A PROPOSITO DI “RIPRESA E RESILIENZA”: UN’OPPORTUNITA’ SGRADITA A CHI GOVERNA? 

 

di NICOLA R. PORRO ♦

Sono stato in dubbio se proporre agli amici queste riflessioni relative al Pnrr (Piano di ripresa e resilienza). L’argomento mi sembrava poco adatto ai nostri repertori comunicativi. Rappresenta, però, un fatto di rilevanza internazionale, gode di vasta risonanza mediatica e riguarda tutti i Paesi della UE. L’Italia, come è noto, costituisce la principale beneficiaria delle ingenti risorse mobilitate. Molti aspetti cruciali sono stati già illustrati in tutte le sedi possibili da esperti della complicata materia ben più autorevoli di chi scrive. C’è però qualcosa di sconcertante e di preoccupante nello scenario che si viene disegnando e ho pensato di investire della questione, almeno per una volta, il nostro blog. Segnalo intanto, per quanti fossero interessati ad approfondire i diversi aspetti del Piano che il sito sito Openpolis offre in materia una documentazione chiara, completa, aggiornata e accessibile ai non addetti ai lavori. Si veda Cos’è il Pnrr, piano nazionale ripresa e resilienza in Openpolis del 10/07/23, https://www.openpolis.it/parole/cose-il-pnrr-piano-nazionale-ripresa-e-resilienza.

 

In prima istanza va ricordato come il nostro Paese rappresenti di gran lunga il principale beneficiario del fondo: 191,5 miliardi di euro è la cifra stanziata dal Next Generation EU e destinata al Pnrr italiano. Ne consegue che l’Italia – colpita prima e più severamente di altri Paesi dalla pandemia nonché l’unico dei “big partner” a soffrire di un persistente dualismo territoriale in termini di reddito e risorse – costituisce di fatto il Paese chiave dell’operazione. Quello, cioè, che deciderà il successo o il fallimento del più imponente programma di investimenti sociali finanziato in Europa dai tempi del Piano Marshall, fra il 1947 e il 1951. Per agevolare e uniformare le complesse procedure, la gestione operativa dell’ambizioso programma è stata concentrata – su raccomandazione UE e grazie al lavoro svolto all’epoca dal Governo Draghi – in una sola organizzazione titolare, cui afferiscono di fatto tutti i ministeri e i dipartimenti della Presidenza del consiglio.

Nella ripartizione per soggetti attuatori – coordinati dal ministro ad hoc Raffaele Fitto – il Ministero delle Infrastrutture (quello di Salvini) risulta destinatario di 49.5 miliardi di euro che dovranno finanziare 72 misure. Quello dell’ambiente (titolare Gilberto Pichetto, Forza Italia) dispone invece di 39.2 miliardi finalizzati a 41 interventi. Gli altri interventi sono di dimensioni e impegno finanziario molto minori. Va chiarito tuttavia che la maggior parte di questa cifra imponente (122.6 miliardi di euro) è rappresentata da prestiti, che dovremo restituire alle casse comunitarie. La restante parte (il 36% del totale, pari a 68.9 miliardi) sono invece sovvenzioni a fondo perduto cui vanno aggiunti 30.6 miliardi erogati dallo Stato alla voce “fondo complementare” per garantire 54 dei 292 investimenti economici complessivi previsti dal Piano che altrimenti non si sarebbero potuti finanziare.

 

A fronte di cifre tanto eloquenti, appare sorprendente e addirittura inspiegabile il comportamento dei nostri leder politici di governo. Meloni parla del Pnrr distrattamente, quasi si trattasse di una grana in più da sbrigare. Salvini ne tratta con ostentato fastidio, evidentemente disturbato – nella sua visione pervicacemente antieuropeista ed esclusivamente propagandistica della politica – dal fatto di doversi adeguare a norme, responsabilità e condotte proprie di un’istituzione sovranazionale come la UE. La quale, tuttavia, si è impegnata a finanziare alcuni dei suoi progetti faraonici – non tutti di comprovata utilità –, evidentemente destinati a rappresentare, nelle intenzioni del Capitano, la vetrina leghista per le elezioni europee del 2024. La visione miope, provinciale e strumentale che i nostri governanti riservano a un programma tanto vasto e ambizioso non minaccia però soltanto i grandi interventi infrastrutturali annunciati. C’è un universo meno visibile, e meno fotogenico, fatto di disagio sociale, di solidarietà e di azione volontaria, che da un insuccesso del Pnrr rischia di essere, in proporzione, ben più penalizzato delle Grandi Opere vagheggiate da Salvini. Mi riferisco al cosiddetto sistema non profit. È il solo settore socio-economico che conosco per esperienza personale, avendo diretto per sette anni (dal 1998 al 2005) un’organizzazione di sport amatoriale forte di un milione di soci, concorrendo a fondare il Forum nazionale del Terzo settore e rappresentandolo poi nel Consiglio nazionale del Cnel. 

