DOSSIER BENI COMUNI, 107. IL CAMPANILE C’ERA E LA RUBRICA TERMINA

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

Nell’articolo apparso il 12 marzo 2017 (Obici, affreschi e altre sorprese. Dal Catajo a Civitavecchia passando da Sarajevo) ho narrato ai lettori la mia visita al bel complesso storico del Catajo, nei Colli Euganei, seguendo una guida ed anche, però, i miei pensieri. Ma mentre ero assorto in questi pensieri, benché appena per pochi minuti, la simpatica guida e tutto il gruppo erano passati nella seconda sala, proseguendo la visita. Allora ne ho approfittato, per rimanere indietro a scattare qualche foto con l’iPhone – giusto per mia memoria – ed a leggere velocemente le didascalie meticolosamente numerate poste ad illustrare le immagini entro ricche cornici in fregio ad ogni quadro e in cartigli posti sui piedritti dipinti che li affiancano. Ed è stato lì, proprio nella prima sala, con l’albero genealogico dal fusto dritto e robusto e le numerose ramificazioni dipinto sulla parete sopra la bocca del camino, che ho letto due parole inaspettate ma che mi sono balzate agli occhi, come si dice, quasi isolate tra le altre dell’epigrafe dipinta: Civita vecchia !

Non ci potevo credere! Mi sembrava il bis di Sainte Magnance… anzi, il tris: c’era stata pure, in mezzo, la “scoperta” fatta a Malta del Portolano del litorale pontificio del 1743. Allora, nel 2009, in Borgogna, con la santa nata a Centumcellae, poi nel ’15 a Mdina con la straordinaria mappa dell’inedita veduta di Ciuita Vecchia, e infine lì al Catajo, in quel grandioso palazzo veneto, su un affresco cinquecentesco, che sembrava voler stimolare maliziosamente la mia curiosità e il mio interesse per le coincidenze strane e imprevedibili.

Il testo dell’epigrafe lo potete leggere nella figura che accompagna questo racconto, ma per dovere di cronista lo riporto qui di seguito:

V· / Innocentio iiiI· Ponte= / fice assediato in Svtri da / Federi. iI Imperatore viene / liberato da Lvigi de gli / Obizzi che Lo condvce sal / vo a Civita vecchia dove si / imbarca per Genova·

Con questo, credo di aver assolto al mio dovere verso i lettori (evito ogni riferimento numerico), mantenendo fede all’enunciato del titolo. Aggiungo solo che Innocenzo IV è quello che, lasciata Sutri con l’aiuto di Luigi Obizzi per sottrarsi alla cattura da parte degli uomini di Federico II, si fermò, il 29 giugno 1244, nella parva ecclesia, que est sita in campis Civitevetule (ricordata negli Annales Januenses) per indossare le vesti pontificali prima di raggiungere il porto ed imbarcarsi sulle galere genovesi accorse in suo aiuto. Ne ho parlato in Chome lo papa uole…, identificando la chiesetta con quella di Sant’Egidio dei Cavalieri di Malta, situata a monte dei resti delle Terme Taurine. Il Guglielmotti e il Calisse, erroneamente, avevano sostenuto che essa fosse quella di San Liborio, costruita invece dai domenicani nel 1693, come ho potuto accertare nel 1975 con il ritrovamento del codice Campione dell’archivio di S. Maria di Civitavecchia.

Nel 1989, il volume Guida all’Italia dei Templari. Gli insediamenti templari in Italia di Bianca Capone, Loredana Imperio ed Enzo Valentini ha completato la ricostruzione della vicenda storica del monumento con la definitiva identificazione di Sant’Egidio con San Giulio, che costituiva – insieme alla chiesa di Santa Maria Assunta sul porto – la base logistica dei cavalieri Templari a Civitavecchia. È noto che la damnatio dei Templari voluta da Filippo il Bello ha trovato epigoni fino ai tempi nostri e così Santa Maria, già manomessa nella navata e nella facciata nel Settecento (purtroppo ad opera del peraltro benemerito padre Labat), è stata danneggiata dai bombardamenti degli Alleati e poi demolita da uno sciagurato accordo tra istituzioni religiose e comunali, senza che la Città insorgesse. Il campanile di San Giulio-Sant’Egidio, unica testimonianza romanica superstite nel territorio comunale, pur “venerato” da tanti cultori della storia e del patrimonio artistico e inserito in un programma di recupero finanziato da fondi pubblici, è in attesa di atti concreti. Gli Obizzi – che di concretezza se ne intendevano – sono lontani, nel tempo e nello spazio.

