensibilissimo e sviluppatissimo, al pari quasi del Gattari, per merito di un altro di questo e di lui maestro:  l’insigne venerando e glorioso nostro Pietro Boccaccini.”

Va sottolineato l’inciso tecnico: il “tocco” pianistico acquisito da Vignanelli alla scuola di Pietro Boccaccini, a sua volta allievo di Liszt, leggendario “virtuoso” del piano ottocentesco, ne fa un eccellente esecutore sia di musica sacra che profana.

Quel tocco pianistico può spiegare la naturalezza con cui Vignanelli ha alternato con pari maestria l’uso dell’organo e del clavicembalo.

Ma Barenghi è interessato soprattutto a reclutare l’artista di razza al servizio di un programma culturale antimodernista, con accenti nazionalisti, per uscire dalla moda del melodramma e del “bel canto”, che ha spinto la musica italiana verso la decadenza e la marginalità.

Va contrastata quella stampa dove “spesso appaiono ampie biografie di artisti…. cinematografici – non ricordate le lunghe colonne occupate di recente dalle interviste fatte a Mary Pickfort e Douglas Fairbank che venivano dalla lontana America dei dollari? … Ci voleva lo spirito avveduto di Pio X, perché con la riforma, da lui voluta, della musica sacra si ravvivasse nel nostro paese l’arte organistica.”

Il riferimento è al  “Motu proprio” del 1903, con cui Pio X ha promosso una riforma della musica liturgica, al fine di eliminare “gli abusi” ormai ricorrenti nella celebrazione religiosa, come il teatro e l’uso improprio di strumenti e fanfare.

Il provvedimento intende restituire austerità alla messa, riportando al centro la polifonia del canto gregoriano, con esclusione di pianoforti e grancasse e rivalutazione dell’organo.

Il Pontificio Istituto di Musica Sacra, fondato nel 1911, è una delle sedi privilegiate di questa riforma, dettata dal Movimento Ceciliano.

Qui Ferruccio ha studiato sotto la guida di illustri maestri come Licinio Refice e Raffaele Manari, dal quale eredita nel 1933 la cattedra di organo principale.

Questo programma di riforma della liturgia si sposa comunque con una tendenza più generale di riscoperta del Rinascimento e del Barocco, epoche del primato dell’arte italiana in Europa.

A prescindere dagli scopi, ne scaturisce un importante lavoro di recupero di un ricco  patrimonio musicale, con la rivalutazione storica e artistica di autori come Pasquini, Vivaldi, Frescobaldi, Scarlatti, di cui Vignanelli è uno dei protagonisti.

I salti di topo sul cacio.

Nel 1935, sul “Giornale d’Italia”, è il rondista Bruno Barilli, compositore deluso, scrittore immaginifico, critico caustico, ad esprimere la sua ammirazione.

Secondo il suo stile, modella una scrittura mimetica, che vuole trasmettere al lettore le impressioni sensoriali ( il tatto, lo sguardo, il suono ) generate dall’atto musicale.

 “È un nitido  gioco d’incroci e di passaggi leggeri, un fluttuare sommesso di cori, è una eco affievolita che le sue mani cercano furtive da una tastiera all’altra a piccoli salti (salti di topo sul cacio), è una discesa di legati liquidi dolcissimi dietro i quali scompare fin la traccia di quel manovrare ordinato e assiduo…la sua orchestrazione  è leggera, aerea, mai schiacciante e confusa…le note più grosse, quelle che fan strepitare solennemente la volta e vibrare il lucernario della sala, son proprio le note più basse, i rantoli del drago morente, che egli come San Giorgio, ma in segreto, schiaccia sotto il suo tallone.”

Nell’organo, però, Barilli non vede il ritorno alla tradizione, ma lo strumento di una moderna cultura internazionale.

“È il solo strumento elettrico. È il solo strumento gotico. Gli altri sono barocchi. I cinematografi a Londra e in America han l’organo. I grandi film collettivi della civiltà nordica sono accompagnati dall’organo. E la musica della moderna cinematografia sociale trae origine dalla tecnica dell’organo. In Danimarca tutte le piccole chiese di campagna sembrano tanti organi…”

Infine, scava sotto l’illusione dei sensi per svelare il fondo spirituale che anima l’artista.

“Umiltà e passione sono i motivi che ispirano il nostro solitario organista…. Sul volto dell’artista brilla il focoso ardore di una lunga astinenza. Un misticismo trattenuto e violento illumina il suo pallore virtuoso… Senza la musica il giovane organista maremmano sarebbe un predicatore, di quelli col pugnale; difatti allorché verso la fine, in un’apocalissi istrumentale, egli sembra salire sul pergamo, l’organo avvampa nel vento e brucia d’un ardore chiesastico, maestoso, irruento.”

