RUBRICA “BENI COMUNI”, 54. La turbina dell’Uliveto… che stava al Lazzaretto
di FRANCESCO CORRENTI ♦
«Volevo essere Mogol.» «Anch’io!» «Beh, io no!»
Questo è stato il breve “botta e risposta” iniziale tra me e il libraio della libreria “Notebook” all’Auditorium di Roma, quando ho detto il titolo del libro di Angelo Simone Cannatà che avevo ordinato giorni prima e di cui avevo ricevuto il messaggio dell’arrivo per ritirarlo. Le parole successive sono state, da parte del libraio: «Ma come! un personaggio come quello, un paroliere di grande successo, ricco e famoso …» E io ti rimando, fingendo sorpresa: «Mi scusi, lei sa perfettamente che quelle cose non danno la felicità! » «Eh, ma aiutano!»
Ho replicato negando ancora il valore di banali appagamenti venali e riaffermando che una grande soddisfazione può venirci proprio dalla lettura di cose belle e divertenti, che io poi ero «amico di Blog» proprio dell’autore del libro, di cui avevo quindi già letto alcuni racconti di raffinata ironia, e che, infine, è fondamentale avere nella vita il senso dell’umorismo e dell’autoironia. Aggiungendo quanto sia appagante – a fronte della vana attenzione al denaro – dedicarsi allo studio dei luoghi in cui si vive, alla loro storia ed evoluzione, anche e soprattutto se con il fine di poterne proporre una trasformazione positiva. E qui ho inserito la mia passione per la conoscenza di altri luoghi, di altre culture e persone, quindi per i viaggi. Il che ha coinciso col momento di pagare il prezzo del volume e quindi di estrarre dal portafoglio anche la mia tessera del TCI, che mi dava diritto ad un piccolo sconto.
«Scade a dicembre…» ha detto il libraio guardandola. Ed io: «Infatti mi è già arrivato l’avviso per il rinnovo… sto per farlo, come anche i miei famigliari, sa, sono socio dal 1948!» «Allora ha fondato lei il Touring Club!» «No, quello è stato mio padre, che era socio dal 1923…» E su queste ultime battute, dette così, tanto per chiacchierare, si è conclusa la conversazione all’Auditorium. Ma già uscendo nel portico e dirigendomi all’auto dove mi aspettava mia moglie Paola, ho guardato il libro, la foto di copertina e, sempre camminando, ho iniziato a leggere le frasi sul retro.
«Ho letto Volevo essere Mogol e mi sono fatto una risata! Ridere fa bene alla salute. Questo scritto è fantastico!» Firmato: Mogol. Cioè Giulio Rapetti (Milano, 17 agosto 1936), quello che ha voluto essere Mogol e lo è stato davvero e lo è tuttora. Mi sono sentito confermato nelle parole dette al libraio… Ma come?! “Una risata?!” Una sola?!
Ma intanto ero arrivato all’auto, ero salito a fianco della consorte alla guida e, continuando a sfogliar le pagine all’indietro, ho visto a pagina 218 il brevissimo aforisma “come si diventa adulti”, tre righe, e l’ho letto a voce alta mentre eravamo già arrivati a viale Tiziano: «Capii di essere diventato grande l’anno che a Natale salii sulla sedia per dire la poesia e mia madre invece mi fece staccare la tenda del salotto per lavarla.» Ho riso e Paola pure, di cuore. Meno male! Il libro aveva superato la dogana… I nuovi arrivi sono visti male, a casa mia. Ce ne sono troppi in casa, di libri, non abbiamo più scaffali liberi, anzi, pareti libere per mettercele, le librerie. Il motto “Più libri, più liberi”, per questi aspetti, è considerato con sospetto. Per soggiornare e gironzolare in casa, i libri nuovi devono meritarlo.
