RUBRICA “BENI COMUNI”, 53. VERSAMENTI
di FRANCESCO CORRENTI ♦
Saltare di palo in frasca o da Palo alla Frasca, per ripetere l’agghiacciante freddura (?) della 47a puntata, proseguendo secondo il pessimo vezzo messo in atto in queste ultime uscite della rubrica, è divenuto un comodo mezzo di fuga da un argomento all’altro (e le giornate «Punti di fuga» sono un altro nostro appuntamento peculiare), di cui è peraltro costante il metodo di seguire la pista tracciata dai nostri Maestri di riferimento, abbandonarci alla «ebbrezza della lista» e ricorrere alla ricca raccolta di elenchi, inventari e cataloghi di nomi di persone e cose, toponimi, denominazioni varie, legende di mappe e quant’altro pazientemente raccolto negli anni, messo a disposizione del pubblico e, negli ultimi decenni, stupidamente ignorato, dimenticato, sepolto tra i relitti del passato, ma da qualche tempo riportato alla luce, con alcune positive manifestazioni di rinnovato interesse.
La puntata, quindi, si suddividerà in alcuni paragrafi dedicati ad argomenti pertinenti, partendo da una prima elencazione dei nomi degli ambiti portuali civitavecchiesi, quali furono esattamente stabiliti da una ordinanza del 1939. Il che me li rende coetanei e quindi sentimentalmente legati, insieme alla riflessione dei mutamenti politici, concettuali e psicologici intervenuti nel volger della loro – e mia – esistenza a render fuori tempo e fuori luogo alcune di quelle denominazioni.
Da ciò, le immagini di copertina e il titolo della puntata: VERSAMENTI. «Fare un versamento», nel linguaggio più usuale e normale, significa corrispondere o trasferire – attraverso i vari modi pratici attualmente disponibili – una certa somma di denaro a qualcuno (persona fisica o altro). «Avere un versamento», diversamente, può significare alcune cose appunto diverse, economiche o sanitarie, che qui mettiamo da parte, per notare, invece, che quella prima espressione citata, nel linguaggio dello Stato, cioè della consuetudine burocratica degli organi che soprintendono al regolare adempimento delle funzioni e delle mansioni della Pubblica Amministrazione, ha un significato ben preciso, con regole, modalità e tempi prestabiliti e, conseguentemente, termini temporali ed obblighi inderogabili.
L’articolo del quotidiano “la Repubblica” (a. XLVIII, n° 208, Martedì 5 settembre 2023, p. 1) riferisce la gravissima notizia del momento: «È scomparso l’intero archivio del ministero dei Trasporti, dei ministri e dei loro Gabinetti dal 1968 al 1980: niente carte Sulle stragi di Ustica e Bologna virgola e sulle bombe fatte esplodere ho ritrovate sui treni a Pescara, Venezia, Milano e Caserta. E neppure sul massacro dell’ Italicus dell’agosto del 1974. A dirlo è la relazione annuale del Comitato consultivo sulle attività di versamento all’Archivio Centrale dello Stato dopo le direttive Renzi e Draghi. E nella desecretazione delle carte dell’intelligence italiana – 132 fogli in tutto – la parola Ustica non compare neppure».
Avendo frequentato a lungo l’ACS per le mie ricerche, trovandovi documenti che, fortunatamente, non avevano, allora (parlo del 1975 e anni seguenti), né credo abbiano, adesso, destato l’interesse di qualche “organo deviato”, ho piacere di dare ai miei lettori questo documento che è naturalmente una testimonianza d’epoca ed un utile ed istruttivo strumento di raffronto con la situazione attuale, a integrazione delle informazioni e delle elaborazioni grafiche pubblicate nelle precedenti puntate della rubrica.

- CAPITANERIA DI PORTO DI CIVITAVECCHIA / Segreteria Comando
Denominazione delle varie zone del porto di Civitavecchia
Ordinanza n. 240
IL TENENTE COLONNELLO DI PORTO COMANDANTE DEL PORTO
E DEL COMPARTIMENTO MARITTIMO DI CIVITAVECCHIA
Considerata l’opportunità di assegnare il nome ad alcune zone del porto di Civitavecchia, comprese le nuove opere costruite durante il Regime Fascista, nonché agli spazi acquei, e di addivenire in tale occasione alla revisione della toponomastica generale nell’ambito del porto medesimo;
Visto l’alto Assenso di S. M. il Re e Imperatore nei riguardi dell’intitolazione al nome di Membri della Reale ed Imperiale Famiglia;
Vista l’autorizzazione di S. E. il Ministro delle Comunicazioni;
Visto l’articolo 163 del Codice per la Marina Mercantile;
DECRETA:
Articolo 1.
