“ReArm Europe”: la difesa come progetto politico, non solo militare. (PARTE II)

di PAOLO POLETTI

PARTE II

 Spese attuali della difesa UE. L’Europa spende ogni anno circa 312 miliardi di euro per la difesa:

  • di questi, 70-80 miliardi sono destinati direttamente agli armamenti;
  • di questi, 50 miliardi vengono spesi per armamenti americani, segno della dipendenza dall’industria USA.

Gli Stati Uniti, in confronto, spendono 877 miliardi di dollari annui per la difesa, circa il 3,45% del PIL.

Criticità e interrogativi sollevati. L’allocazione di 800 miliardi di euro non garantisce automaticamente la costruzione di una politica di difesa comune. Senza una strategia condivisa, l’aumento delle spese rischia di tradursi in duplicazioni, inefficienze e sprechi. La semplice creazione di fondi o lo stimolo al procurement militare coordinato non bastano a costituire una “difesa europea”.

Occorre un chiaro indirizzo politico: definizione delle missioni, ripartizione dei compiti tra le forze armate, interoperabilità, priorità strategiche, coordinamento con la NATO. La mancanza di chiarezza su questi aspetti rischia di minare alla base l’efficacia del piano.

Coordinamento UE-NATO e autonomia strategica. La sovrapposizione tra molti Stati membri dell’UE e della NATO crea potenziali conflitti di competenza. È essenziale chiarire come i fondi e le capacità verranno ripartiti, per evitare una duplicazione delle strutture di comando e di spesa. La proposta di Mario Draghi di istituire una catena di comando sovranazionale mira proprio a superare queste criticità.

L’illusione di una difesa comune senza debito comune. Un punto critico del piano riguarda il finanziamento: senza l’emissione di titoli di debito comune europeo, il progetto rischia di non essere sostenibile. Nessun bilancio nazionale europeo, infatti, è in grado di sostenere una spesa così elevata senza impatti sulle finanze pubbliche.

L’idea di finanziare la difesa utilizzando fondi di coesione europea (es. per il Sud Italia) è problematica perché sottrarrebbe risorse a settori già sottofinanziati come sanità, istruzione, welfare sociale. La BEI, che finora non ha mai finanziato spese militari, potrebbe entrare nel processo, ma modificando i limiti attuali, per i quali le spese ammissibili devono essere “dual use” ed avere per almeno il 60% impiego civile.

Il debito condiviso consentirebbe non solo di distribuire equamente i costi, ma anche di condizionare il finanziamento all’adozione di programmi comuni, evitando sprechi e duplicazioni tra i singoli Stati: un coordinamento “dal basso”, basato sull’autodisciplina dei singoli Paesi, non pare credibile.

Impatto economico-industriale e mercato della difesa. La crescita della spesa militare può rappresentare un’opportunità per l’industria europea della difesa. Tuttavia, l’attuale frammentazione dell’apparato industriale rischia di vanificare questi sforzi. Senza un vero “mercato unico della difesa”, senza l’aggregazione della domanda, la standardizzazione e la promozione di un mercato integrato sono condizioni imprescindibili per massimizzare l’efficienza degli investimenti.

Questo presuppone il coordinamento delle aziende della difesa a livello dei singoli Stati ed a livello UE. Senza strutture centrali od una attribuzione di fondi condizionata agli obiettivi, come detto, la razionalizzazione delle spese per la difesa pare poco credibile. Ma anche per valorizzare le ricadute dell’industria militare sul settore civile. Aspetto che tratteremo di seguito.

Opinione pubblica e sostenibilità sociale. Recenti manifestazioni in Italia e in altri Paesi UE mostrano come parte dell’opinione pubblica sia critica verso un riarmo europeo massiccio, temendo ripercussioni su welfare e indebitamento pubblico. La legittimità democratica del progetto dipenderà dalla capacità dell’UE di comunicare l’utilità strategica di queste spese e di garantirne la sostenibilità sociale.

