RUBRICA “BENI COMUNI”, 56. VISTA INCANTEVOLE, ARIA FINA E ALTRE DELIZIE DELLA VILLEGGIATURA A SAN LIBORIO
di FRANCESCO CORRENTI ♦
«La fraiſcheur vint avec le mois de Septembre, on commença à se promener à la Campagne & quand mes occupations me le pouvoient permettre, je ne manquois gueres d’aller viſiter les environs de Civita-Vechia.» (nota 1)
Noi qui siamo ormai a ottobre e ci accingiamo a festeggiare (è anche il mio onomastico) il Santo padre Francesco da Assisi, fondatore nel 1209 del primo ordine dei Religiosi chiamati oltre che naturalmente Francescani, anche Frati minori o Minoriti, che poi si suddivisero nelle tre famiglie degli Osservanti, dei Conventuali e dei Cappuccini. Il secondo ordine è quello femminile delle Clarisse di Santa Chiara ed il terzo quello dei Terziari, distinti in regolari e secolari. Da un altro omonimo San Francesco, quello di Paola, fu fondato l’ordine dei Frati Minimi, nel 1435, detti popolarmente “Zoccolanti” e così erano chiamati anche a Civitavecchia, dove era sorta dal 1863 al 1872 la loro chiesa dedicata ai Martiri del Giappone. Ma lascio da parte la digressione francescana – che ho ripreso da una nota dei Viaggi (nota 2) – e torno al père Labat, autore della frase di esordio.
Le giornate di settembre – sia pure con un clima assai diverso da quello degli anni civitavecchiesi del domenicano – sono state anche per noi più fresche e adatte a passeggiate agresti, ma essendo capitato in quei “dintorni” da lui citati, anzi proprio in quel preciso posto che sta per descrivere (ed io con lui), ne ho dovuto ancora una volta constatare la totale diversità da allora, consapevole di essere stato uno dei responsabili del cambiamento, con la pallida attenuante del dovere d’ufficio. Sono infatti volontariamente andato – oltretutto per banali motivi gastronomici – in un “grande punto di vendita al pubblico di prodotti alimentari” situato in un viale intitolato “dell’Orto di Santa Maria”. Ed anche in questa denominazione c’è tutta la mia responsabilità. Quindi, lascio a Lui la parola, ascoltandolo nella sua entusiastica descrizione di San Liborio, luogo «dove i Domenicani hanno una casa di villeggiatura con cappella», meta di pellegrinaggio e di ameni soggiorni panoramici.
«Avevamo una graziosa casa di campagna con una vigna e un orto abbastanza grande e una piccola Cappella a due miglia dalla Città in direzione Nord-Est. La Cappella era dedicata a San Liborio, che si invoca in Italia per la renella e i calcoli: in Francia si chiama “S. Liboire”, ma non so quale male vi guarisca. Se ne fa la Festa il 18 settembre. C’è una specie di Confraternita, il Priore e la Priora fanno gli onori di casa e ricevono i Religiosi che ci vengono a celebrare le funzioni, le persone di riguardo e gli amici che hanno invitato.