Le opere, gli spazi acquei, i piazzali e le vie del porto di Civitavecchia sono denominati nel modo seguente:
ANTEMURALE COLOMBO: il tratto estremo, in corso di prolungamento, del molo esterno di protezione, dall’imboccatura verso l’interno, sino al Forte del Marzocco – o Fortino Gregoriano – ed a N. W. dello stesso (detto finora Molo Colombo o prolungamento Nord dell’Antemurale Traiano).
AVAMPORTO: il bacino a N. E. del prolungamento Nord dell’Antemurale Traiano.
ANTEMURALE TRAIANO: il tratto centrale del molo esterno di protezione, tra il Fortino Gregoriano ed il Faro.
ANTEMURALE UMBERTO I: il tratto meridionale del molo esterno di protezione, tra il Faro e lo spigolo S. E. (detto finora Antemurale Sud o prolungamento Sud dell’Antemurale Traiano).
DIGA FRANGIFLUTTI: la diga esterna parallela all’Antemurale che ora si denomina Umberto I.
DIGA D’INTERCLUSIONE: il tratto estremo Sud del molo esterno di protezione, dallo spigolo S. E. alla radice situata presso il Forte Michelangelo.
DARSENA UMBERTO I: il bacino – detto finora darsena nuova, nella zona pure intesa col nome di “Cantiere”, – compreso tra l’antemurale che parimenti si denomina Umberto I ed il molo del Bicchiere.
BANCHINA TRAIANEA: la banchina in corrispondenza dell’Antemurale Traiano, e cioè tra il Fortino Gregoriano ed il Faro.
BANCHINA UMBERTO I: la banchina occidentale (della quale è previsto l’ampiamento) della darsena che ora parimenti si denomina Umberto I, in corrispondenza dell’Antemurale cui viene assegnato lo stesso nome.

BANCHINA MARCONI: la banchina meridionale (in atto suddivisa in due tratti) della darsena che ora si denomina Umberto I, in corrispondenza del margine interno orientale della diga d’interclusione.
BANCHINA ALESSANDRO CIALDI: la banchina orientale (detta finora del Silos) della darsena che ora si denomina Umberto I (lato W. del molo del Bicchiere).
MOLO DEL BICCHIERE: il molo parallelo al prolungamento Sud dell’Antemurale Traiano (che ora si denomina Umberto I), avente la radice a W. del Forte Michelangelo.
BACINO MICHELANGELO: il bacino principale, o porto propriamente detto, compreso tra il molo del Bicchiere, in modo del Lazzaretto, l’Antemurale Traiano e le banchine e calate attigue all’abitato.
BANCHINA PADRE GUGLIELMOTTI: la banchina di levante (detta finora del Bicchiere) del molo del Bicchiere.
BANCHINA MICHELANGELO: il piazzale attorno al Forte Michelangelo, avanti e a W., tra la radice Est del mondo il Bicchiere e la calata Laurenti.
CALATA CESARE LAURENTI: il tratto Sud della banchina già così pure denominata, compreso tra lo spigolo all’estremità orientale della banchina Michelangelo e l’estremità meridionale della banchina antistante all’Arsenale del Bernini.
BANCHINA BERNINI: il tratto Nord della banchina finora denominata genericamente calata Laurenti, antistante all’Arsenale Pontificio, comunemente detto ex Arsenale Bernini, tra la banchina che ora si denomina Bernini e il fabbricato dell’antica Sanità, attuale sede del Comando del porto.
PONTILE SARDEGNA: il pennello proteso in direzione W. N. W., dell’estremità N. della banchina che ora si denomina Bernini, finora detto anche della Stazione Marittima.
CALATA PRINCIPE TOMMASO: la banchina compresa tra il pontile Sardegna e la porta Livorno, antistante l’antica cinta merlata.
BANCHINA MARCANTONIO COLONNA: il tratto di banchina che al termine della calata Principe Tommaso si estende, a Nord, fino al canale di accesso (lato Est) della Darsena Vecchia, che ora viene denominata Darsena Romana.