Un piccolo inciso. La libreria all’Auditorium è l’ultima delle mie “fornitrici”, quella attuale. Lo è da quando c’è, perché comoda, vicina a casa e vicinissima allo studio dei miei figli e nuora, fornitissima, accessibile senza problemi, bella, in un luogo piacevole, all’interno e in un contesto di opere di ottima architettura, con quella ormai modestissima ma pur sempre utile agevolazione dello sconto (me ne danno diritto molte delle tessere che ho in tasca, ma se ne può far valere una sola). Oltretutto, hanno chiuso tutte le altre librerie di cui ero cliente, alcune famose, molte che mi praticavano riduzioni veramente consistenti, essendo effettivamente un ottimo acquirente, con numerosi filoni tematici fissi, soprattutto professionali: urbanistica, architettura, storia urbana, legislazione in materia di urbanistica e opere pubbliche, ma poi tanti altri legati alle mie fissazioni ed ai miei hobby. Ho poco meno d’un centinaio di libri in varie lingue connessi alla mia collezione di pipe, che a sua volta aveva raggiunto i 153 esemplari di vari tipi e tantissime provenienze, conclusa dalla drastica decisione di astenermi irrevocabilmente dal fumo, passando da 60 sigarette a zero, a partire dal 4 dicembre 2002, data rimastami memorabile. La mia prima libreria fu la Galleria del Libro a via Nazionale, praticamente sotto casa di allora, dove sistematicamente mi fermavo al ritorno da scuola e dove mi ha attiravano soprattutto i grandi tomi di certe edizioni d’entomologia e altre scienze naturali. In seguito, universitario, era il posto dove si potevano ordinare le tavolette IGM necessarie per conoscere l’orografia delle località italiane in cui inserire i nostri progetti. Quell’IGM che sarà poi diretto da una illustre conoscenza, per più motivi ben nota, grazie a Civitavecchia, per autorità e per prestigio ed anche per vera e propria “familiarità”, plurima e protratta nel tempo. Tanto da essere il felice destinatario di un esemplare numerato d’un omaggio tanto piccolo quanto pregevole e raro. Un’ istituzione che certamente in questi ultimi anni – dati i fatti che han provocato tanto clamore – deve aver fatto una costatazione analoga alla bella e sfortunata protagonista del film del 1974 diretto da Luigi Comencini: Mio Dio, come sono caduta in basso!
Questa lunga premessa bibliografica ha un nesso con il titolo e con l’argomento della puntata, solo perché, a voler dire la mia in risposta al tema di “come si diventa adulti”, raccontando quando ho capito di essere diventato “grande”, resterei quanto meno perplesso. Mi è invece facile dire quando ho creduto d’esserlo divenuto, anche stavolta con precisione: anno, mese e giorno, anche l’ora più o meno. Strettamente correlata all’altra, perché si tratta del 2 febbraio 1957, quando al termine del pranzo, nel giorno del mio diciottesimo compleanno, mio padre (moderato fumatore) prese il suo pacchetto di “Nazionali” o “Macedonia” e, porgendomelo, mi invitò a estrarne una, che poi accese, facendo altrettanto con la sua, con un cerino. Momento quasi solenne, con mia mamma probabilmente quasi intenerita, come se non sapessero entrambi che io già fumavo – come i miei compagni di scuola ed amici – almeno da due o tre anni. Per cui, a tirare le somme, quella piccola cerimonia famigliare (non infrequente all’epoca), pur non avendo il valore del passaggio alla “toga virilis” dei giovani romani, per me ha rappresentato il nulla osta ufficiale dei circa 47 anni totali (e numero smorfioso…) d’immissione di nicotina nei miei polmoni. Fortunatamente, da tale punto di vista peraltro assai limitato, eravamo solo in due a usare quel cerino ed il “cecchino austriaco” – come ammoniva mio padre ch’era stato nelle trincee della Grande Guerra – non ha fatto in tempo a prendere la mira. Per ora… (nota 1)
Ma dovendo ormai, senz’altri indugi, assolvere al mio dovere di curatore della rubrica e dar conto quindi di titolo e immagini di copertina, parto da quest’ultime e ne chiarisco il contenuto, premettendo che la grafica della stessa copertina, ferme restando le sue auree proporzioni, è stata resa “leggermente” (avverbio sostantivato come per l’acqua minerale), ovvero né liscia né scabra, nel senso di avervi apportato lievi modifiche e integrazioni che ne completano le informazioni per il lettore, quasi a farne una carta di identità, ma solo per iniziati. La fotografia grande in bianco e nero è una veduta del Molo del Lazzaretto con il Fortino San Pietro quali erano nel 1968 ed è tratta dal progetto 68/01 (nota 2) redatto in quell’anno per la Soprintendenza archeologica dell’Etruria meridionale, che aveva reperito i fondi per il restauro dei canali voltati del molo romano e della torretta (di cui era crollata la parte centrale della copertura per collasso del pilastro cilindrico svasato di sostegno).

