Musica/Ius ex machina. «Distinguere musica da rumore»: algo-ritmo e filtro stocastico

Pubblichiamo il testo della relazione di Valerio Mori al Festival nazionale di diritto e letteratura tenutosi a Palmi-Reggio Calabria, dal 18 al 20 aprile. 

di VALERIO MORI ♦

L’idea di fondo del mio intervento è quella di tentare di estrarre una suggestione a partire proprio dalla domanda che emerge dalla call di questo bellissimo festival: Che musica è il diritto?

Si può partire dal riconoscimento della natura artistica del diritto – «ars boni et aequi», o techne – e cioè un sapere pratico che non è né astrattezza vertiginosa quanto lontana dalla vita, e neppure mera pratica di cose: quanto piuttosto capacità di far entrare, con attenzione e con equilibrio il principio nel fatto e il fatto nel principio.

Mi prendo intanto, in premessa, la responsabilità di dire che la pretesa di ridurre questo processo alla posizione in essere di un «sillogismo la cui premessa maggiore è data dalla norma, la minore dal singolo rapporto di cui si tratta, la conclusione da una norma di condotta speciale per quel dato rapporto, desunta dalla norma generale»[1] (Alfredo Rocco) non può soddisfare in pieno quella domanda.

Perché pretende di togliere dalla scena forzosamente l’elemento originario del problema giuridico, che è quello di addurre una ragione per una decisione, ragione che non può essere solo “così è scritto, così sia fatto”.

Penso a Salvatore Satta, che proprio su quelle parole di Rocco riflette: «la legge è concepita come una volontà esaustiva di tutta la realtà», che pare rendere «l’ordinamento […] uno spettacolare giuoco delle parti, di cui una pone la legge, l’altra l’applica, l’una comanda, l’altra trasmette il comando e obbedisce o fa obbedire»[2].

Senza un processo interpretativo raffinato noi non sappiamo davvero che cosa è scritto, e non sappiamo davvero che cosa debba essere fatto.

Interpretazione, dunque. Questo ci accosta alla questione del nesso “musica-diritto”.

In Italia si è svolto un ampio dibattito, sotto l’egida di Croce – con Pugliatti impegnato a difendere l’interprete –, sul concetto di interpretazione musicale, giocato sulla distinzione compositore = artista; esecutore = tecnico; ma sarebbe lungo ripercorrerlo.

Piuttosto: a margine di quel dibattito, credo si debba considerare l’opera di Betti: capitolo II della Teoria dell’interpretazione: «il problema interpretativo, in generale, risponde al problema epistemologico dell’intendere»[3].

Prosegue: «il carattere triadico del significare semantico, per cui esso […] consiste in un processo che si svolge fra tre termini: a) un soggetto, al quale perviene il messaggio […]; b) un oggetto, che è […] forma rappresentativa, dalla quale proviene il messaggio; c) un altro soggetto, attualmente o virtualmente presente, che è il fulcro del senso e “parla” attraverso l’oggetto»[4].

La musica non è un rapporto binario, non c’è solamente l’autore e l’interprete: c’è l’ascoltatore, la polarità finale della triade di Betti pensata in musica. La musica è musica per qualcuno.

Anche il diritto vive per qualcuno, che è nel diritto e che chiede e dà – deve dare – diritto. Viene in mente il Capograssi che riflette su Chiovenda e sulla logica del processo[5]; soprattutto sulla questione del diritto come azione: il diritto è diritto per qualcuno che lo accetta, lo accetta perché lo intende o comunque ne intende il senso, che è poi il suo valore, di accordare la pretesa del singolo in un più vasto sistema di pretese e possibilità: una sinfonia, in qualche modo.

Una delle definizioni che è stata offerta di “musica” è «arte di pensare per mezzo dei suoni»[6]; ora, la domanda da cui siamo partiti è “che musica è il diritto”, e quindi con quali suoni lo possiamo oggi pensare.

A partire, io credo, da una presa d’atto: siamo, e sempre più saremo, nell’epoca dell’algoritmo. Ce lo dice, se ce ne fosse bisogno, da ultimo il Regolamento sull’intelligenza artificiale, approvato dal parlamento europeo lo scorso 13 marzo[7].

Quindi: che musica è il diritto? Prima di provare a rispondere, consideriamo che la musica il problema del nesso “algoritmo-realtà” lo aveva già esplorato nel Novecento. Forse anche prima.

In effetti, se si deve prestare fede a Fred Prieberg, Mozart, subissato dalle richieste, cominciò a comporre Walzer con i dadi[8].