Ecco la cupola di San Pietro e il duomo di Colonia: la magnifica architettura dell’esecuzione organistica, che sposa la saldezza e la decorazione della costruzione barocca con l’ardita spinta ascensionale di una guglia gotica.

Barilli esprime un solo rammarico.

“I suoi concerti sono rari e preziosi, – uno o due all’anno, non suona spesso per il pubblico – e quando suona è il richiamo della vocazione; il richiamo degli angeli perché suona con una chiarezza e un candore infantile.”

L’organo e il cembalo.

A prescindere dalla musica, per Vignanelli è l’organo stesso un’opera d’arte.

Viene in mente la sua partecipazione all’Adunanza Organistica di Trento del 1930, promossa dal suo professore Manari.

In quel congresso si svolge un importante dibattito sugli aspetti acustici e costruttivi dello strumento, per innestare sulle caratteristiche della tradizione italiana quelle modifiche che ne possono ampliare le capacità espressive.

Ne nasce, non senza controversie, una grande spinta all’innovazione tecnica, con restauri e nuove costruzioni.

Vignanelli stesso, docente di organografia e saggista sull’argomento, opera come progettista di organi in tutta Italia.

Ma le indagini sulla tradizione musicale lo conducono alla riscoperta di uno strumento ormai caduto in disuso, il  clavicembalo.

Questo gli consente di accedere a un repertorio complementare, dalla produzione rinascimentale fino a quella contemporanea,  con maggiore attenzione al versante “profano”.

Le prime rilevanti apparizioni pubbliche al cembalo avvengono nel 1932 all’ Augusteo, con l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia diretta da Bernardino Molinari.

Nel 1934  partecipa invece al Concerto per sei strumenti di Manuel De Falla,  che anche se squisitamente eseguito nell’elemento folkloristico e nel formalismo della еlegante partitura” è accolto freddamente da un pubblico abbastanza sconcertato.

Nel 1935 accompagna al clavicembalo il grande baritono Giuseppe De Luca, con un ampio programma di arie e canzoni che spazia da Frescobaldi a Händel, Mozart, Strauss, Ravel e altri, fino a  chiudere con uno stornello popolare siciliano.

Il clavicembalo gli apre anche un nuovo ambiente, il Conservatorio di Santa Cecilia, con diversi rapporti e opportunità.

Con Alfredo Casella partecipa dal 1939 al 1942 alle “Settimane Senesi”, dedicate alla celebrazione di Vivaldi, Scarlatti, della Scuola Veneziana e di Pergolesi, dove si esibisce indifferentemente all’organo e al clavicembalo.

In realtà, uno dei problemi è la rarità e il cattivo stato degli strumenti in circolazione.

Nel 1941, recensendo l’esecuzione della Primavera di Vivaldi tenuta al Teatro Adriano, “La Tribuna” elogia l’arte interpretativa di Vignanelli il quale si è potuto sedere dinanzi a un autentico clavicembalo.(Finalmente!!!)”; “ed era questa volta, (finalmente!) un vero cembalo e non un pianoforte camuffato” fa eco ironicamente “Il Tevere”.

Nel 1942 partecipa a Roma alla chiusura della stagione bachiana, dove viene elogiato il  magnifico Ferruccio Vignanelli che ha dimostrato di possedere, seduto dinanzi al clavicembalo, una esperienza fatta innanzi tutto di studio e di intelligenza”.

Importanti sono i rapporti di collaborazione con Renato Fasano; dal 1944 al 1947 in sede istituzionale, nella difficile gestione artistica del Conservatorio nel periodo postbellico di commissariamento; poi, in sede artistica, con i “Virtuosi di Roma”, complesso di archi e cembalo di fama internazionale fondato e diretto dallo stesso Fasano.

Presso il Conservatorio, Vignanelli avvia dei corsi di insegnamento del clavicembalo, che nel 1952 portano all’istituzione della prima cattedra nazionale, che richiama allievi dall’Italia e da tutto il mondo.

Quest’attività integra quella svolta presso il Pontificio Istituto come docente, organista stabile delle chiese di San Carlo al Corso e San Luigi dei Francesi, organista di riferimento dell’Istituto in tutte le celebrazioni solenni e nei concerti radiofonici.

Da sottolineare è quello del gennaio 1943, in occasione del terzo centenario della nascita di Frescobaldi.

È coinvolto anche in impegni internazionali, con un vasto repertorio che comprende i grandi autori della tradizione francese e tedesca.

Nell 1947 accompagna il suo maestro Licinio Refice e il coro di Roma in una lunga tournée che tocca il Canada, il Messico, gli Stati Uniti.

Il “Washington Post” sottolinea la sua prestazione “particularly outstanding”.

Nel 1950 partecipa al Festival di Lucerna e contribuisce alle celebrazioni del bicentenario della morte di J.S. Bach.