«Arrivano pure dei Savoiardi a vendere le loro cianfrusaglie e dei cuochi molto alla buona: si fa una specie di piccola Fiera, ci si diverte e dopo la funzione della sera si fa l’elezione d’un Priore e d’una Priora per la Festa successiva. In altri tempi questo luogo è stato occupato dalle case di campagna degli antichi Romani. Da qui la vista è incantevole, l’aria fresca, il terreno stupendo, l’uva, la frutta, i legumi eccellenti. Si trovano quasi ad ogni passo dei ruderi monumentali, che segnalano che in questo luogo e in tutti i dintorni ci sono state delle abitazioni. E come se ne potrebbe dubitare dal momento che le rovine del Palazzo e dei Bagni dell’Imperatore Adriano non si trovano che a cinquecento passi? Malgrado la fertilità del terreno, questa località è incolta. Per buona parte è una radura; vi sono in abbondanza lecci; c’è molta ginestra, ginepro, sermollino, timo, maggiorana, lavanda ed altre erbe aromatiche in gran quantità. È là che si portano al pascolo le greggi bel posto e dei dintorni perché d’inverno e d’estate i pastori stanno fuori e le bestie alloggiano sotto lo stesso tetto. Non si potrebbe immaginare come questo pascolo dia un buon sapore al bestiame che vi si è nutrito: i capretti e i montoni hanno un gusto che non si trova altrove. I capretti soprattutto sono infinitamente apprezzati, vengono inviati in gran quantità a Roma, si lavorano le loro pelli e se ne fanno dei guanti che vengono venduti per tutta Europa. Sono i “guanti di Roma” tanto ricercati.» (pp. 202-203)
La casa di San Liborio piace moltissimo a padre Labat ed è apprezzata anche dal Priore, padre Canalucci, e dagli altri frati che, pochi per volta, possono goderne, per l’aria fine, per i tanti prodotti della campagna e, certamente, per quella vita meno rigida e più rilassata che il luogo di villeggiatura permette rispetto al convento in Città. Tanto da ospitarvi, per ricambiarne le gentilezze, il gentiluomo napoletano don Gaetano Capece, che era stato il munifico anfitrione nel breve viaggio in Feluca da Roma a Civitavecchia, dal 25 al 30 novembre 1715, del Labat e – nel mio racconto inventato di sana pianta – del suo immaginario assistente Dottor Jean H. Watteau detto Gianvattò (qui in SLB, puntata n° 47 del 12 luglio di quest’anno, Sulla rotta di Jean Watteau veleggiando da Paolo alla Frasca):
«Don Gaetano: lo ricompensammo del nostro meglio e gli facemmo visitare la Città, la Fortezza, l’Arsenale, la Darsena e le Galere. Gli dissi poi che c’era una cosa degna della sua attenzione e che c’è l’avrei accompagnato l’indomani mattina, assicurandolo che saremmo ritornati abbastanza presto da potersi imbarcare e arrivare di buon’ora a Porto Ercole dove era diretto. Mi credette: lo condussi ai bagni di Traiano, dove lo trattenni quanto mi fu possibile, finché ci raggiunsero il nostro Priore ed un altro nostro Religioso; lo portammo alla nostra Casa di San Liborio, dove gli demmo da desinare e dove gli facemmo passare piacevolmente il resto della giornata.» (p. 380)
Ho voluto tentare una ricostruzione ideale di quei luoghi ameni che, lo ammetto, mi sono ormai cari e famigliari, tanto quanto quelle persone che me li hanno fatti conoscere.

Parlo, sia ben chiaro, di quei luoghi “di allora”, che ho iniziato a scoprire molti anni addietro, dapprima casualmente, poi con indagini mirate e consapevoli. Dopo le generiche notizie dei vari testi storiografici, un primo approccio fu rappresentato proprio dalla chiesuola di San Liborio. Guglielmotti e Calisse hanno sostenuto erroneamente che essa fosse quella parva ecclesia, que est sita in campis Civitevetule (ricordata negli Annales Januenses) dove Innocenzo IV, lasciata Sutri per sottrarsi alla cattura da parte degli uomini di Federico II, si fermò, il 29 giugno 1244, per indossare le vesti pontificali prima di raggiungere il porto ed imbarcarsi sulle galere genovesi accorse in suo aiuto. Con il ritrovamento nel 1975 del codice Campione dell’archivio di S. Maria di Civitavecchia, ho potuto accertare che la cappella di San Liborio fu invece costruita dai domenicani nel 1693. Un ritrovamento apprezzato dagli amici cultori della storia cittadina (nota 3), di cui ho dato conto pubblicando alcune parti nello stesso ’75 e utilizzando i dati acquisiti per redigere la “Relazione illustrativa al piano di zona n. 7/San Liborio” dell’aprile 1980, quando mi era ormai chiaro il quadro complessivo della situazione proprietaria delle terre nel Sei-Settecento, tra tenute della RCA, concessioni alla Comunità, beni di Santa Maria, eredità di Terenzio Collemodi e appartenenze ad altri ordini e diversi particolari, per dare poi alle stampe tante altre notizie, finalmente, nel 1985 in Chome lo papa uole…, insieme a molti brani del manoscritto allora inedito di Arcangelo Molletti, prima sfogliato e poi acquistato dalla Casanatense, commissionando il microfilm completo, come per le innumerevoli altre contemporanee ricerche in tutte le biblioteche e gli archivi.
