Dopo la Grande Ambizione

di MARCELLO LUBERTI ♦

Una legittima curiosità sorge dopo aver visto il film di Andrea Segre dedicato al progetto berlingueriano del Compromesso Storico (1973-78): cosa ne è stato di Enrico Berlinguer, della politica del Partito Comunista Italiano e della Sinistra italiana dopo la fine della Grande Ambizione?

Per capire il percorso della Storia, occorre prima di tutto inquadrare la singolarità della proposta del compromesso storico, che partiva da una constatazione politica di grande fondamento: in un paese del blocco occidentale, dopo la fine sanguinosa dell’esperimento cileno, non sarebbe stato possibile per un partito comunista governare al di fuori di un’alleanza con altri partiti politici di diversa ispirazione ideale. Si trattava, ovviamente, di una visione imperniata su di una legge elettorale di tipo proporzionale a fondamento della rappresentanza popolare. Va ricordato, inoltre, che le stesse elezioni del 1976 segnarono, oltre al successo del PCI (34% dei consensi), un ricompattamento dell’elettorato moderato nel voto alla DC (che colse il 38,7%). Come non pensare alle ragioni di Berlinguer quando si passa in rassegna la precaria stabilità di molti governi di coalizione dopo il 1991, data a partire dalla quale si introdusse nel sistema elettorale la componente maggioritaria?

Il giorno stesso del rapimento del leader democristiano, il 16 marzo 1978, i comunisti entrarono nella maggioranza di governo in un monocolore democristiano guidato da Giulio Andreotti. Sarà l’inizio ma anche la fine della politica di avvicinamento del PCI al governo del Paese. Quell’esperimento si concluse nel marzo dell’anno successivo quando i comunisti chiesero di entrare nella formazione di governo con propri ministri ottenendo un rifiuto da parte della DC e di Andreotti stesso.

Il sistema politico italiano, si potrebbe dire, aveva così respinto l’attacco, l’esito di un lungo processo di crescita sociale e politica avviatosi negli anni ’60 con la costituzione del primo centro-sinistra e seguito dalle lotte operaie e studentesche e dal ’68, l’approvazione dello Statuto dei lavoratori e la vittoria nel referendum contro il divorzio nel 1974.

Dopo l’uscita dal governo Andreotti IV, seguirono anni in cui Berlinguer cercò altre strade per conservare il grande consenso guadagnato dal PCI, in modo solo apparentemente paradossale, con il compromesso storico, una formula politica riformatrice e moderata, di responsabilità verso il Paese. Nel novembre 1980 abbandonò formalmente la politica della solidarietà nazionale, per abbracciare la parola d’ordine dell’Alternativa Democratica. Il 1980 fu contraddistinto anche dalla sconfitta nella battaglia sindacale alla Fiat, sostenuta da Berlinguer anche con la sua presenza sul campo.

Nel luglio 1981 inaugurò il discorso della Questione Morale. A fine 1981, dopo i fatti della Polonia si consumò un ulteriore strappo dall’Urss. Continuò l’elaborazione sui temi ecologici e dell’austerità. Nell’aprile 1982 il PCI di Berlinguer si oppose all’installazione dei missili Cruise e prese parte attivamente a tutte le manifestazioni per la pace, a partire da quella da Perugia a Assisi.

Nei primi mesi del 1984 il PCI di Berlinguer si oppose fermamente a un decreto governativo che raffreddava il meccanismo della scala mobile, portando a Roma centinaia di migliaia di militanti, fino a indire un referendum abrogativo, che si tenne poi nel giugno 1985 e registrò di misura la sconfitta della sinistra.

I risultati elettorali sottolineavano impietosamente il ridimensionamento della prospettiva del Partito Comunista Italiano (dal 34,4% nel 1976 al 26,6% nel 1987) rispetto all’impetuosa crescita di consensi del triennio 1974-76. Era finita l’onda quasi magica, che i militanti avvertivano distintamente in quel triennio d’oro. Dopo il 1978 risultava ben chiaro all’elettorato e all’opinione pubblica che il voto al PCI non sarebbe servito a portarlo al governo del Paese.

Enrico Berlinguer morì tragicamente, al servizio della causa, quando aveva ormai esaurito ogni possibilità di evoluzione della politica e della struttura di un partito comunista. Le sue proposte politiche non trovavano sbocchi fruttuosi. Ne era consapevole e ne era consapevole il Partito. Nell’ultima riunione di direzione tenutasi prima dell’evento di Padova, Berlinguer aveva preso atto delle riserve ormai diffuse tra i dirigenti comunisti sull’indirizzo politico seguito dal Partito e aveva promesso una discussione chiarificatrice all’indomani delle elezioni europee del 1984.

Quelle elezioni segnarono il “sorpasso” per la prima volta del Partito Comunista sulla Democrazia Cristiana (33,3% dei voti rispetto al 32,96%). Non secondario fu l’effetto emotivo dovuto alla morte di Berlinguer, se si considera che appena un anno prima il PCI aveva raggiunto il 29,9% dei consensi e che nelle successive elezioni politiche si dovette accontentare del 26,6% (dati relativi alla Camera dei Deputati).

Rimane da fare un bilancio della Grande Ambizione.

Qual è l’eredità di Enrico Berlinguer, oltre quella di aver regalato un sogno a diverse generazioni di italiani, tra cui la mia?

Sperimentò con toni al tempo stesso messianici e riformatori alcune questioni che riguardavano il futuro, diventato poi il presente, della nostra società, tra cui la questione ambientale, quella morale e di genere.

Mantenne la grande contraddizione di rifiutare formalmente un approdo socialdemocratico per le innovazioni di tipo riformatore da lui propugnate e cercare una terza via oltre le socialdemocrazie europee e il socialismo reale (il blocco sovietico). In questo fu condizionato dalla presenza di un partito socialista in forte concorrenza. Rimane la mancanza di una riflessione su quello che era diventato davvero il sogno del comunismo, base di partenza per un’elaborazione politica delle istanze della Sinistra al giorno d’oggi. Ma a discolpa parziale di Berlinguer, dobbiamo anche constatare che tale riflessione non è stata compiuta nemmeno dopo la caduta del Muro di Berlino dai partiti eredi del PCI.

Secondo lo storico Andrea Graziosi, Berlinguer “sostituì il progetto alternativo fallito con un misto di moralismo, antipolitica, para-religione dei diritti, austerità anti-sviluppismo, pacifismo e femminismo che anticipava nel suo impasto quello della sinistra woke statunitense” (cfr. “Trump il mondo nuovo e noi”, Il Foglio dell’11.11.2024).

Concludo valorizzando, invece, quello che fu la prassi riformista del Partito Comunista di Enrico Berlinguer, che riuscì negli anni ’70 a condizionare il sistema politico italiano e a generare importanti leggi di struttura e di adeguamento del welfare state del nostro Paese (https://www.mirafiori-accordielotte.org/1976-80/materiali-76-80/le-riforme-degli-anni-settanta-le-leggi-che-hanno-cambiato-la-societa).

Come similarmente la competizione del socialismo reale dopo la Rivoluzione d’Ottobre produsse nel Novecento rilevanti innovazioni nel sistema capitalistico occidentale.

MARCELLO LUBERTI

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* Immagine di copertina tratta da Wikipedia