Poeta o poetessa?
di CATERINA VALCHERA ♦
Non come te poeta io sono?/Io sono poetessa e intera non appartengo a nessuno. Nell’intento di farle un tributo (purtroppo tardivo) di affettuosa stima in quanto letterata e di riconoscenza in quanto donna, mi piace prendere le mosse da questi versi di Biancamaria Frabotta, perché suonano come una sua autorevole auto-presentazione. In modo apparentemente dubitante, in realtà perentorio ma non senza una sfumatura ironica, “fingendo” di intervenire nella ormai vexata quaestio linguistica, la poetessa,di cui il 2 maggio ricorreva il primo anniversario della morte, ci consegna il suo primo comandamento. Lei fa poesia, quindi è poeta come chiunque versifichi e crei materiale poetico dotato di senso, ma è anche – e soprattutto- donna. Rivendica così il titolo di poetessa scegliendo ancora una volta il campo che le è proprio, che è anzi il suo “forte”: essere donna, interamente donna, e appartenere solo a sé stessa: tutt’al più alla poesia. Ma interamente solo a sé stessa. Doveva sembrarle- immagino- una questione di lana caprina quella della scelta del sostantivo maschile o femminile, a lei che di femminismo si intendeva non poco e che il femminismo aveva praticato con la stessa passione con cui si occupava di letteratura. Si può affermare, anzi, che quello letterario sia stato un “agire”, un fare, nel segno della convinta partecipazione, dell’impegno di grande valore morale. Una presenza, la sua, anche civile, sia quando il suo sguardo era orientato sulla microstoria, sulla vita familiare, domestica, sia quando si posava con prospettiva critica su eventi di portata ampia e profondamente radicati nella sua coscienza di femminista militante, talvolta anche separatista, ove necessario. Per questa ragione oggi parlo di lei, mentre avrei voluto farlo già dallo scorso anno, perché so che oggi lei saprebbe molto bene cosa dire di ciò che accade alle donne, e saprebbe dirlo con parole degne dell’urgenza storica,alte ma non retoriche, appassionate ma non sentimentali. Attivista, intellettuale terzo-mondista, proto-ecologista, Biancamaria Frabotta amava profondamente il mare, come il poeta di cui spesso troviamo scarti nei suoi versi, il Montale con il quale ha condiviso anche la traiettoria del fare poetico: dalle prime esperienze legate alla natura, alla ricerca di una lingua di cose e di ridefinizione del reale, a un verseggiare più basso, disteso, meno scabro, talvolta elegiaco, come nell’ultima raccolta Mani mortali ( 2012). Da fanciulla e adolescente frequentava il mare di Civitavecchia, città natale della madre “che sapeva di mare”: la ricordo perfettamente, Eugenia De Falchi, una signora bruna, dai tratti morbidi, mentre gareggia con mia madre sulla spiaggetta annessa alla piscina di Civitavecchia (il terreno delle nostre scorribande, anche amorose) nello sferruzzare maglie e maglioni. Come ricorda anche la figlia, Eugenia era dotata di una grande abilità manuale e di un istintivo gusto estetico. Le signore di quegli anni ci consegnavano il controllo dei fratelli minori e si deliziavano in chiacchiere e lavori femminili. Biancamaria avrebbe lavorato con altrettanta maestria le parole, lei che a quattordici anni aveva già letto Guerra e pace perché suo padre la invitava a letture impegnative, come il mio che, a quella stessa età, mi fece trovare sul comodino La montagna incantata. Proprio un livre de chevet! Ci univa, infatti, oltre all’amicizia, indotta da quella delle madri, il grande rispetto per la figura paterna e l’inconscio desiderio di rendere i nostri padri fieri di noi. Io ci sono riuscita in piccola parte, potrei dire con una sonatina “in sedicesimi”, Biancamaria con una sfarzosa suite. Tutto faceva presagire che sarebbe diventata una persona di grande caratura e di molteplici impegni. In un’intervista scherzosamente allude a una sorta di eccesso parlando di sé stessa:Ero considerata troppo donna, troppo femminista,troppo intelligente, troppo viscerale, troppo accademica, troppo poco accademica, troppo bella, perfino troppo alta. Troppo tutto per essere “solo” poeta. C’è tutto il suo “massimalismo” culturale in queste parole e la complessità del suo mondo personale e ci sono le sue più veementi passioni: capire e conoscere, amare e studiare, guardarsi e studiarsi, comunicare e poetare. Perché la poesia ha sempre le sue ragioni, soprattutto quando è alta e consapevole poesia, come quella della Frabotta. Esauritasi la stagione post-ermetica, entrato in crisi lo sperimentalismo, i poeti del suo tempo andavano spostando l’interesse sul privato, sulle occasioni, sul quotidiano, adottando il genere monologico, il linguaggio relazionale, ma lei non ha mai fatto concessioni alle forme diaristiche, a scelte di tipo minimalistico. Tutt’altro! Anche se afferma Le parole non ti costavano molto, ricordi? scivolano via per filo e per segno/ come canoe fluiscono sul filo della corrente.. La sua poesia consiste proprio nella forza della sua sensibilità linguistica e nella capacità di psicologizzare la vita vissuta, la “viandanza”, termine coniato da Manuela Fraire nella postfazione al suo romanzo Velocità di fuga e che ben identifica l’animo femminile, lo stato di sospensione tra attesa e spostamento, tra metamorfosi e giudizio. E anche il carattere fondamentale di Biancamaria e della sua poesia: un’intelligenza emotiva, una formidabile cooperazione di fermezza intellettuale e fraseggio emozionale. Così fingendosi amanti/ i miei due emisferi/ entrambi mi tormentano/ e non c’è ricciolo, né maliziosa frangia/ a tenerne unito il gruzzolo/ a ricomporre l’antica noce/ della loro inimicizia. La rivedo tutta intera in questi versi: i suoi capelli mossi, ribelli come i miei, la sua testa pensante che deve convivere con la visceralità del suo sentire, la valutazione dei costi e dei ricavi che “l’insana ragione mancina” tende a ridurre alle sue minute ragioni. Quanto Leopardi in questo passaggio! Naturalmente declinato al femminile. Ma vi avverto lo stesso timbro malinconico del grande recanatese, il rifiuto della “piccola ragioneria”per definire il rapporto dell’uomo con il mondo e con gli altri. E leopardianamente ecco la luna come filtro espressivo : Trapela, nella camera oscura/ come l’intelligenza nel cuore./Illecita, ingannevolmente stanziale./Chinata sulla sua metà in ombra/ sul fianco di una panca/ la faccia girata a non guardarsi/ in un confuso abbracciarsi di gambe/ come fosse questa l’ultima notte/ per dormire insieme/ non il mio sonno senza sollievo/ ma il nostro che non ha rimorso.( Le fasi della luna). Nel suo perenne viaggiare -fisico e metaforico- Biancamaria cercava le pupille degli uomini desti in un mondo di dormienti, sperava di incontrare i degni interlocutori del suo cuore indomito, della sua mente tanto feconda, cercava- secondo gli insegnamenti del suo amato maestro Martin Mordechai Buber-la conferma che la vita è relazione e che non c’è soggettività se non in una prospettiva di intersoggettività significante. La giovanile adesione al marxismo, l’esperienza di collaborazione a Il Manifesto, lo stesso rigore di femminista non le avevano poi impedito di aprirsi a una visione quasi religiosa della natura, a un francescanesimo laico o, come Montale, a una forma di nestorianesimo moderno ( Un triangolo è divino quando ogni punta è/ Dio. ) Troppe volte nei suoi versi ricorre, anche con angoscia o violenza espressiva, il pensiero del divino forse a ribadire e tutelare la sfera del sacro- almeno linguistico- contro l’affondare delle parole nell’insignificanza del Rumore bianco: con la metafora assunta dalle scienze, ella indicava l’eroismo del poeta nel combattere l’entropia dei linguaggi massmediatici. Negli ultimi tempi si era fatta più stanziale: nel suo “buen retiro” a Cupi, presso il parco dell’Uccellina, di fronte all’azzurro del mare e con il profumo della macchia mediterranea nelle narici, la poeta/poetessa Biancamaria ritrovava ancora una volta il suo timbro, i suoi colori, la sua vicenda umana accanto a quella storica, ampliando sempre più le maglie della sua poesia, come fosse la rete di un sagace pescatore..Ma senza dimenticare l’impegno, senza mai tradire il suo attivismo originario, che ora la porta ad accogliere con inedita tenerezza di toni il tema ecologico nei suoi versi. Nell’estate del duemila e tre/tutto si prosciugò silenziosamente./ Un meraviglioso azzurro puntato/su di noi come un’arma radiosa/ premeva i piedi sul suolo,spruzzava/ di calce le pareti, entrava, senza/nemmeno una goccia di pioggia/ anche di notte/dentro i nostri occhi spalancati./Dal tronco del melo colava pece nera/ e a febbraio bisognò abbatterlo intero./Il fico si salvò scrollandosi di dosso/ la veste lieve delle foglie assetate/e a luglio cogliemmo fichi secchi/ da terra, come fosse Natale. /La siccità portò via anche due peschi/ che si erano avviticchiati l’uno all’altro/ all’insaputa di tutti, in un solo albero da /fuoco. ( I nuovi climi). Nell’arsura infernale, nella desertificazione di un paesaggio che da familiare è diventato alieno, piceo e prosciugato, l’occhio della poesia resta spalancato a chiedersi il perché dell’assurdo, rappresentato dal fico secco raccolto da terra fuori stagione. Anche l’umanità dovrà salvarsi spogliandosi delle proprie vesti? Neppure l’abbraccio finale e segreto servirà allo scopo? Non ci è dato saperlo, ma i versi di Biancamaria ci accompagneranno nella nostra viandanza. Questo è certo. Ti ringrazio, amica di un tempo antico, poeta grande e maestra di tanti giovani. Ti abbraccio sorella affeminata.
CATERINA VALCHERA

Grazie ❤️
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Grazie Caterina,cugina geniale come dice Dada,per questo regalo inaspettato e quindi ancor più prezioso in un estate piuttosto piatta e avara di emozioni e di fronte ad una piscina e un Pirgo che non sono più quelli della Frabotta…delle nostre madri…dei nostri giochi. Sicuramente hai lanciato uno stimolo in più per scavare dentro di noi e scoprire con le parole e con i versi della poetessa…il richiamo del mare…quello si divino e infinito come la capacità di inseguire i ricordi.
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E grazie a te, Caterina, per questo elegante e dolce ricordo
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Toccante
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Finalmente un ritratto umano e letterario di questa figura così importante della poesia! Emerge tutta la grandezza e la profondità dei suoi pensieri, la complessità della personalità! Anche io ho ricordi d’infanzia al mare condivisi in un tempo lontano con quella meravigliosa bambina che sarebbe diventata una grande poetessa! Grazie a Caterina Valchera per aver dipinto un ritratto così completo, storicizzato nelle fasi intellettuali, emozionante e commovente!
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Che bel ritratto della nostra poetessa! Un abbraccio anche a te, sorella affeminata!
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Bellissima testimonianza, Caterina
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❤️
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