Molto emozionante, in effetti, fu per me ricevere dalle mani di padre Giovanni De Mattia O.P. (ultimo parroco di Santa Maria), in quel convento assurdamente “fuori sito” che è oggi la sede della Curia, quel volume manoscritto da padre Giuseppe Maria Fazi dal 1700 in poi, di cui conoscevo l’esistenza dalle citazioni del Calisse. È noto che una parte delle pagine era mancante, come molte altre, compresi i disegni del cabreo, erano di difficile lettura e comprensione alla luce naturale, per la lunga permanenza in acqua prima del recupero da parte di padre Giovanni. Con pazienza e accorgimenti tecnici guidati da esperti, ho potuto trascrivere e riprodurre tutte le pagine, pubblicandone alcune ricostruite nel 1990 in “OC/quaderni del CDU”, contemporaneamente alla ricostruzione della facciata labatiana di Santa Maria in dimensioni reali. Una vera e propria “impresa” – da ogni punto di vista – frutto dell’intensa e intelligente attività posta in essere con l’istituzione nel 1977 del Centro di documentazione urbanistica sull’assetto del territorio e la storia urbana (nota 4).
Il lavoro ricognitivo e di trasposizione di manoscritti e disegni (mappe catastali, piante, prospetti e sezioni, vedute ed elaborati ricostruttivi che scaturivano in progetti di recupero urbano e di restauro scientifico) fu immenso. Accompagnato dal tentativo di riorganizzare e far collaborare le varie associazioni antagoniste sorte nel frattempo e far convivere in una operosa e pacifica convergenza le personalità più note nel campo, chiamate a far parte del Comitato Scientifico, nell’assistenza al programma culturale dell’ente pubblico locale coordinato secondo rigorosi criteri scientifici dal CDU (già immaginato come gli attuali Urban Center sorti nel mondo) – con pubblicazioni periodiche, corsi specialistici, conferenze e mostre, edizioni di opere inedite e la formazione di una raccolta civica a disposizione del pubblico in ogni campo del patrimonio pubblico collettivo, in altre parole, dei Beni Comuni.
Tempi belli, quei che rievochiamo, come cantavano alla radio e poi in “Carosello” due simpatici personaggi – avvicendatisi nel tempo – in sembianze di vecchi gentiluomini piemontesi: «Düra minga! Düra no!» Non poteva durare, a Civitavecchia, la città dei miti – come ho detto tante volte – che poi crollano improvvisamente, per stanchezza, come i famosi colossi di argilla, «per esaurimento della spinta propulsiva». Per altri interessi, forse…

Nel corso dei secoli, ne sono sorti tanti (Colossi compresi!). Perché i miti sono così: nascono, vivono – più o meno a lungo – e scompaiono. Ancora oggi, ognuno di noi ne intravede qualcuno e lo fa proprio. In qualche modo, siamo mitomani… È così, i miti sono Miti e non sempre “miti” nel senso di “inoffensivo”. A volte, al contrario, più sono mitici e meno soni miti, cioè sono più pericolosi come è appunto la mitologia di qualunque origine, religiosa, politica, culturale…
Non voglio scantonare anche qui e torno immediatamente alla casa di San Liborio. Chi volesse approfondire gli argomenti, può attingere alla vasta bibliografia di cui ho selezionato quella citata nelle relazioni del CDU all’epoca (nota 5) ma che si è molto ampliata. Sulle fonti della mia ricostruzione “pittorica” e forsanche “pittoresca”, ricordo in primo luogo la Veduta di Civitavecchia dalla parte di Levante, di Giuseppe Fabri (1788). Lì, in primo piano, si vede la chiesetta di San Liborio dei Domenicani – unica immagine esistente – e, più a valle, il cosiddetto Palazzaccio, oggi Casale Marconi. Nella cinta, da sinistra, Porta Campanella e Porta Corneto, in una rappresentazione ingenua ed imprecisa ma pur sempre utile per individuare forme, emergenze e quegli indizi che a mio parere hanno un valore documentale, ovvero gli aspetti “percepiti”, che corrispondono alle sensazioni spontanee ed inconsce. Devo poi rammentare le mappe di Girolamo Salimbeni (1727) Alessandro Ricci (1777), da cui ho dedotto le mie carte con le costruzioni, le colture, i confini e i toponimi. Altre notizie sono state riprese dagli scritti di Antigono Frangipani e Gaetano Torraca, Pietro Manzi (e altri famigliari), Vincenzo Annovazzi ecc. Oltre che da tutti i documenti reperiti (e inventariati e riordinati!) in un archivio comunale ancora ammassato in sacchi di plastica nera, nella biblioteca comunale da ricreare, all’Ufficio del Registro, nei faldoni e volumi dell’Ospedale appena trasferito nella nuova sede e così via. Con le ricerche estese agli Uffizi, a Dresda, all’Archivio di Stato di Roma e all’Archivio Centrale dello Stato, alla Biblioteca Apostolica Vaticana e Archivio (ancora Segreto), raccogliendo, catalogando, schedando. Con l’aiuto prezioso di giovanissimi ricercatori e colleghi, di cui voglio qui ricordare con affetto Paolo Taffi e Paolo Ranieri (in ordine di presenza nelle attività), straordinari ricercatori (e non solo!), ancora poco fa beneauguranti sul mio cellulare, ricambiati (e divenuti nonni a loro volta!).
Pubblico la mia prima scheda, redatta da scrupoloso amanuense, sull’«Orto di Santa Maria in hoggi detto di San Liborio», tratta dal cabreo di “fratel Gioseppe Maria Fatij”, da cui il lettore può trarre altre notizie su quella proprietà del Convento, risalente “almeno” al 1511 (quindi ai primordi delle trasformazioni), e sulla sua consistenza e le sue caratteristiche.
Termino, rivelando un piccolo segreto – se qualche lettore mi ha seguito sin qui, anzi quassù, a due miglia dalla Città in direzione Nord-Est – che riguarda il “Fontanile di San Liborio” che appare in una delle targhe stradali del quartiere, forse suscitando qualche perplessità. Dov’è? Di quale fontanile si tratta? Ebbene, non si vede ma c’è, c’è ancora. Proprio lì dove per secoli ha alleviato la sete dei pastori (siamo in una temperie politica che parla di transumanza!) e abbeverato mandrie di bovi e greggi di pecore e capre, con tanto di montoni e capretti con quel gusto, quel sapore succulento «che non si trova altrove». Non si è mai spostato. Solo, è stato interrato, sotto la quota dell’asfalto del manto stradale portato ad una livelletta uniforme. I lavori di urbanizzazione diretti dall’ottimo geometra Tassi dell’Ufficio Lavori Pubblici del Comune hanno offerto questa soluzione. Che potrebbe consentire, un giorno o l’atro, in futuro, una riesumazione con un cauto scavo archeologico. In altra occasione informerò i lettori dell’esperimento da me fatto sulla Intelligenza Artificiale applicata a San Liborio, all’Orto di Santa Maria ed ai “Savoiardi” di padre Labat. Per oggi ci fermiamo qui. Andate in pace…

NOTE
Nota 1 – Riporto la frase come scritta dal Labat nel francese classico del XVII secolo (Voyages, ed. Amsterdam1731, tome V, p. 15).
Nota 2 – CORRENTI Francesco e INSOLERA, Giovanni, I viaggi del padre Labat dalle Antille a Civitavecchia, 1693-1716 (Alla riscoperta di un domenicano francese innamorato degli Italiani), Officina Edizioni, Roma 1995, p. 387.