DARSENA ROMANA: il bacino interno, finora inteso col nome di Darsena vecchia, a Nord del bacino principale, che ora si denomina Michelangelo, ed a questo unito da un passaggio – o canale di accesso – a W. della Torre dell’Orologio dell’antica Residenza Pontificia, attuale Podesteria.
CALATA PORTA MARINA: il tratto di banchina all’interno ed all’angolo S.E. della darsena che ora si denomina Romana, a levante dell’imboccatura interna del canale di accesso.
BANCHINA EX PUNTO FRANCO: la banchina di levante del bacino interno che ora si denomina Darsena Romana.
BANCHINA SANTA BARBARA: la banchina settentrionale del bacino interno che ora si denomina Darsena Romana.
BANCHINA APOLLODORO: i due tratti della banchina occidentale e di quella meridionale contigua, e fino al canale di accesso, del bacino che ora si denomina Darsena Romana.
BANCHINA S. TEOFANIO: il tratto di banchina antistante il bacino interno che ora si denomina Darsena Romana, tra il canale di accesso alla medesima e la radice del modo del Lazzaretto.
MOLO LAZZARETTO: l’antico molo esterno orientale di chiusura del bacino principale avente la radice all’estremità S. W. delle costruzioni attorno alla darsena che ora si denomina Romana, con direzione S.W. di fronte al Foro [sic: da leggere Forte] Gregoriano.
BANCHINA SANTA ROSA: la banchina (in assestamento) tra il molo Lazzaretto ed il nuovo molo del Littorio.
MOLO DEL LITTORIO: il nuovo molo esterno (in corso di allestimento) a Nord del molo del Lazzaretto, parallelo a questo, con direzione Sud di fronte all’antemurale Colombo.
BANCHINA LITTORIO: la banchina meridionale (interna) del molo del Littorio.
BACINO DEL LITTORIO: il bacino esterno settentrionale, delimitato nella parte verso l’interno dalla congiungente testata Molo Lazzaretto-Forte Gregoriano.
Articolo 2.
Al presente Decreto-Ordinanza è annessa la pianta del porto di Civitavecchia, nella quale sono riportate le denominazioni di cui all’articolo precedente.
Civitavecchia, 1° giugno 1939 – Anno XVII E. F.
Il Ten. Colonnello Comandante del Porto Achille Jascì

Terminata così la trascrizione del documento anteguerra, mi attengo al programma enunciato, “saltando” ad altri due documenti facilmente disponibili anche in rete che, a mio parere, meritano di essere riletti e meditati, perché senza ricorrere a testimonianze oggetto di versamenti ministeriali e senza essere stati mai secretati, rivelano verità conclamate e confermano la loro intrinseca aderenza alla mentalità dei personaggi. Per questo, ho voluto contrassegnare i rispettivi brani con una denominazione comune che ne classifica il contenuto. Nello spirito della rubrica ho evitato termini volgari (nel duplice senso della parola nella nostra lingua), ma lasciando una certa crudezza (da crudités?) velata dal bon ton proprio della amabilissima lingua del nostro Stendhal, nella certezza che anche il provicario del Sant’Uffizio, le père Jean-Baptiste Labat, non le avrebbe censurate. Ho evitato di commentare con parole mie le citazioni riportate, perché sono sufficientemente chiarite dalle parole loro e perché la mia situazione famigliare e le mie ben note frequentazioni professionali dai tempi della facoltà ad oggi rispecchiano le mie idee in entrambi i casi.
PREMIÈRE CONNERIE
Il parere di Benito Mussolini sulle donne e sulla loro assoluta incapacità di creare opere di architettura (per non parlare di urbanistica!)
«La donna deve obbedire. Essa è analitica, non sintetica.
Ha forse mai fatto dell’architettura in tutti questi secoli? Le si dica di costruirmi una capanna, non dico un tempio! Non lo può! Se io le concedessi il diritto elettorale, mi si deriderebbe. Nel nostro Stato essa non deve contare.»
DEUXIÈME CONNERIE
Il parere di Vittorio Feltri sull’architetto Renzo Piano che ha progettato il Ponte Morandi.
