LA SCARZUOLA
di LUCIANO DAMIANI ♦
Tutti noi abbiamo dei luoghi che ci incuriosiscono, per i quali non sai bene cosa attenderti ma che pensi valga la pena visitarli, luoghi che “un giorno dobbiamo andarci”, quei posti che richiedono la prenotazione con grande anticipo, sperando nella clemenza del tempo per quel giorno. La Scarzuola é uno di questi, un desiderio durato quasi un anno, o forse più, Ci vado senza approfondire ciò che troverò, preferisco andarci senza preconcetti, senza condizionamento alcuno dovuto ad informazioni ‘preventive’, senza cioè crearmi delle aspettative, aperto a quanto troverò. Non mi é mai piaciuto avere ‘aspettative’ quando vado a visitare un qualche luogo o anche semplicemente quando vado al cinema, preferisco l’emozione dell’inaspettato, il coinvolgimento emotivo della sorpresa, dell’impatto o dell’incontro imprevisto, come se, informandomi prima, potesse venirmi meno il pathos del luogo o della storia.
La Scarzuola é un luogo, o forse un non luogo, a circa una 40ina di chilometri da Orvieto, verso nord, uscendo dall’autostrada al casello di Fabro. La strada richiede una andatura lenta, il navigatore dice che da Orvieto ci vuole quasi un’ora, Non è un borgo, Google Map così lo definisce: “Complesso architettonico ristrutturato del XVI.mo secolo con Convento”. Di questo luogo so che si tratta della realizzazione di un architetto milanese che aveva voluto creare una sorta di città ideale, non mi informo oltre.
La visita non ci sarà in caso di pioggia, ma per fortuna, smette di piovere in prima mattinata per cui partiamo. Come da indicazioni del sito lasciamo l’AutoSole a Fabro e ci dirigiamo verso Montegabbione, Montegiove, infine il cartello “la Scarzuola” ci indirizza verso l’ultimo tratto di strada sterrata, pochi chilometri che non richiedono particolare attenzione. Giungiamo ad un improbabile parcheggio, un signore ci indica dove parcheggiare. Scendiamo ed un altro propone l’agriturismo giusto nel quale pranzare al termine della visita. Dinanzi a noi un muro di cinta con un portale che immette in una sorta di sagrato, racchiuso e raccolto da un muro che ospita le stazioni della Via Crucis. In fondo quella che appare essere una chiesa con un porticato, lì davanti c’é già il gruppo di visitatori che ascoltano in silenzio ed attenzione la guida che ha già iniziato a presentare il luogo.

La chiesa casa del proprietario
A questo punto, chi avesse intenzione di visitarla, non legga oltre, é vivamente sconsigliata la prosecuzione della lettura.
La persona é affatto una guida ‘normale’, anzi, già a primo acchito non sembra propriamente ‘normale’. Lui, Marco Solari, é un signore fra i 60 e 70, è il proprietario del luogo, luogo ereditato dallo zio Tomaso (con una ‘n’) Buzzi, architetto di fama, specialmente nell’ambiente milanese. Il Buzzi aveva pensato ad un luogo, dove ritirarsi, nel quale costruire strutture e giardini pieni di simbolismi a comporre una sorta di percorso che conduca alla riunificazione dell’essere, perché “l’uomo é ma non é” deve fare tanta strada, un percorso idealmente ricostruito in quel luogo. L’architetto acquista la struttura che consiste in un convento e del terreno attiguo che sorge laddove pensò di fermarsi Francesco d’Assisi riparandosi con le fronde di una pianta, chiamata ‘scarza’, che cresceva in un piccolo acquitrino ancora lì presente. L’architetto lasciò questo mondo prima di terminare l’opera che fu terminata dal nipote erede Marco Solari che tutt’ora abita il luogo. La sua casa é la chiesa, arredata come una chiesa “se é una chiesa… perché cambiarla?”.

Panoramica di una parte del complesso, ogni cosa ha un significato
Già dai primi momenti si capisce che la guida é del tutto sui generis: “questa é una chiesa. Ma quando entrate in chiesa pensate di entrare in chiesa? No, voi entrate in una vagina…” “E poi che vedete? Cosa c’è? Una balaustra. E che dice la balaustra? che voi siete di qua e loro sono di là…. Avete capito o no?”
Segue una risata quasi diabolica o maniacale, che lascia tutti piuttosto perplessi, ancor più della “vagina”. Forse é quella risata che tiene tutti ‘frenati’ incapaci di avviare un minimo tentativo di rapporto con lui.
Comunque lo seguiamo, tra l’allibito e il perplesso, lungo il percorso che si snoda fra le costruzioni, i prati, i vialetti coperti dai tralci della vigna, le salite e le discese. Ad ogni sosta simbolismi e richiami ai miti classici si mescolano ad allegorie e metafore, citazioni erudite e spiegazioni che terminano con l’immancabile “avete capito o no?” Una pausa.. “È difficile” e l’immancabile risata.
Il tema principale pare essere la necessità di arrivare a riscoprire se stessi a “realizzare l’essere”, sono pochi quelli che ci riescono, ma “Loro ci sono riusciti”, “quelli che comandano”. “Vengono qui e fanno il percorso per ritrovare il proprio essere”. Loro, quelli che comandano, ci hanno riempito di cose che non sono nostre, spiega la guida, e siccome siamo pieni di cose che non sono nostre, “noi non siamo noi”, “noi non siamo”.
Per fortuna, fra una risata e l’altra, ci dice cosa dobbiamo fare per ritrovarci. Provo ad azzardare una sequenza…. Occorre “liberarsi di tutta la merda che abbiamo dentro”, una volta fatto questo, possiamo pensare di creare qualcosa di veramente nostro come fa l’artigiano che unendo la non materia dell’idea alla materia tangibile, realizza l’oggetto, ma per riuscire a farlo occorre “riunire il cuore che non è sano, é spezzato in due” occorre quindi trovare i due pezzi, farli incontrare e combaciare, solo unendo le due parti del cuore che si libera e scatena la fiamma della creazione, che diventiamo infine creativi e quindi noi stessi.
Prendiamo atto che noi non abbiamo il cuore, esso è diviso in due…. Mi é venuto da chiedere: “scusi, ma dove li dobbiamo cercare i pezzi?”, ma mi son trattenuto.
Dopo un’ora e mezza abbondante di visita, nessuno ha avuto il coraggio di fare una domanda che una… una sola persona ne ha avuto la sfrontatezza, chi non crea non é!
Ad un certo punto del percorso siamo scesi in basso come in un buco “la merda” dal quale ne siamo usciti percorrendo una lunga scalinata che pian piano, scalino dopo scalino portava alla meta finale dell’essere, così “come la libellula che, dallo stato di verme nella merda, pian piano dispiega le ali e vola via”, almeno così credo.