L’integrazione dell’industria militare europea: un processo necessario. L’industria della difesa europea soffre di un’eccessiva frammentazione:

  • l’UE ha in uso 12 modelli diversi di carri armati da battaglia (Main Battle Tanks – MBT);
  • gli USA impiegano 1 solo modello principale: l’M1 “Abrams”;
  • l’UE ha 17 tipi di fregate, 29 tipi di veicoli blindati, 20 modelli diversi di caccia;
  • gli USA producono 1 tipo di fregata, 6 tipi di veicoli blindati e 4 caccia da combattimento.

Questo determina manutenzione frammentata, difficoltà nei pezzi di ricambio, addestramento più costoso.

Riprendendo il tema della razionalizzazione della spesa, non si tratta solo di spendere di più, ma di spendere meglio, attraverso:

  • riduzione delle duplicazioni tra eserciti nazionali;
  • acquisti congiunti e coordinati (procurement comune);
  • standardizzazione dei sistemi d’arma (meno modelli diversi, più interoperabilità);
  • rafforzamento del mercato unico della difesa, per aumentare efficienza e competitività dell’industria europea;
  • integrazione logistica e catene di approvvigionamento condivise;
  • riduzione della dipendenza dagli Stati Uniti che resta elevata.

Per risolvere queste criticità, l’UE deve:

  • aggregare la domanda militare, attraverso un’acquisizione congiunta;
  • standardizzare logistica e interoperabilità;
  • sostenere un’industria competitiva, investendo in tecnologie avanzate, che hanno una ricaduta notevole anche sull’industria civile.

È chiaro che senza un progetto politico tutto questo appare aleatorio.

Il problema dei programmi spaziali europei. Uno degli aspetti più critici della sicurezza tecnologica europea riguarda i programmi spaziali. Attualmente, l’Europa non dispone di un sistema autonomo di posizionamento satellitare efficace quanto il GPS americano o il Beidou cinese. Galileo, Copernicus, IRIS e Secure Connectivity sono ancora in fase di consolidamento.

L’assenza di un sistema satellitare europeo pienamente operativo lascia l’UE vulnerabile alla dipendenza dagli USA per navigazione e comunicazione militare. Ma non si tratta solo di autonomia: le tecnologie spaziali sono oggi una componente strategica essenziale per la superiorità nella difesa, probabilmente persino più determinante della supremazia aerea o terrestre. Chi controlla lo spazio controlla l’informazione, la logistica, la capacità di comando e di reazione. Rafforzare lo spazio europeo significa, dunque, non solo ridurre una dipendenza, ma dotarsi degli strumenti fondamentali per operare in scenari ad alta complessità, dove l’infrastruttura orbitale è ormai parte integrante del teatro operativo. Rafforzare lo spazio europeo è condizione necessaria per una vera autonomia strategica.

La competizione per la tecnologia: l’Europa non può più permettersi di rincorrere. In un’epoca segnata da un’accelerazione tecnologica senza precedenti, l’Europa si trova ad affrontare una sfida esistenziale: non restare indietro sulle cosiddette tecnologie “dirompenti”. Si tratta di ambiti come il Cloud computing, l’intelligenza artificiale, i computer quantistici e i sistemi cyber-fisici per l’industria — tecnologie che non solo plasmeranno l’economia del futuro, ma che saranno centrali anche per la difesa e la sicurezza del continente.

Il progetto ReArm Europe va corretto anche per essere il catalizzatore di una consapevolezza più ampia: senza un’infrastruttura comune, senza una rete europea di ricerca, sviluppo e produzione, l’Europa rischia di restare vassalla in un mondo dove la leadership si gioca sull’autonomia tecnologica.

Un esempio lampante di questa fragilità strutturale è la cybersicurezza. Lungi dall’essere un semplice “scudo” per difendere i dati e il know-how strategico, la sicurezza cibernetica è oggi un vero e proprio fattore abilitante. Nessun sistema basato su AI, nessun ambiente industriale connesso, nessun servizio pubblico digitalizzato può funzionare senza una base solida di sicurezza informatica.

La crescita costante degli attacchi cibernetici segnala una nuova guerra ibrida, dove la vulnerabilità digitale equivale alla vulnerabilità strategica.