A di là di quest’ultima mera curiosità, che vera o no, è senz’altro nello spirito di questa discussione, probabilmente nessun musicista è “algoritmico”, e nessun musicista si pone la questione di musica e pensiero come Iannis Xenakis.

Non a caso egli stesso chiama la sua musica stocastica; e questo ha molto a che fare con lo spirito del nostro tempo.

Xenakis – architetto che collabora con Le Corbusier, ingegnere, compositore ed esecutore musicale – utilizzava modelli matematici e concetti di probabilità per creare opere musicali che esplorassero nuove frontiere sonore e strutturali; personalità poliedrica non si limitò a farlo, ma lo teorizzò[9]; e lo fece nei termini del problema – tipico dell’interpretazione giuridica – della riconduzione del particolare in un dato universale.

Cito: «la musica è l’arte che prima di ogni altra […] opera un compromesso fondamentale tra il cervello astratto e la sua materializzazione sensibile, cioè ristretta entro limiti umani. Ritroviamo qui una convinzione antica: la musica è l’armonia del mondo ma omomorfizzata dal dominio del pensiero attuale»[10].

Per Xenakis l’armonia resa in forma omologa al pensiero ha un nome: musica stocastica.

Dice Xenakis, la musica stocastica fa riferimento «alle teorie del calcolo delle probabilità che classificano il determinismo in senso stretto come aspetto particolare di una logica più generale il cui limite è il puro caso […]. E che consente la risoluzione dei problemi di continuità e di discontinuità delle entità sonore composte. D’ora in poi chiameremo questo corpo “sistema stocastico’’, dal termine stocastico introdotto per la prima volta da Jacques Bernoulli, uno dei fondatori del calcolo delle probabilità»[11].

In effetti: στοχαστικός significa «congetturale», «che mira bene, abile nel congetturare». Questo ha molto a che fare col problema pratico, decisorio del diritto; e poco con la pretesa sillogistica di cui sopra, di ridurre tutto cioè a sistema senza variabili e senza “coni d’ombra”.

Perciò: «Il compositore contemporaneo deve essere un pioniere. È obbligato a rimettere tutto in discussione sia sul piano della forma sia sul piano della realizzazione sonora»[12].

Lo fa con le macchine: Musica ex machina; negli anni Sessanta Xenakis progetta e utilizza, insieme a IBM France, un programma algoritmico di composizione musicale; questo perché – dice – «la sua meccanizzazione e di conseguenza i test e i modelli di ogni tipo che potrà introdurre nei calcolatori che faranno progredire di molto le scienze musicali»[13].

Questo perché «libero da fastidiosi calcoli, il compositore può ora dedicarsi maggiormente ai problemi generali posti dalla nuova forma musicale e esplorare le pieghe e gli angoli di questa forma modificando i valori dei dati iniziali»[14].

Un ordine più complesso di quello immediatamente visibile; che risponde a leggi probabilistiche non immediatamente assiomatizzabili.

Non posso qui diffondermi sui contributi di storia della filosofia di Xenakis, che sono molto interessanti, soprattutto quelli su Parmenide e sul Pitagorismo[15]; ma è importante qui osservare che, per Xenakis, «sono le evidenze primarie di quest’ordine che ci consentiranno d’inscriverci nel campo pitagorico-parmenideo e di fondare la piattaforma da cui potremo gettare i ponti della comprensione e dell’intelligenza nel passato (di cui siamo il prodotto da milioni di anni), nell’avvenire (di cui siamo ugualmente il prodotto)»[16].

Interessante è la continuità che Xenakis ravvisa. C’è però da considerare almeno un aspetto: mentre Xenakis consente al musicista la massima libertà – uno dei principi della musica stocastica è immettere nel sistema sonoro il minor numero possibile di regole assiomatiche della composizione –, il giurista, questo non lo può fare. Deve distinguere musica da rumore, deve cioè comprendere cosa sia adatto a che cosa, applicando la triade ermeneutica di Betti.

Ora, credo abbiamo elementi sufficienti per rivolgerci ad un’altra questione (apparentemente “altra”); quindi: definizione di stocastico come «congetturale» afferente alle «teorie del calcolo delle probabilità che classificano il determinismo in senso stretto come aspetto particolare di una logica più generale il cui limite è il puro caso» (supra); algoritmo come cifra del nostro tempo, problema giuridico e cibernetica.

Ho appena usato una parola già desueta nonostante il sapore “futuristico” che aveva nella nostra (almeno mia) infanzia: cibernetica.