«Renzo Piano è considerato coram populo un grande architetto e noi non vogliamo contestare la vulgata. Però ci ha stupito che egli abbia ficcato il naso sul ponte crollato a Genova, proponendone uno nuovo che ha suscitato l’ entusiasmo generale. Non si capisce perché il suo disegnino sia stato accolto quale brillante soluzione. L’ autore deve la propria fama non solo alle opere che ha firmato, ma anche al fatto di essere sempre stato un criptocomunista, caratteristica che rende simpatici e apprezzabili nell’ ambiente esiguo dei fighetti. Tuttavia questo importa poco o niente. Il problema è che Renzo Piano non è un ingegnere abilitato a progettare ponti, non è compito suo innalzare costruzioni azzardate. Sarebbe meglio si limitasse a curarne l’ estetica. Il mio antico concittadino Quarenghi, che svolgeva il suo stesso mestiere di architetto secoli orsono, abbellì Pietroburgo erigendo palazzi mirabili che ancora oggi costituiscono la bellezza principesca della città russa. Non si impegnò mai nella costruzione di viadotti e roba simile. Il che non gli ha impedito di passare alla storia quale autentico genio. Per quale motivo, se non per vanità, l’ illustre senatore a vita si è cimentato nell’ ardua impresa? Certi manufatti sono specialità ingegneristiche, richiedono una abilità tecnica che Piano non può avere, non avendo completato studi idonei. Egli infatti, forse consapevole dei propri limiti professionali, ha immaginato di dedicare alle vittime della sciagura elementi commemorativi di esse: delle vele, dei pennoni, delle schifezze assurde che dovrebbero svettare sul sovrappasso onde rendere omaggio ai poveracci crepati sotto le macerie. Sembra che Genova abbisogni di un ponte e non di ornamenti privi di senso pratico. La sicurezza viene prima della gigioneria. Non contano i virtuosismi estetici: occorre badare alla solidità delle strade che sorvolano l’ abitato. Non abbiamo antipatia per l’ archistar progressista e il presente articolo non è denigratorio, mette soltanto in luce un particolare: non si sfruttano i morti per darsi delle arie. All’ inizio degli anni Novanta assunsi il figlio di Piano in un mio quotidiano, L’ Indipendente, segnalatomi da una amica, Fiorella Minervino. Era bravo e me lo portai successivamente al Giornale, dove rimase a lungo, per poi occuparsi delle faccende di papà. È la dimostrazione che non ce l’ abbiamo col divo del mattone né coi suoi familiari. Indubbiamente, la gratitudine si conferma essere il sentimento della vigilia. Ci fa ridere che Renzo si candidi a porre il suo nome fin troppo celebrato su un cavalcavia del cavolo. Egli di gloria ne ha fin troppa, si ritiri e non faccia pacchianate».
«Tutti si scandalizzano perché sul nuovo ponte di Genova le macchine devono andare piano. Su un manufatto progettato dall’architetto Piano non si può che procedere piano, meglio pianissimo».
Agli arguti lettori, dopo tali e tanti pareri ben motivati, la compiacenza di esprimere il loro.
FRANCESCO CORRENTI

Qualche nome per tutte: Zaha Hadid, Benedetta Tagliabue, Odile Decq, Maja Lin, Gae Aulenti etc etc; quanto a Piano e al ponte di Genova avrei preferito un concorso ma dire che noi architetti non abbiamo la preparazione per progettare un ponte è una cavolata per una infinità di motivi; io ho dato all’Università Statica grafica, Scienza delle Costruzioni, Tecnica delle Costruzioni e anche Ponti e Grandi strutture; poi è la vita che fa il resto; se fossi entrata in uno studio di strutturisti avrei sviluppato certe conoscenze, e che nessuno dica che quelle materie in Ingegneria erano più complesse che non è vero infatti i libri erano gli stessi e non si saltava una che una pagina; poi comunque Piano ha lavorato in simbiosi con gli strutturisti.
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Che ricostruzione! Grazie.
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Ho deciso di pubblicare entro quest’anno due o tre serie di miei disegni degli anni universitari sul tema evocato dalla citazione ducesca (“Tot capita…”, “È l’Architettura donna?” ecc.), oltre ai progetti per Civitavecchia e altre località con i nomi completi delle équipe progettuali. Così da integrare le conoscenze diffuse sulle opere del passato: oltre ad Anna Menotti Piccolomini – del cui ruolo di illuminata progettista rivendico la scoperta e la celebrazione (ne parlo anche qui su SLB nell’articolo del 3 novembre 2016) – le taciute collaboratrici o contitolari dei progetti di opere pubbliche del dopoguerra, di cui conosciamo solo i celebrati nomi dei progettisti maschi…
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