Se l’Europa vuole davvero una difesa comune, deve farlo anche sul fronte digitale. Serve un progetto comune, serve una politica industriale e scientifica integrata, che unisca le eccellenze nazionali in una strategia continentale. Non solo per sviluppare tecnologie proprietarie, ma per assicurare la resilienza, l’autonomia e l’affidabilità dei sistemi che ne derivano.

Difesa, economia, industria, ricerca, cyberspazio: sono ambiti che ormai non possono più essere trattati separatamente. La partita delle tecnologie dirompenti si gioca oggi. E l’Europa non può permettersi di perderla.

Con una avvertenza fondamentale: non si cresce più “per imitazione” (di chi è più efficiente). O si dispone di quelle tecnologie o si è marginalizzati.

Difesa e innovazione: la ricaduta possibile sull’industria civile richiede visione politica. Alla luce di quanto sinora esposto, possiamo svolgere un’ulteriore considerazione che condiziona la visione attuale di ReArm Europe. Gli investimenti nell’industria della difesa sono spesso valutati esclusivamente in termini strategico-militari o di bilancio pubblico. Tuttavia, esiste un’altra dimensione – meno visibile ma fondamentale per l’economia – che riguarda le ricadute potenziali sull’industria civile. Perché queste ricadute si realizzino in modo efficace e sostenibile, è però indispensabile una forte direzione politica.

Il caso di tecnologie oggi onnipresenti nella vita quotidiana – dal GPS a Internet – dimostra come le innovazioni nate in ambito militare possano trasformarsi in strumenti centrali per la competitività industriale e l’efficienza dei servizi. Si tratta del fenomeno del “dual use”, ovvero l’uso duale delle tecnologie, che dai laboratori della difesa possono approdare nei mercati civili, generando valore economico e progresso tecnologico.

Il potenziale di spillover è elevato: i programmi militari spingono la ricerca in settori ad alta intensità di innovazione – materiali avanzati, intelligenza artificiale, robotica, cybersicurezza – creando conoscenze e capacità industriali che possono poi essere riutilizzate anche in ambito civile. Le industrie che lavorano per la difesa formano capitale umano altamente qualificato e attivano filiere tecnologiche che, se guidate da politiche industriali lungimiranti, possono contribuire alla competitività del sistema-Paese.

Tuttavia, questi effetti non sono automatici. Perché si producano, serve una governance pubblica capace di indirizzare gli investimenti, promuovere il trasferimento tecnologico, sostenere la collaborazione tra settore difesa, mondo accademico e imprese civili. In mancanza di una regia strategica, si rischia che gli investimenti si esauriscano nella logica della commessa pubblica, senza generare un impatto duraturo sul tessuto industriale nazionale.

Il tema, una volta in più, non è dunque “difesa sì o no”, ma “quale politica per la difesa”. Una politica industriale moderna, in grado di cogliere le potenzialità duali di ogni innovazione e di costruire ponti tra ricerca militare e mercato civile. In questo senso, la difesa può diventare non solo un capitolo di spesa, ma uno strumento di sviluppo.

Oltre la difesa: il futuro dell’Unione Europea. Il piano “Rearm Europe” sembra ambizioso ma poco realistico.

Ma per essere davvero credibile e coerente con l’ambizione di una difesa europea comune, ReArm Europe deve poggiare sin da subito su tre pilastri essenziali, come suggerito da Mario Draghi:

  • un debito comune europeo, che garantisca una base finanziaria condivisa e solidale;
  • la selezione strategica dei programmi che portino realmente verso una capacità difensiva integrata, evitando sprechi e duplicazioni, quale condizione per l’accesso ai finanziamenti;
  • comandi militari europei unificati, perché nessuna difesa comune è possibile senza una catena di comando sovranazionale.

Sono tre mosse iniziali, ma imprescindibili. E non sono tecnicismi: rappresentano il primo passo di un disegno più ampio, quello della ripresa del cammino verso l’integrazione europea, a partire da una vera politica estera comune.

Solo in questo quadro la difesa potrà diventare non un fine, ma lo strumento di una sovranità europea condivisa, credibile e democratica.

Il percorso verso una vera unione politica ed una difesa comune è ancora lungo ma va ripreso. ReArm, rivisto e corretto, può essere solo un piccolo, seppur parziale, passo avanti.

PAOLO POLETTI