Il termine è stato coniato da Norbert Wiener, sulla base del greco kybernhetes, che significa “timoniere”. Qui si possono vedere i primi legami tra scienze giuridiche e tecnologie informatiche. Conviene subito dire che si concentra sulla teoria secondo cui il comportamento sia dei sistemi viventi sia delle macchine può essere compreso attraverso l’analisi dei cicli di feedback e controllo, un’idea che ha esercitato un’influenza profonda su aree di studio come l’intelligenza artificiale, la robotica e la scienza cognitiva.

Fra i tanti motivi di interesse che Wiener suggerisce, uno in particolare va qui considerato: il suo lavoro nel campo della teoria del rumore e dei processi stocastici, Wiener ha posto una pietra miliare per lo sviluppo di tecniche di analisi dei dati, con implicazioni significative per l’elaborazione di algoritmi di intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico. Su quella strada si muovevano, poco a ridosso, Vittorio Frosini e Mario Losano[17].

Proverò a sintetizzare: la tesi di fondo di Wiener è che «La società può essere compresa solo attraverso lo studio dei messaggi e delle strutture di comunicazione che le appartengono; e che nello sviluppo futuro di questi messaggi e strutture di comunicazione, i messaggi tra uomo e macchina, tra macchina e uomo e tra macchina e macchina, sono destinati a svolgere un ruolo sempre più importante»[18].

Frosini osserva, riferendosi a Wiener, che «un messaggio è una sequenza di quantità, che rappresenta dei segnali in quel messaggio […]. Una macchina serve per l’appunto a trasformare un numero di messaggi ricevuti in un numero di messaggi emessi in corrispondenza»[19].

Nel suo studio sulla teoria dei sistemi Wiener, alla fine degli anni Quaranta, aveva già considerato il problema della riducibilità\irriducibilità dei messaggi entro un sistema di comunicazione; in particolare, poggiandosi sulla teoria dei suoni, propone un approccio matematico che mira a ricostruire un segnale originale, eliminando il rumore indesiderato presente nel segnale osservato, basandosi su una stima accurata del segnale desiderato e sulla progettazione di un filtro ottimale.

È una definizione basica del così detto “filtro di Wiener”, un filtro stocastico che permette di ridurre le discordanze nelle comunicazioni tra uomo e macchina.

Un processo stocastico è una collezione di variabili casuali che evolvono nel tempo secondo una certa legge di probabilità. Queste variabili casuali possono rappresentare quantità che cambiano in modo casuale nel tempo o nello spazio, come ad esempio il movimento di particelle in un fluido, il prezzo di un’azione in borsa nel tempo, o i suoni generati in un processo musicale stocastico.

È così, del resto, che si era espresso Xenakis; è così che affronta la questione Wiener.

Si può provare a trarre delle provvisorie conclusioni: il diritto (oggi) è musica stocastica; ma se è vero – come dice lo stesso Xenakis – che «le musiche di tutti i tempi, compresa la musica seriale, costituiscono i casi particolari di una musica indeterministica, cioè stocastica»[20]; forse anche il diritto in qualche modo lo è sempre stato.

Traslando il concetto di filtro stocastico nel contesto della giustizia, i “segnali” possono essere individuati negli esiti dei procedimenti giudiziari e il “rumore” nelle anomalie e le variazioni casuali che possono influenzare negativamente l’analisi dei dati legali.

Xenakis aveva osservato che nella composizione stocastica, nella musica ex machina, il vantaggio è dato dalla libertà «da fastidiosi calcoli, il compositore può ora dedicarsi maggiormente ai problemi generali posti dalla nuova forma musicale e esplorare le pieghe e gli angoli di questa forma modificando i valori dei dati iniziali» (supra).

In questa analogia, i dati legali, spesso sovraccarichi di informazioni non pertinenti e distorsioni, necessitano di essere filtrati per estrarre pattern e tendenze rilevanti.

L’applicazione delle tecniche di filtraggio nel campo della giustizia evidenzia l’importanza di un’analisi preliminare dei dati per stabilire le caratteristiche essenziali del segnale e del rumore.

La scrupolosità nell’esecuzione di queste procedure è fondamentale per l’efficacia del filtro, sottolineando la necessità di una comprensione approfondita dei processi aleatori e delle loro statistiche in contesti multidisciplinari.

Che musica è, dunque il diritto? Penso si possa rispondere, sulla base non solo del dibattito gius-filosofico di oggi ma anche di ieri, che è una musica stocastica, ma con quei filtri capaci di discernere, filtrando, musica da rumore.

