Eutanasia e diritti: il rischio di uno Stato che nega l’assistenza ai più deboli
di GIANLUCA GORI ♦
Il governo italiano sta lavorando a un disegno di legge che prevede l’eutanasia a completo carico economico della persona che ne fa richiesta. Una scelta che apre un fronte di tensione etica, politica e costituzionale in un campo già complesso. Per comprendere la posta in gioco, bisogna partire dalle basi.
Cos’è l’eutanasia e quali sono i criteri etici che potrebbero regolarla
L’eutanasia è l’interruzione intenzionale della vita di una persona affetta da una condizione clinica irreversibile e intollerabile, effettuata su sua esplicita richiesta, al fine di porre fine alle sofferenze. Le sue forme si distinguono in attiva (con intervento diretto del medico) e passiva (interruzione di trattamenti vitali).
Sul piano etico, il principio fondamentale è il rispetto dell’autonomia individuale: ciascuno dovrebbe poter decidere in coscienza se continuare a vivere in condizioni di dolore e dipendenza, oppure porre fine alla propria esistenza in modo dignitoso. Come scriveva Immanuel Kant, “la dignità è un valore assoluto”, e la perdita della dignità personale è spesso ciò che porta molti a chiedere l’eutanasia.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica, in più pareri, ha riconosciuto il valore della libertà individuale in materia di fine vita, invitando lo Stato a regolamentare con equilibrio e chiarezza.
Tecnologia e accanimento: vivere non è sopravvivere
L’evoluzione tecnologica della medicina ha portato a un paradosso: oggi si riesce a prolungare la vita biologica anche quando la qualità della vita è nulla o compromessa in modo irreversibile. Ciò che un tempo sarebbe stato un decesso naturale, oggi viene differito tramite macchine, farmaci e interventi invasivi.
Si arriva così a uno stato di “sopravvivenza tecnologica”, in cui la vita è mantenuta artificialmente, ma l’essere umano non è più in grado di interagire, comunicare, scegliere. Questo genera un corto circuito etico: siamo in grado di prolungare la vita, ma non sempre siamo in grado di restituirle senso o dignità.
In molti casi si tratta di accanimento terapeutico, vietato dalla legge 219/2017, che sancisce il diritto del paziente a rifiutare cure sproporzionate. Eppure, il confine tra cura e accanimento è ancora spesso oggetto di ambiguità e controversie.
Dal punto di vista etico-filosofico, inoltre, possiamo affermare che l’essere umano è parte del mondo animale. A differenza degli altri animali, però, può essere mantenuto in vita in condizioni di completa incoscienza grazie all’intervento tecnologico. Questo stato “vegetativo” non ha nulla di naturale. È un’esistenza sospesa, disancorata dalla coscienza, dal pensiero, dalla relazione. Nel mondo animale non esiste nulla di simile: quando una condizione è incompatibile con la vita o con la sopravvivenza dignitosa, la morte arriva come evento naturale. La medicina veterinaria, correttamente, prevede l’eutanasia come atto di pietà e rispetto del soggetto che non avrà, da quel momento in poi, una dignitosa capacità di sopravvivenza. Negare lo stesso principio all’uomo, costringendolo a restare in vita contro la sua volontà, è una violazione della sua natura più profonda. Come affermava il neurologo Oliver Sacks: “Essere vivi biologicamente non equivale a essere vivi umanamente”.
Aspetti legali, etici e costituzionali
Un sistema sanitario pubblico regolamentato in materia di eutanasia non solo garantirebbe equità d’accesso, ma offrirebbe anche protezione legale a medici e strutture sanitarie. La legge potrebbe prevedere protocolli chiari, supervisione etica, consenso informato rigoroso e valutazioni cliniche multidisciplinari. In Paesi come Belgio, Olanda e Canada, questo approccio ha portato a una gestione sicura, trasparente e rispettosa delle volontà del paziente. Inoltre, la previsione di una “manleva” giuridica tutela il personale medico, liberandolo dal timore di conseguenze penali e permettendo una presa in carico umana e serena del paziente. Se l’eutanasia diventa però solo un “servizio privato”, accessibile solo a chi può permetterselo, si crea una frattura gravissima. Il diritto a morire con dignità si trasformerebbe in un privilegio di classe. Chi non ha mezzi economici sarebbe costretto a soffrire, a vivere in condizioni che rifiuta, perché non può pagarsi l’uscita.
Questo scenario entrerebbe anche in rotta di collisione con l’art. 32 della Costituzione, che sancisce il diritto alla salute come diritto fondamentale dell’individuo. E con l’art. 3, che garantisce eguaglianza sostanziale dei cittadini. Una legge che lega l’accesso all’eutanasia alla disponibilità economica viola il principio di non discriminazione.
Inoltre, l’esclusione della copertura pubblica equivarrebbe a uno Stato che impone la sofferenza per decreto, abbandonando i cittadini nel momento di massima vulnerabilità.
Conclusione: un approccio equo, regolato e laico al fine vita
Il fine vita è un terreno delicato, ma oggi che viviamo nell’età delle infinite possibilità della tecnica, inevitabile. L’unica strada sensata è quella di un sistema laico, rispettoso della pluralità delle coscienze, dei valori ed anche delle singole credenze religiose che non possono essere però imposte a chi non le sceglie liberamente. Un sistema che non imponga né ostacoli né imposizioni ideologiche o religiose appunto, ma che riconosca i diritti fondamentali della persona: autonomia, dignità, libertà di scelta.
Una legge giusta sull’eutanasia dovrebbe:
- garantire l’accesso gratuito tramite il Servizio Sanitario Nazionale;
- prevedere tutele legali per chi pratica il servizio;
- istituire controlli etici e medici stringenti;
- rispettare la volontà esplicita e informata del paziente.
Come scriveva Norberto Bobbio, “il problema della libertà non è quello di decidere se siamo liberi, ma di esserlo davvero nei momenti in cui conta”.
È proprio in quei momenti – quando la vita non è più vita, ma sopravvivenza imposta – che uno Stato civile deve farsi garante non solo della vita, ma anche del diritto a una uscita dignitosa.
GIANLUCA GORI

L’articolo affronta con profondità la proposta italiana sull’eutanasia a carico del paziente, evidenziandone le criticità etiche e costituzionali. Centrale è la denuncia della disparità economica: trasformare un diritto in un privilegio per chi può pagarlo viola l’articolo 3 della Costituzione, creando una discriminazione inaccettabile nel momento più vulnerabile della vita. L’analisi del “paradosso tecnologico” è illuminante: l’accanimento terapeutico prolunga l’esistenza biologica ma non quella umana, svuotando la vita di dignità. Prezioso il richiamo alla bioetica animale, che dimostra come l’eutanasia possa essere un atto di pietà coerente con la natura. La proposta di un modello pubblico – con protocolli rigorosi, tutele legali e accesso universale – appare l’unica via per conciliare autonomia individuale e giustizia sociale. Senza copertura sanitaria pubblica, lo Stato tradisce il suo dovere di garante della dignità, imponendo di fatto la sofferenza ai più fragili.
"Mi piace""Mi piace"
Complimenti!
"Mi piace""Mi piace"