Nel corso della sua attività si interessa  del grande autore tedesco come saggista e lo interpreta sia come solista che partecipando all’esecuzione integrale dei Concerti Brandeburghesi, della Passione secondo S. Matteo e dei Concerti per 2, 3 e 4 clavicembali.

Tra l’altro, nel 1963, insieme alla moglie Hedda Illy e Ruitger Rieth, viene diretto da Claudio Abbado nel Concerto per tre clavicembali con l’orchestra della RAI.

Ma proprio l’intreccio tra organo e clavicembalo ci conduce all’ultima testimonianza sul grande esecutore, il docente, l’uomo.

La “folgorazione” di Margherita.

“All’inizio del decennio del ’50 partii per Parigi via Roma per studiare il clavicembalo e la musica antica. A Roma, fermatami per un paio di giorni, entrai in una chiesa ove qualcuno suonava l’organo come io non avrei mai immaginato: suonava divinamente! Dal sagrestano seppi il nome dell’organista: Maestro Ferruccio Vignanelli. La chiesa di San Carlo in Corso era due passi dal conservatorio “Santa Cecilia” ove mi dissero che il Maestro Vignanelli stava proprio per iniziare il corso di clavicembalo . Addio, Parigi! … ”

Soggetto della folgorazione è Margherita Dalmati, nome d’arte di Maria Niki Zoroyannidis, poetessa greca, musicista, militante della Resistenza greca, traduttrice di Kavafis, amica e traduttrice di grandi poeti come Montale, Gatto e Luzi.

Rimasta a Roma, Margherita è una delle prime iscritte al suo corso.

Diplomata, segue con assiduità i vari corsi di interpretazione tenuti dal Maestro a Perugia, Venezia, Ravenna, Bologna.

Lei stessa insegnerà, tra l’altro, il clavicembalo e nel 1984 fonderà ad Atene la  Scuola di musica sacra “Ferruccio Vignanelli”, istituendo il Premio a lui dedicato.

Non mancano, nelle sue memorie, i riferimenti a un umorismo bonario del docente.

“Siccome avevo preso a scrivere liriche in italiano – non osavo provare la prosa – una volta spedii a un concorso una mia raccolta dal titolo “Opera Buffa”. Dicevo ai miei compagni che non vedevo un altro modo per guadagnare soldi e poter avere uno strumento; il Maestro venne a saperlo e disse: “si, una … ocarina!”… A “Santa Cecilia” non solo il Maestro Vignanelli e il Maestro Guerrini, ma anche tutti i miei colleghi mi avevano accolta con affetto… Siccome portavo sempre alle lezioni le toccate di Claudio Merulo, un giorno il Maestro mi disse: “ma Lei, è forse la vedova di Claudio Merulo?” Da quel giorno tutti quanti mi chiamavano così!”

È molto serio, invece, un passo che dedica ai rapporti tra poesia e musica.

“Dalle trascrizioni di Bach per il clavicembalo dei concerti per violino di Vivaldi ho imparato a tradurre poesia; anche questo lo devo alle lezioni del Maestro Vignanelli. Sono sempre i grandi poeti, di cui le opere ci mettiamo a tradurre, quelli che esercitano sopra di noi la maggior influenza, più di tutti i nostri maestri messi insieme – tranne, certo, il Maestro Vignanelli!”

Il 4 ottobre 1983, in occasione del suo 80° compleanno, si aprono delle celebrazioni in  onore di Vignanelli, culminate con i concerti tenuti dal grande organista polacco Joachin Grubich nella Cappella Sistina e nella Basilica di S. Giovanni in Laterano.

Sono presenti quasi al completo gli alunni formatisi alla sua scuola: prestigiosi musicisti, titolari di cattedre, direttori di Conservatori.

È Margherita Dalmati ad esprimere a loro nome la gratitudine al Maestro, con parole che concludono il nostro percorso.

“Avrei voluto parlare della nostra Scuola e soprattutto delle lezioni del M° Vignanelli. Il Maestro intanto detesta ogni forma di pubblicità. Dirò soltanto che sotto la sua guida abbiamo imparato che la musica più che un’arte è un’etica; ci ha fatto conoscere il trascendente nell’arte; ci ha insegnato che la musica, non la tecnica, è la meta dello studio di uno strumento. E la musica essendo un’arte (in greco “téchni”) presuppone la tecnica.”

Mi auguro che queste testimonianze possano essere un utile preludio all’ottimo programma del concerto del 4 ottobre, che il professor Purchiaroni ha predisposto con competenza e con scrupolo storico e filologico, per offrirci un ritratto vivo del Maestro.

CLAUDIO GALIANI

(*) L’immagine è tratta da RAI Teche – Organo del Pontificio Istituto, progettato da Manari, professore di Vignanelli, con la collaborazione dello stesso Vignanelli.