Morire vecchio a Parigi

di VALENTINA DI GENNARO

Qualche giorno fa è morto a Parigi Toni Negri. Il “cattivo maestro” di una generazione, è stato per la mia invece, quello sulle cui tesi riguardo l’imperialismo si è basato un profondo dibattito sulla fine degli Stati nazione e sulla nascita di concetti come l’altermondalismo, la moltitudine, l’antiglobalizzazione e le periferie dell’impero. Filosofo, politologo, attivista, professore e ricercatore accademico, politico. Toni Negri è stato moltissime cose contemporaneamente e sempre a dispetto di qualcosa. 

In occasione dei suoi novant’anni, lo scorso 1 agosto, “il manifesto” pubblica una sua lunga  intervista.

“Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi”. 

Così rispose alla prima domanda: “Come vivi oggi il tuo tempo? “Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù”.

L’apposizione del “cattivo maestro” Toni Negri se lo sente appiccicato addosso perché  coinvolto nel processo “7 aprile”, dal quale ne uscì assolto dalle accuse di terrorismo e di insurrezione armata,  ma condannato a 12 anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale in una rapina del 1974. Tornato in Italia dalla Francia nel 1997, ha scontato complessivamente 11 anni e mezzo di carcere. Una condanna, a detta dello stesso Cossiga, con il quale aveva condiviso uno spirito cattolico giovanile, decisamente sproporzionata. 

“Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

 -Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale”.

Anche quando nei primi anni duemila iniziarono i suoi studi e le sue teorie su cosa significa in quel momento opporsi a logiche mondiali, la costituzione delle lotte che non potevano più essere solo quelle nazionali, fu osteggiato anche da parte della sinistra poi radicale.

Come ricorda anche Sergio Bianchi, ci sono tuttora oscure, ma nemmeno troppo,  le ragioni del perché Toni Negri sia lodato dagli intellettuali di mezzo mondo quanto disprezzato da quelli italiani.  

Toni Negri è stato un acuto intellettuale capace, prima di altri, di cogliere cambiamenti epocali. 

Per adesso, la vita gli ha dato ragione, facendolo morire, vecchio, a Parigi. 

VALENTINA DI GENNARO

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