GLI ANZIANI CHE AUMENTANO E LA SOCIETA’ CHE LI LASCIA INDIETRO

di LETIZIA LEONARDI ♦

Spero di non risultare blasfema ma ormai lo spartiacque non è più avanti o dopo Cristo ma prima e dopo la pandemia, per ogni cosa, perché tutto è cambiato. Noi siamo cambiati…E anche i nostri anziani.

Se prima della pandemia emergeva una classe di anziani che, grazie alle migliori condizioni di vita e un certo benessere economico rispetto al passato,  riusciva a organizzare e gestire il proprio tempo libero, oggi assistiamo a un passo indietro.

È certamente vero che in una società complessa come la nostra chi si ferma è perduto. È vero che gli anziani di oggi fanno di tutto per stare al passo con i tempi ma il tempo scorre troppo veloce e spesso assistiamo ad una società che lascia indietro i “nonni”.  Se, con gli anni, sono cambiate le abitudini, è anche cambiato il concetto di vecchio. Quando ero piccola  mia nonna che aveva poco più di 40 anni era considerata vecchia. Più tardi era anziano chi raggiungeva i 70 anni. Oggi il settantenne è ancora troppo giovane per essere considerato verso la fine della sua vita. Ed è vero perché i settantenni sono sempre più vitali, nonostante la pandemia che li ha cambiati.

L’Istat fornisce una fotografia dell’invecchiamento in Italia. Nel 2019 gli  over 65 erano quasi il 23% della popolazione (negli anni ’60 non arrivavano al 10%). Nel 2022  l’indice di vecchiaia è continuato ad aumentare, raggiungendo quota 187,6 anziani ogni cento giovani, facendo diventare l’Italia è uno dei Paesi più “vecchi” dell’Ue. Purtroppo è anche aumentato il numero degli anziani non autosufficienti. Tuttavia, dal momento che una parte di questa categoria di persone sono ancora in piena attività, gli anziani sono stati divisi in chi appartiene alla terza età (in buone condizioni di salute, inserimento sociale e disponibilità di risorse economiche) e alla quarta età, quelli non più autosufficienti, dipendenti dagli altri. E ci riempiamo di tante belle parole, ci ergiamo a paladini del sociale ma i soggetti che appartengono alla quarta età, la società attuale li lascia indietro, li abbandona.

L’età è ormai diventato un concetto ampio, che può essere composto in sottocategorie in base a termini cronologici, biologici, psicologici, ovvero basati su come le persone agiscono e si sentono. Per esempio, un ottantenne che lavora, fa progetti, si concentra sul futuro è psicologicamente giovane. E allora per le casse dell’Inps può lavorare anche oltre i 67 anni di età. Ma se si passa dalla terza alla quarta età per la società diventano un peso.

Nella cultura giudaica la vecchiaia è ambivalente. Da un lato, non era contemplata una vita dopo la morte, ma l’uomo ritornava alla terra. L’uomo benedetto e giusto era colui che si congedava dalla vita.  L’anziano non era colui che moriva, ma chi aveva portato a compimento la sua esistenza. Nella cristianità l’anziano era invece il saggio, che rivestiva una posizione di responsabilità e autorità nel gruppo, colui che aveva il dono dell’età e dell’esperienza.  Andando avanti nei secoli, nel Medioevo l’anziano inizia a perdere di mordente e autorità come pater familias, seppur si ritrovi rinnovato spirito nell’ambito ecclesiastico e durante la crisi demografica del 1348, minata da epidemie di peste che, secondo alcuni cronisti dell’epoca, colpirono soprattutto bambini e giovani adulti. Facendo un notevole salto temporale e arrivando ai giorni nostri, il “problema” dell’anziano nasce nel XX secolo, quando negli Stati Uniti furono pubblicati i primi lavori di geriatria. La vecchiaia, nell’età moderna, viene inquadrata da due punti di vista, ovvero quello legato all’invecchiamento individuale e biologico (senescenza) e quello relativo alla popolazione generale e alla sua progressione verso l’età avanzata. In questi termini ci riferiamo sia all’incremento del numero delle persone anziane, sia della loro proporzione nei confronti degli altri gruppi di età. Al di là dei concetti e dei numeri, poco invece ci preoccupiamo di creare  una società anche a dimensione degli anziani. Il periodo della pandemia ha segnato anche un eccessivo passaggio alla digitalizzazione, alla tecnologia senza tenere conto degli anziani. Anziani che non hanno smartphone, non hanno spid, pec, e-mail. Ce li immaginiamo gli anziani a doversi ricordare password per ogni cosa, pin, puk, ecc…? Un mondo infernale per noi più giovani poco amanti della tecnologia, figuriamoci per loro! Perfino fare un semplice biglietto del treno è diventato complicato: c’è il biglietto digitale con il check in da fare sullo smartphone. Comodo se si pensa che non tutte le località hanno stazioni, non tutte le stazioni hanno le biglietterie aperte e non tutte le stazioni senza biglietteria hanno le macchinette che emettono biglietti funzionanti e operanti con i contanti. Una volta la mia bisnonna di 80 anni era in grado di viaggiare in treno e farsi da sola il biglietto, oggi non sarebbe più in condizioni di farlo. È una società evoluta quella che lascia indietro una parte notevole di popolazione? Eppure sempre secondo i dati Istat, prima della pandemia, su tre milioni e mezzo di persone che si dedicano al volontariato in Italia, ben 400.000 appartenevano alla terza età. Ed è la popolazione anziana quella che legge sempre più libri.

Sempre prima della pandemia andava aumentando il numero degli iscritti alle Università della Terza Età. In Italia ci sono circa 300 di questi atenei e se nel mondo ce ne sono 3000 è un buon risultato. Purtroppo dopo la pandemia la partecipazione ai corsi si è molto ridotta.  Ora abbiamo anziani impauriti, più isolati e soli. I figli e i nipoti sono sempre più spesso lontani, quando non sono all’estero e allora il post pandemia per gli anziani è stato segnato da un peggioramento delle condizioni di vita, dal punto di vista sociale ed economico e si sa che questo influisce anche a livello di salute fisica. Se poi ci mettiamo che la sanità pubblica ormai è ridotta ai minimi termini, molti anziani si possono curare poco e male. E allora finirà che la prospettiva di vita nel prossimo futuro si abbasserà. Li abbiamo usati come baby sitter, come bancomat, nel sociale e ora li vogliamo emarginare nelle Rsa, spesso dei lager, considerandoli zavorra e con pensioni che, grazie all’inflazione, sono da fame?

Per concludere, se nel pre covid negli anziani c’era una visione rivolta al futuro, ora ce n’è una nostalgica rivolta al passato. E mi viene in mente il profetico brano di Guccini del 1972 “Il vecchio e il bambino”, secondo il quale un nonno porta il nipotino su di una collina e fa vedere al piccolo il paesaggio all’orizzonte. Il sole è coperto da smog e polveri rosse, il panorama è contornato da ciminiere di fabbriche, da cui esce fumo nero e inquinante. Il vecchio però racconta con aria triste al bambino com’era il mondo quando lui era piccolo, facendo del paesaggio, del suo paesaggio, il vero protagonista della canzone, uno scenario completamente diverso e il fanciullo lo ascolta incantato, credendo che l’intero racconto sia frutto di fantasia…e conclude dicendo al vecchio con voce sognante:

“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”

LETIZIA LEONARDI

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