Ostacoli burocratici e pretesti di vario tipo da parte di alcuni esponenti delle istituzioni locali – che già avevano inutilmente tentato di far demolire l’intero braccio portuale, come invece avvenne poi per lo “sporgente del Marzocco”, estremità occidentale dell’antemurale traianeo – hanno ritardato e poi definitivamente impedito l’inizio dei lavori (cosa che dura tuttora, a ben più di mezzo secolo, malgrado i crolli, i Giubilei e l’indecenza!). Nella foto si può vedere la turbina, proveniente da qualche demolizione, abbandonata sul molo come numerosi altri relitti e rottami d’ogni genere, secondo la prassi del tempo, che vedeva nelle aree del porto monumentale una comoda discarica di “rifiuti” ingombranti, veicoli inutilizzabili e altri scarti navali o industriali, quando non un’utile localizzazione di manufatti e baracche per attività e depositi non realizzabili in città. Le altre immagini mostrano la turbina nel suo stato attuale nel Parco pubblico dell’Uliveto (dedicato dal novembre 2004 ai Martiri delle Foibe con la posa in opera del Monumento commemorativo), altri dettagli dello stesso parco che hanno dato spunto nel 1980 al trasferimento della turbina, un interno della centrale Enel “Fiumaretta” e una turbina tipo Pelton. Alcune di queste immagini ed altre analoghe le ho inserite nella figura qui sopra, in cui le prime sei in bianco e nero sono state scattate appena terminati i lavori di realizzazione del Parco, nel 1982, e presentate nello stesso anno tra le tavole del progetto di partecipazione al concorso nazionale “La rinascita della città” dell’OIKOS di Bologna (nota 3). Di quei lavori e delle circostanze che mi hanno consentito con il mio progetto di far ottenere al Comune di Civitavecchia i contributi per “verde attrezzato” del bando del 15 settembre 1978 emanato dall’Assessorato allo Sport, Turismo e Problemi della Gioventù della Provincia di Roma ho parlato nella precedente puntata dell’8 febbraio 2022 (Rubrica “Beni comuni” – 5. Parco dell’Uliveto), ricordando con nostalgia e compiacimento quel periodo, iniziato il 9 luglio precedente con l’elezione di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica, un segno di speranza e di fiducia, quando anche l’attività quotidiana negli uffici del Comune è decisamente migliorata, riaprendosi all’ottimismo dopo i luttuosi “anni di piombo”.
«In tale contesto – ho scritto in quella sede – prende forma il progetto del parco, impostato su una successione di assi prospettici che determinano i percorsi pedonali e gli allineamenti delle attrezzature (anfiteatro polifunzionale e pista di pattinaggio, edificio degli spogliatoi e dei servizi, campi sportivi, piste e spazi per attività fisiche libere e per esercitazioni ginniche, aree per la conversazione, la lettura e la didattica all’aperto, dove assi visuali e punti di fuga coincidono con alcune emergenze volumetriche e con elementi naturali o murari in funzione di quinte che scandiscono i ritmi delle aperture sui filari di ulivi o le fioriture squillanti delle Bougainvillea. Il complesso del parco costituisce un fulcro di servizi per il tempo libero, il gioco e lo svago per le varie fasce di età lungo la direttrice di collegamento pedonale tra il “nucleo urbano centrale” ed i quartieri dell’espansione a sud (Campo dell’Oro, San Gordiano e Boccella, ossia, rispettivamente, le zone residenziali n° 10, n° 11 e n° 12 del PRG). L’antico uliveto, al cui margine su via Rodolfo Morandi (tronco della cosiddetta Mediana) si articola la parte costruita del Parco pubblico, protende i suoi filari verso il fosso di Zampa d’Agnello e dell’Infernaccio, a sua volta elemento naturale di separazione verde e di collegamento funzionale con l’altra zona residenziale pianificata. Esso dovrà divenire in futuro – attraverso molteplici interventi di restauro ambientale e di rimboschimento, di creazione di percorsi, di sistemazione dei numerosi siti archeologici e di recupero dei diversi antichi casali presenti – una delle ramificazioni del sistema costituito dal complesso dei rilievi collinari dei Monti della Tolfa che, appunto attraverso le vallate torrentizie, si dirama in direzione della pianura e raggiunge la costa tirrenica».