Si scende sino a quella porta in basso, quasi interrata, oltre la quale si prosegue risalendo per una lunga scalinata.
Tutto però é vano se non troviamo il nostro “asse gravitazionale”, ancoraggio per i nostri sbandamenti, si che possiamo ondeggiare, sbandare ma non perderci… così come Battiato cerca il suo “punto di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea… “
Ogni stazione, ogni prospetto, ogni oggetto, ha in questo luogo il suo significato, allegorie, simbolismi anche esoterici, occhi, triangoli, bilance, alberi inceneriti ecc.. sono diffusi fra le costruzioni ed il giardino che le avvolge. Ma c’é sempre un fattor comune per tutto il percorso, ci sono “loro”, “quelli che comandano”, quelli che ci impediscono di essere noi stessi, poveri coglioni, “riempiendoci di merda”, di cose che “non sono nostre”.

Il tempo che é ma che non é
Ma siccome il tempo avanza, nascono le nuove generazioni che son diverse, allora occorre adeguarsi ad esse trovare un modo nuovo per controllarle…… ecco quindi l’idea geniale della intelligenza artificiale “AI”.
Ovviamente ed immancabilmente chi, se non la Chiesa, ha usato l’AI per prima? Non c’é complottista al mondo che non metta la Chiesa al primo posto di “quelli che comandano”, che però non si é capito chi sono… o meglio, un nome l’ha fatto, Mario Draghi, dice che ha fatto il suo bel percorso alla Scarzuola… Sarà vero?
Ma anche loro, quelli che comandano, sebbene intelligentissimi, qualche problemino ce l’hanno, hanno visto che la situazione non é più tanto controllabile, allora hanno deciso meglio di lasciarla andare, di far sfogare le crisi internazionali “vedrete che casino che succederà, già le guerre scoppiano da tutte le parti” per poi, tornata la calma, riprendere in mano le redini del mondo.
Insomma, la quint’essenza del complottismo infarcito da miti leggende e storie alchemiche. Il posto é comunque bello ed interessante, merita la gita che é certamente piacevole, basta non farsi impressionare dalla risata della guida che qualcuno ha definito “horror”.
Per non tornare a casa con una bella crisi esistenziale é necessario prendere la cosa con una certa leggerezza, e se non ci si riesce, potrà essere utile leggere la definizione che il proprietario/guida da di se nel sito web:
“Il personaggio è uno stronzo, vi manda affanculo, è maleducato, vi dà dei cretini e vi ruba 10 Euro”
Il sito web del complesso: https://www.lascarzuola.it/
LUCIANO DAMIANI

E’ vero!
carlo alberto
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Ogni luogo ha la sua “anima”, nel senso che ha una propria fisionomia fisica un proprio carattere, delle tendenze, aldilà della sua essenza geografica e topografica, a cosa serve e addirittura da chi e per chi è stato realizzato, quando si tratta di una creazione umana. Quale visitatore di luoghi o di abitanti o comunque di fruitore, se hai dei contenuti estetici che muovano le mie emozioni, preferisco in modo molto superficiale fermarmi a queste. Che naturalmente dipendono anche dal mio carattere dei miei pensieri di quel momento.nel caso specifico, non dimentichiamo che siamo vicini a Bomarzo e che tutta la Tuscia, a non voler parlare d’altro, è stata nei secoli un luogo dove molti personaggi, sotto varie vesti, hanno dato libero sfogo alle loro emozioni dei loro sentimenti.
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Riscrivo il mio commento senza errori (spero), confidando che Marcello o altri amici che possano, cancelli quello sopra.
Ogni luogo ha la sua “anima”, nel senso che ha una propria fisionomia fisica, un proprio carattere, delle tendenze, al di là della sua essenza geografica e topografica, a cosa serve e addirittura da chi e per chi è stato realizzato, quando si tratta d’una creazione umana. Quale visitatore di luoghi, di abitante o comunque di fruitore, se il luogo ha dei contenuti estetici che muovano le mie emozioni, preferisco in modo molto superficiale fermarmi a queste. Che naturalmente dipendono anche dal mio carattere, dai miei pensieri di quel momento. Nel caso specifico, non dimentichiamo che siamo vicini a Bomarzo e che tutta la Tuscia, a non voler parlare d’altro, è stata nei secoli un luogo dove molti personaggi, sotto varie vesti, hanno dato libero sfogo alle loro emozioni ed ai loro sentimenti.
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