L’ANGELO.

di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦

Tuo rovescio.

Opposto perfetto di ciò che tu sei.

L’angelo, questo il contrario che t’opprime.

L’angelo a cui disperatamente tendi senza alcuna possibilità di raggiungere.

Ascolta, quest’angelo non ha nulla a che vedere con la “custodia”, con “l’annunciatore del divino”. Non annuncia, né custodisce, semplicemente è ciò che non potrai mai essere:  la durata e non l’effimero!

 Concentrati, leggimi con calma.

Ogni giorno la tua bellezza di umanità, il tuo sorriso, lo sguardo, il gesto, il vedere, l’udire, il deambulare, il parlare è destinato al dissolvimento. Semplicemente al defluire. Sparire come rugiada nel momento aurorale.

Per l’angelo no!  Esso riesce nell’impresa a te preclusa: riconduce sempre a sé ciò che da esso è defluito. La bellezza che sfugge nel tempo la riattinge. Recupera il suo defluire. La vita si rigenera incessantemente nel suo volto. E’ così che gli angeli permangono eterni, immuni al destino dello sparire, in una perfetta assenza di tempo. Il luogo dove essi dimorano è, appunto, l’assenza del tempo.

Uno specchio assorbe l’immagine, ma poi la restituisce esalandola. Lo specchio riflette ciò che accoglie.

Esiste forse uno specchio che impedisce all’immagine assorbita di uscire?

Ecco, questi sono gli angeli:  specchi che la bellezza effluita riattingono in sé nel volto ch’è proprio.

Una esistenza in sé conchiusa, assolutamente pago di sé, così l’angelo.

Tu sei l’opposto di tutto questo. L’angelo rende presente ciò di cui a te manca, l’angelo è il tuo tormento, la continua presenza di un assenza. Poiché tu sei solo un semplice esserci, una completa immersione nel tempo, un perpetuo dissolversi. Perennemente insoddisfatto di te, sempre bisognoso dell’altro, mai pago definitivamente.

Quando vivevi la gioventù non avvertivi questo deflusso, vivevi come se quella corrente che trascina con sé tutte le età, fosse essa a condurti in avanti. Sembravi, così ti illudevi,  del tutto pago di te.

Ma ora, vecchio, avverti l’inganno. Sai bene che già il respirare è un esalare, qualcosa che si perde e più non ritorna.

L’intensità della tua esistenza la senti svanire ogni mattina al risveglio mirando l’immagine del volto logoro.

 Un tempo era ardore, così ti sembrava. Ma ora è brace sempre più esigua. Come un legno, profumato di resina, diventa sempre più flebile, sempre più tenue nel suo profumo.  

Disperatamente, l’effimero  che tu sei, anela ad una domanda struggente.

La fai sempre più spesso. Speri davvero di ricavarne qualcosa?

Ecco cosa dici a te stesso pensando all’umanità cui appartieni.  Potrebbe, forse, accadere che negli angeli, per una svista, quasi vi si insinua un poco dell’essere nostro? Potremmo, noi umani, sperare in questo? Alzare lo sguardo dalle nostre petulanti abitudini, superare gli angusti confini della nostra esistenza e sognare questo? La pura durata? L’opporsi allo svanire? Potremmo davvero permetterci questo pensiero: dove dilegua l’uomo nel suo continuo dileguarsi?

La domanda che intimamente brami è lecita ma non può avere risposta. L’angelo non ti ode.

E non ti può udire perché, come si è detto, è un essere assente ma che è presente come tua ansia, una assenza presente.

Ecco perché  ogni angelo è tremendo, perché incurante di te, ineffabile, in sé perfettamente conchiuso!

Un approdo verso cui tu tendi e come tanti altri come te vorrebbero tendere. Ma tutte questa mani tese si agitano nel vuoto.

Eppure, ci fu un tempo in cui l’angelo nel mostrarci la nostra  limitatezza permetteva di rendere presente ciò di cui l’uomo manca. Era un garante dell’invisibile. 

Ma, oggi, angeli, chi siete?

Chi siete voi, nel tempo dell’indigenza, della povertà estrema del pensiero, nel tempo del consumismo e della tecnica imperante, nel tempo in cui gli antichi dei sono fuggiti e i nuovi tardano ad arrivare?   

.  .  .

 Riflessioni sulla Seconda Elegia Duinese di Rainer Maria Rilke.

CARLO ALBERTO FALZETTI

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