MACULA NON EST IN TE

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Se Dio è maschio allora il maschio è Dio!

Questa frase propone una figura retorica che rientra nell’iperbole (tra l’altro, non corretta in termini logici!) che chiarisce, tuttavia, una realtà subliminale. Scopo del presente articolo è quello di declinare questa figura nel dominio della mariologia e specificatamente nel dogma della Immacolata Concezione che oggi, 8 dicembre, si festeggia.

Ciò avverrà attraverso l’ausilio di  tre parametri: affermazione della supremazia maschile, bisogno di compensazione psicologica, ambivalenza simbolica.

 

SUPREMAZIA MASCHILE. Dichiarare Maria  modello è porre abisso fra un ideale e la donna concreta: mai un essere femminile potrà raggiungere quel livello. La femmina è discendente di Eva, dunque peccaminosa . Maria come l’anti-Eva è il polo opposto. Più si rafforza il polo della non contaminazione dal peccato più si intensifica l’opposto polo della peccaminosità, della debolezza, della inferiorità. La polarizzazione, dunque, sarebbe al servizio della supremazia maschile.

 

IL BISOGNO DI COMPENSAZIONE.  La distanza dal modello ideale femminile da parte della donna concreta presenta, però, un aspetto psicologico molto importante. La falsa innocenza della misoginia della Chiesa  affiora immediatamente attraverso il meccanismo della compensazione: esisterebbe un bisogno di emendare  la colpa contro la donna, a livello dell’ inconscio, elevando il femminile a divinità!

Un meccanismo di” gloria compensativa” che agisce negli strati profondi della psiche: più forte il bisogno di incolpare la donna, più forte il bisogno nell’inconscio di scusarla attraverso una figura ideale.

 

L’AMBIVALENZA SIMBOLICA. Gli aspetti negativi sopra esposti possono, tuttavia, essere sottoposti ad esiti diversi.  Ogni simbolo per sua natura è ambivalente ovvero esiste sempre un surplus di significato a differenza del semplice segno. Il simbolo è una spada a doppio taglio.

I due dogmi della Immacolata Concezione e della Assunzione potrebbero rivelarsi, addirittura, come una negazione del mito del male femminile, un rifiuto della “caduta” della religione nell’assoggettamento al patriarcato (Mary Daly).

Questa ambivalenza costituisce un grave pericolo per l’ostinato sessismo che ha caratterizzato la Chiesa nel passato (oggi certo più attenuato). Caso esemplare la complessa vicissitudine della Immacolata Concezione (il dogma, dopo lunghissima esitazione, è stato enunciato solo nel 1854).

Una festa che ha come origine una iniziativa popolare risalente al VIII secolo e che ha condotto ad un dibattito intenso tra “immaculisti” e “maculisti”. Lo schieramento contrario al dogma era caratterizzato da figure eccelse: Bernardo da Chiaravalle, Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, Bonaventura ed altri (fa eccezione Duns Scoto).

La ragione del rifiuto ad accettare che Maria fosse nata “senza macchia del peccato originale” era che si intravedeva in ciò una vera e propria minaccia alla supremazia del maschile. Argomento suffragato a livello conscio con sottili argomentazioni teologiche che ponevano in risalto come il tutto rendeva superflua la redenzione di Cristo nei confronti del peccato originale, almeno per Maria. Ed ancora, rendere oggetto di culto la nascita di Maria voleva significare venerare la concupiscenza dei suoi genitori!

Insomma, dietro i ragionamenti teologici si intravedeva molto chiaramente la minaccia gravissima di un attentato alla supremazia maschile: una donna  concepita senza peccato non ha alcun bisogno di essere salvata dal “maschio”. Ed ancor più grave: una donna  viene “assunta” in cielo costituendo così il vertice della umanità. Una donna “si leva” verso l’incorporazione della divinità: un attentato alla supremazia del maschio!

 

CONCLUSIONE. La supremazia maschile realizzata attraverso  la costituzione di un modello irraggiungibile per la donna concreta costituisce, nel profondo dell’inconscio, una necessità compensativa della colpa che  conferma l’intento misogino. Tuttavia, non sempre i fini che si vogliono perseguire ottengono il risultato atteso. L’ambivalenza può capovolgere  gli obiettivi sperati.

Le osservazioni di Jung a tal proposito sono incisive: l’unico raggio di luce è Pio XII e il suo dogma. Ma la gente non sa nemmeno a cosa mi riferisco quando lo dico.

 Nel momento in cui Maria è esente dalla infectio carnis e si pone come essere umano “assunto in cielo”il simbolo trinitario viene, per Jung, “smussato”a tal punto da pensare ad una “quarta persona” (era questo ciò che si temeva da parte degli eminenti “maculisti”). Un tentativo dell’inconscio collettivo di superare la dicotomia maschio-femmina. Naturalmente una lettura aberrante se giudicata dalla istituzione ecclesiastica ma il punto chiave è che quasi sempre i simboli hanno una loro vita propria e non possono facilmente essere manipolati a proprio piacimento. L’attenta reazione è stata quella di “limitare” il culto mariano affinché non debordasse oltre i limiti consentiti: se a Dio ed alla Trinità si deve il massimo, cioè la latria, ai santi si deve il minimo, cioè la dulia. E a Maria? La formula escogitata è andare oltre il culto dovuto ai santi ma non di più, dunque solo una iper-dulia!

Lo stato “quasi-divino” di Maria se costituisce il mezzo di supremazia del maschile per separare la donna concreta dall’ideale irraggiungibile, per il meccanismo dell’ambivalenza finisce per immettere nel sistema sessista della Chiesa l’archetipo del principio femminile della Grande Madre in quanto “Madre di Dio” (Simone de Beauvoir).  Mégale Méter, Il grande simbolo che l’umanità non è riuscita mai a cancellare.

La Chiesa sembrava condannata al fallimento, destinata a perire nel sangue tra i cadaveri insanguinati delle sue vittime, quando il popolo scoprì Maria. E solo quando Maria, andando contro i rigidi decreti della Chiesa, fu dissepolta dall’oblio in cui l’aveva confinata Costantino e si identificò con la Grande Dea, il cristianesimo venne tollerato finalmente dal popolo ( Elizabeth Gould Davis).

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 Si può essere a buon diritto indifferenti ad ogni manifestazione di tipo religioso, si può nutrire odio o ripugnanza  ma non si può essere indifferenti ad una delle cause più rilevanti della inferiorità della donna nei confronti del maschio. Fintantoché rimarrà valida l’impossibilità che mani femminili possano procedere alla “transustanziazione” il dramma di genere trarrà alimentazione. Se la causa di questa impossibilità risiede nella “impurità” del femminile l’inconscio collettivo non sarà minimamente toccato ed ogni riforma di consuetudini, di legge, di comportamenti, di insegnamenti sarà solo un progresso puramente formale.

Una pietra di inciampo nel difficile tema dell’”educazione sentimentale”.

 CARLO ALBERTO FALZETTI

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