L’amico Enzo Valentini, commentando le immagini di queste pagine che ho dato in anteprima su Fb, dopo aver ricordato che Innocenzo IV era accompagnato anche dal suo cubiculario templare fra’ Bonvicino, ha scritto: «Anche questa è acqua per il “mulino San Giulio”… ☺». Gli ho risposto: «Tutto torna!» e lo ripeto adesso. Io credo che lo studio della storia e delle storie che la costituiscono possa fornire, a chi voglia trovarli nella propria memoria e nelle proprie esperienze, infiniti collegamenti, legami e richiami. Oltre a permetterci di dare un filo conduttore ai nostri pensieri, questi nessi dovrebbero servire ad affrontare tutte le cose con pacata serenità e, soprattutto, scoprendone gli aspetti divertenti (occorre senso dell’umorismo ed autoironia per vederli, ma ci sono sempre). Solo così è possibile divertere (e divergere, nel caso), nella vita come in un viaggio, avere una meta scelta con cognizione e determinazione, ma saper contemporaneamente divagare, svicolare, curiosare dietro l’angolo, guardare oltre la siepe. Quando ne capita l’occasione.

Tra gli affreschi celebrativi dei fasti famigliari, Pio Enea ha fatto rappresentare al pittore Zelotti diverse figure allegoriche, simboleggianti nell’aspetto e nelle caratteristiche le “doti” positive e negative di chi voglia governare nazioni e popoli ma pure la propria sorte. Vediamo, ad esempio, la Discordia e l’Avarizia, che condussero Roma alla rovina, mentre la Clemenza e l’Ardire devono accompagnare la Monarchia. Ma oltre all’Eloquenza, all’Onore, alla Fama, tra quelle che possiamo definire le Virtù secondo la filosofia dell’Obizzi, troviamo una figura femminile dai piedi alati, una “veste verde cangiante come una vela” e calva, salvo una frangia sulla fronte che le scende sul viso. È l’Occasione, affiancata da rasoi e ruote, con il vaso del bene e del male e l’iscrizione «Me duce carpe viam». Le occasioni, le opportunità, devono essere colte al volo, perché fuggono veloci, non si lasciano afferrare per i capelli sulla nuca, una volta passate. Chi non se le lascia sfuggire, chi ha la prontezza di profittarne può discernere tra il bene e il male e prendere quella strada che poi non si ripresenterebbe più.

Bene ha fatto papa Fieschi a profittare dell’occasione, offertagli da Luigi degli Obizzi e dai Cavalieri del Tempio, di fuggire da Sutri e di rifugiarsi nella mansio templare di San Giulio presso Civita Vecchia, che poi i Cavalieri Gerosolimitani dedicheranno, restaurandola, a Sant’Egidio, per raggiungere da lì, nel porto della stessa cittadella, la flotta genovese che lo portò in salvo. Se avesse tergiversato o ritardato, avrebbe potuto imbattersi in qualche rischio grave, cambiando Fieschi per Fiaschi, capitando in qualche “sacca” del tempo, come quella che a me sembra di vivere in questi giorni, in cui a cercare su certe carte “uniche” (e lo sono davvero!), pure ufficiali e controfirmate da ben noti esperti e massimi tecnici della Comunità, quella parva ecclesia e il suo residuo moncone di campanile romanico, nonostante le affermazioni in contrario di tanti e pure mie e di molti illustri studiosi e, da ultima, delle professoresse ed archeologhe medievaliste Francesca Romana Stasolla e Federica Vacatello (vedere la puntata 101 di questa rubrica del 27 marzo scorso sulla conferenza stampa del giorno 25), non esiste, non appare, non risulta, e se c’era non c’è più. Dal che il titolo «Campanile c’era», essendo quel terreno, in quella località con quel nome, in quelle carte che ho visto da poco (apparse come per magia, come sono invece scomparse cento copie d’una rivista e la ventina di tavole d’una mostra), una superficie sgombra da ogni preesistenza (a dicembre 2020, di profetico spirito dotato, avevo parlato, qui su SLB, di “tabula rasa”), agevole per tutti i tipi di attrezzature: termali, ricettive, residenziali, commerciali e sportivo-ricreative, senza neppure necessità di distinguere dove le une e dove le altre, così, come capita! Eppure, il Campanile c’è.

FRANCESCO CORRENTI