Sempre in quella puntata dello scorso anno, ho riferito che «il progetto è terminato alla fine di ottobre e viene approvato dalla Giunta con delibera n° 1705 del 4 novembre 1978 per un importo di circa 287 milioni di lire. Molta soddisfazione provoca in tutti noi la comunicazione del contributo di lire 187.400.000 (euro 96.784 in moneta attuale) concesso in tempi rapidissimi dalla Provincia di Roma con deliberazione n° 3340 del 20 dicembre 1978.
Il primo lotto, finanziato con il contributo ottenuto, ammonta a lire 150 milioni ed il secondo, finanziato con mutuo contratto dal Comune ammonta a lire 113 milioni. Si aggiudica l’appalto l’impresa dell’ing. Ubaldo Quartullo. I lavori iniziano subito dopo la presentazione del progetto al pubblico e alla stampa, il 7 ottobre 1979, alla “Festa dell’Unità”. Un terzo lotto di circa 90 milioni è poi approvato nel 1981. La direzione di lavori è assunta direttamente da me e ciò mi consente di seguire con cura le lavorazioni e di introdurre alcune innovazioni. Così, avendo visto in Porto, sul Molo del Lazzaretto, una grande turbina abbandonata, ottengo dalla cortesia dell’ingegner Salvatore Meca, dirigente del Consorzio Autonomo per il Porto, che venga donata al Comune e portata nel parco. Dipinta con un colore squillante, debitamente ancorata al suolo, diviene una scultura decorativa».

Appunto per completare quelle informazioni, posso aggiungere – come documentano le immagini a colori della suddetta figura – che da allora ad oggi la turbina ha continuato a rappresentare un elemento caratteristico del Parco dell’Uliveto, divenendo anzi l’oggetto delle attenzioni cromatiche di qualche frequentatore, per cui dall’iniziale monocromia voluta da me per accentuare il valore plastico della “girante” e coprire il colore precedente e le parti arrugginite (mi sembra fosse un tono tra il verde e il blu diverso dal ciano, più intenso e brillante), si è passati a una policromia di colori pastello nella gamma dei verdi più o meno tenui (in una certa armonia mimetica con le foglie degli ulivi) e, ultimamente, al contrasto tra giallo, arancione e rosso, alternati, sui “petali” a cucchiaio, ed il verde acceso della corona e del pignone al centro. Oltre ad una veduta aerea del parco (da Google) in cui ho evidenziato alcune direttrici progettuali e la posizione della girante della turbina, ho ricordato la mia collezione di pipe con un mio dipinto a olio “ammonitore”, ripreso da una tela di Gerrit van Honthorst (noto qui in Italia come Gherardo delle Notti), della prima metà del Seicento, e con un “autoritratto” disegnato in un breve “viaggio” a Santa Severa, a casa di colleghi, in una sera d’inverno del 1961. Quanto al Molo romano del Lazzaretto (che volevano demolire perché dava fastidio alle evoluzioni dei traghetti per la Sardegna, anche se nei dépliant turistici si continuava a vantare che era l’unica struttura romana di quel tipo rimasta intatta in tutto il “globo terracqueo”), ho inserito nella figura 1 il particolare d’uno degli elaborati di studio del nostro rilievo di cui ho detto, in cui è indicata la ricostruzione grafica del paramento murario e dei conci della ghiera con le misure dei raggi.