Possiamo temere l’errore della macchina: dobbiamo temere l’errore della macchina; ma non possiamo ignorare che l’uomo commette errori, e non possiamo ignorare che più aumenta il numero di variabili in gioco, più aumenta il rischio che noi uomini possiamo commettere errori.

Di là – io penso – da attese millenaristiche sul futuro prossimo del dialogo uomo-macchina, dialogo che non può d’altra parte essere interrotto gettando uno zoccolo, un sabot negli ingranaggi – “sabotaggio” – possiamo io credo guardare con una pacata serenità a questa nuova era.

In fondo la vergogna prometeica, per dirla con Ghünther Anders, è un sentimento utile, perché è un altro modo, per ricordarci i nostri limiti.

Uno guardo quindi che non dovrebbe essere né pregiudizialmente alleluiatico e neppure affetto da quel pessimismo apocalittico che potremmo indicare – parla un filosofo in musica: Manlio Sgalambro – come una «catastrofe psico-cosmica [che] [ci] sbatte contro le mura del tempo»[21]; ma che per forza di cose ci porta a interrogare, non le macchine, ma noi stessi.

VALERIO MORI

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[1] Alfredo Rocco, La sentenza civile: studi, Fratelli Bocca, Torino 1906, p. 5.
[2] Salvatore Satta, Giurisdizione (nozioni generali), in «Enciclopedia del diritto», vol. XIX, Giuffrè, Milano 1970, ad vocem. Su questo rinvio alle acute osservazioni di Marco Cossutta, Sull’interpretazione della disposizione normativa e su i suoi possibili rapporti con l’interpretazione musicale, in “Tigor. Rivista di scienze della comunicazione”, 1, 2011, pp. 101-112; part. pp. 103-104.
[3] Emilio Betti, Teoria generale della interpretazione, edizione rivista ed ampliata a cura di Giuliano Crifò, Giuffrè,
Milano 1990, pp. 157-158.
[4] Ivi, p. 205.
[5] Giuseppe Capograssi, Intorno alla logica del processo (ricordando Giuseppe Chiovenda), oggi in Id., Opere, a cura di Mario D’Addio, Gabrio Lombardi, vol. IV, Giuffrè, Milano 1959, pp. 131-169.
[6] Gisèle Brelet, Esthètique et crèation musicale, Pariis 1947, cit. in Giorgio Graziosi, L’interpretazione musicale, Einaudi, Torino 1952, p. 20.
[7] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2023-0188-AM-808-808_IT.pdf.
[8] Fred K. Prieberg, Musica ex Machina, Einaudi, Torino 1963, cit. in Giuliano Lombardo, Composizione algoritmica e creatività automatica, in “Rivista di psicologia dell’arte”, 21, 2010, pp. 5-11, p. 5.
[9] Si veda Iannis Xenakis, Musica architettura, a cura di Letizia Lionello, Giancarlo Secco, Angelo Varese, Spirali, Milano 1982. 
[10] Iannis Xenakis, Le tre parabole, ivi, p. 17.
[11] Iannis Xenakis, Formalizzazione e assiomatizzazione della composizione musicale, ivi, p. 23.
[12] Iannis Xenakis, Tre poli di condensazione, ivi, p. 28.
[13] Iannis Xenakis, Verso una metamusica, p. 54.
[14] Iannis Xenakis, Tre poli di condensazione, p. 29.
[15] Iannis Xenakis, Verso una filosofia della musica, ivi, pp. 55 ss.
[16] Iannis Xenakis, Verso una filosofia della musica, ivi, p. 63.
[17] Cfr. Vittorio Frosini, Cibernetica, diritto e società, Edizioni di Comunità Milano 1968; Mario Losano, Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel diritto, Einaudi, Torino 1969. Cfr. Giovanni Sartor, “Cibernetica, diritto e società”, tra passato e futuro dell’informatica giuridica, in V. Frosini, Cibernetica, diritto e società, RomaTre-Press, Roma 2023, p. XI ss.
[18] Norbert Wiener, The Human Use of Human Beings. Cybernetics and Society, Doubleday, Garden City (NY) 1954, p. 16.
[19] Vittorio Frosini, Cibernetica, diritto e società, ed. 2023 cit., p. 98.
[20] Iannis Xenakis, Tre poli di condensazione, ivi, p. 27.
[21] Cfr. F. Battiato, Shakelton, in Id., Gommalacca, Polygram 1998.