Nota 3 – Riporto qui di seguito, in proposito, un brano della prefazione di Ezio Calderai alla seconda edizione in due volumi di Chome lo papa uole… Note per una rilettura critica della storia urbanistica di Civitavecchia (2005). Non è la sede questa per aggiungere banali e inadeguate parole di apprezzamento e di dolore per la sua prematura scomparsa: la sua figura e la sua statura ci sono ben presenti e ne abbiamo una preziosa testimonianza su questo Blog grazie alla pubblicazione, che prosegue postuma, del suo straordinario lascito intellettuale, “I cantastorie traditi – Come si distrugge in cinquant’anni e spicci una civiltà costruita in tremila anni”. Questo il brano sulle fonti di alcune mie ricerche che ricorda quel primo entusiasmante “ascolto” di voci lontane nel tempo, eppure tanto chiare ed eloquenti, che mi avrebbe rivelato innumerevoli e precisi dettagli su luoghi non più esistenti, reso purtroppo limitato dalla distruzione – insieme ai luoghi – nei bombardamenti e nel lungo abbandono alle intemperie tra le macerie – di gran parte dei documenti: «A proposito dell’attività certosina di verifica delle fonti e di ricerca dei documenti, con una grande messe di inediti, giustamente il Dott. Carlo De Paolis, attuale amministratore della Cassa, ma meritatamente più noto come storico e, io dico, “cantore” appassionato della nostra città, sottolinea che l’opera di Francesco Correnti è tanto più importante ove si consideri che egli ebbe a consultare, trascrivere e rielaborare, a suo tempo, gli atti del fondo archivistico dei Padri Domenicani, formatosi nel corso della loro lunga presenza a Civitavecchia, risalente al 1422, anno in cui Papa Martino V aveva affidato loro la cura dell’antica chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, unica sede parrocchiale allora esistente nella Città. Ricco di notizie e frequentemente citato da Correnti, in particolare, è il cabreo denominato Campione, del 1710 ed anni seguenti, redatto dal Priore di Santa Maria, padre Fazi, contenente materiale documentario di eccezionale valore storico-culturale. Ecco, anche di questo dobbiamo essere grati a Francesco Correnti: dopo che, nel 1980, i Domenicani hanno lasciato Civitavecchia, recando con loro quanto restava dell’archivio conventuale, la sua preziosa opera ce lo restituisce almeno idealmente.»
Nota 4 – Comune di Civitavecchia, Piano d’intervento comunale per l’occupazione giovanile nei settori dei servizi socialmente utili, in applicazione della legge 1° giugno 1977, n° 285, provvedimento approvato con deliberazione C.C. n° 500 del 18 novembre 1977 (Assessori Alfio Insolera e Archilde Izzi, progettista arch. Francesco Correnti.
Nota 5 – Vedi INSOLERA, Giovanni, Le origini del culto di San Liborio a Civitavecchia,
Civitavecchia, Comune di Civitavecchia, 2000. In CORRENTI, Francesco, Chome cit., Vol. I, p.
198, nota 358 le iniziative di tutela del Campanile romanico di San Giulio poi Sant’Egidio e
sulla dimostrazione della sua errata attribuzione all’aecclesia beati Iohannis, quae in loco,
qui Taurina dicitur, sita est (GREG. M., ibidem). Vedi anche: CORRENTI F., Campanile
romanico della chiesa di Sant’Egidio (Proposta di provvedimento n. 59 del 20 novembre
1975), Atti del Servizio Urbanistico del Comune di Civitavecchia; IDEM, Programma
Pluriennale di Attuazione del P.R.G., Civitavecchia 1980, artt. 33-34; IDEM, Presentazione
del volume della ‘Centumcellae’ “Civitavecchia ed il suo entroterra durante il Medioevo”
(Civitavecchia, Piazza Leandra, 18 ottobre 1986). Sugli scavi e rinvenimenti nell’area del
campanile, v. A. GILMOUR-BRYSON, The Trial of the Templars in the Papal State and the
Abruzzi, Città del Vaticano 1982 (a pp. 90, 94 e 220 i richiami alle chiese di Civitavecchia);
sull’identificazione di Sant’Egidio con San Giulio, v. B. CAPONE, L. IMPERIO, E. VALENTINI, Guida
all’Italia dei Templari. Gli insediamenti templari in Italia, Roma 1989, pp. 206-209.
FRANCESCO CORRENTI

E andiamo in pace, più ricchi grazie a questa dotta “passeggiata” nel tempo e nei luoghi.
Maria Zeno
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