La figura 2 riproduce altre immagini “di repertorio” (riprese ancora da Google) riferite all’uso decorativo di turbine e in particolare di quella che fu sistemata a Roma – e ne fui molto lieto, sentendomi in qualche modo un precursore – all’angolo tra via Maresciallo Pilsudski e via Guidobaldo Del Monte, ai Parioli, a pochissima distanza dall’Auditorium e quindi dalla libreria del mio incipit.
Non mi resta che riferire della concessione della turbina da parte del Consorzio Autonomo del Porto, con il nulla osta informale del Genio Civile per le opere marittime. Negli appunti trovati nella cartella del progetto, leggo che il 7 ottobre del ’79, ho svolto una relazione introduttiva al dibattito pubblico sul progetto e sulle proposte dei cittadini nel corso della Festa dell’Unità tenutasi proprio nell’area del futuro parco. Un modo efficace di stimolare la partecipazione democratica alle scelte su questioni concrete, replicata molte altre volte. Poi ai primi dell’anno seguente, approfondendo i dettagli del progetto, ho avuto l’idea della turbina, notata tante volte in porto, e il 26 febbraio, ne ho parlato con l’ingegner Meca, avviando le procedure e tornando a discuterne il 14 aprile, avendo nel frattempo avuto il pieno consenso del presidente Meloro. Fu così, grazie alla maggiore “agilità” che già allora distingueva l’ente portuale dal Comune, che la mia idea della turbina è divenuta realtà.
Concludo la puntata con un mio vivissimo ringraziamento ad Angelo Simone Cannatà per la piacevolissima lettura del suo libro, che sto assaporando un po’ alla volta, ed anche per avermi dato argomenti da riempire un paio di pagine con le sue riflessioni senza dubbio più gradevoli delle mie.
Nota 1 – Leggo adesso l’articolo di Carlo Alberto Falzetti “A te compagno sollecito e premuroso” del giorno 15 scorso, con i commenti di Paola Angeloni, Caterina Valchera, Maria Zeno ed Ettore Falzetti. Le loro considerazioni completano con precisione il quadro delle abitudini e del “costume permanente” negli anni iniziali della mia carriera di fumatore. Rinviando ad altro momento ulteriori riflessioni sulla questione, posso intanto notare che, nelle mie fotografie di quei 47-48 anni, la sigaretta è sempre presente tra le mie dita (ingiallite al pari dei baffi). Sono l’indice e il medio, quelle che servono anche per tracciar nell’aria il segno cristiano della benedizione o per esprimere senza parole l’idea di persona o iniziativa …senza futuro. E poi segnalo, per completezza della confessione, che da studente di ginnasio e liceo, prima dell’autorizzazione famigliare (ma tranquillamente a scuola, nei minuti della “ricreazione” sul terrazzo “dei grandi”), fumavo le Alfa, le più economiche, e a volte le Gauloises, come Fred Buscaglione, che non a caso cantava di “mille sigarette” con quella sua voce rauca e la sua musica innovativa e divertente. Per la pipa, che usavo solo nei momenti di riposo e relax, davanti al caminetto, il tabacco “Trinciato forte”.
Nota 2 – Progetto 68/01. Civitavecchia (Roma), Porto storico. Rilievo archeologico, relazione storica e progetto di consolidamento e restauro del Molo romano e del Fortino del Lazzaretto (1968, Arch. Francesco Correnti e Arch. Paola Moretti Correnti, con gli Architetti Donatella Ciaffi, Simonetta Corongiu, Luigi D’Elia).
Nota 3 – Progetto di partecipazione al concorso nazionale “La rinascita della città”, indetto dall’OIKOS di Bologna, con il patrocinio del Consiglio d’Europa, del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e della Regione Emilia Romagna, con una documentazione grafica e fotografica (“Ri-progetto d’una città”, 1982) sull’attività svolta in circa 20 anni per la riqualificazione urbana di Civitavecchia (Arch. Francesco Correnti con Arch. Paola Moretti e Arch. Bruno Fabbri; progetto esposto alla mostra nel SAIE di Bologna 1983 e pubblicato nel catalogo Selezione dei progetti partecipanti al concorso, Bologna 1983).
FRANCESCO CORRENTI