Le “misure” del Pnrr destinate all’universo dell’azione volontaria (il cosiddetto Terzo settore) non sono affatto trascurabili. Parliamo di oltre quaranta miliardi di euro: una somma pari a qualche decennio di finanziamenti pubblici a beneficio di un settore strategico per garantire la qualità e la sostenibilità della spesa sociale totale. Aggiungo che gli interventi a sostegno delle persone più fragili dal punto di vista socio-economico sono particolarmente importanti per un Paese molto più avaro dei partner europei nel promuovere e sostenere politiche ordinarie di assistenza e di contrasto alla povertà e al disagio sociale. Va ricordato, in proposito, che più di un terzo delle risorse previste dal Pnrr sono riservate al Mezzogiorno, mentre sono stati individuati a raggio nazionale 585 ambiti territoriali (Ats) che dovranno occuparsi esclusivamente degli interventi con finalità sociale. Avvicinandosi alla fase attuativa, si sono però già persi per strada 89 progetti sui 2036 originariamente finanziati. Nemmeno disponiamo ancora dei nove decreti ministeriali necessari per completare la selezione dei progetti relativi alle persone vulnerabili. I demografi segnalano, inoltre, come nell’arco temporale che va dall’anno in corso al 2030 la popolazione residente di età superiore ai 65 anni – la più vulnerabile e la maggiormente dipendente dal sistema sanitario e da quello assistenziale – crescerà di oltre un milione e seicentomila unità, a fronte di un’ulteriore contrazione delle fasce di età più giovani. 

 La spesa annuale pro capite erogata dai Comuni italiani a favore delle persone anziane nel 2021 arrivava però ad appena 16,76 euro. Si comprende da queste cifre la rilevanza che assumono i finanziamenti – pari a 501.6 milioni di euro – assegnati ai territori dal Pnrr per persone fragili e anziani. Nella ripartizione, le regioni più popolose fanno ovviamente la parte del leone, ma al Sud sono state riservate risorse pari al 36.9% del totale. I “disabili gravi” – secondo la definizione Istat – corrispondono invece, in Italia, al 5% della popolazione totale. I comuni avevano sostenuto a loro beneficio nel 2021 (ultimi dati disponibili) una spesa pro capite di 13.23 euro. Si pensi, a confronto, che il Pnrr investe allo scopo 410 milioni per l’autonomia delle persone con disabilità, garantendo al Sud il 34% delle risorse.

A completare il quadro di una marginalità sociale consistente, al cui sostegno è delegato quasi esclusivamente il Terzo settore – vanno ricordate le 96.197 persone senza tetto e senza fissa dimora censite in Italia nel 2021. Fra queste, ben il 13.3% è condannato a non raggiungere la maggiore età. La spesa pro capite dei Comuni italiani per gli interventi di contrasto all’esclusione sociale nel 2021 si sono però limitati a una media pro capite di 17.33 euro. Dei 405 milioni previsti dal Pnrr per i soggetti senza fissa dimora, il 29% è destinato alle regioni meridionali. 

 

Mi sono affidato (pedantemente) alle cifre nel tentativo di illustrare le dimensioni di un problema tanto esteso quanto misconosciuto o quanto meno sottovalutato. Questo universo privo di potere contrattuale – contro chi sciopera chi non ha lavoro? – e così poco fotogenico – la marginalità sociale è rimossa con orrore da un immaginario collettivo modellato dall’estetica consumista – non può però essere dimenticato. E non solo per ragioni dettate dall’etica e da dimenticati precetti morali. È infatti la qualità della vita che garantiamo agli “ultimi” a rappresentare l’indicatore più credibile proprio – per restare in argomento – della capacità di resilienza di un’intera società. Ed è a mio parere significativo e grave al tempo stesso che, nel fissare l’ordine delle priorità cui potrà dare soddisfazione il Pnrr, la questione sociale venga sistematicamente e interamente rimossa da chi ci governa. Si ritiene, evidentemente, che porti più consenso e prometta più affari farneticare sul Ponte sullo Stretto. Il fatto è che l’attenzione rapsodica, distratta e strettamente strumentale riservata alla più grande opportunità di ammodernare il Paese offertaci da più di settant’anni a questa parte, rivela un preciso retroterra politico-culturale. Esso discende da una visione diffidente e latentemente ostile dell’Europa, buona solo a fungere da bancomat di qualche programma d’immagine o ritenuto elettoralmente redditizio per la propria parte politica. Un background che si compone di altri umori e colori. Anacronistiche suggestioni localistiche si accompagnano in qualche caso a risorgenti tentazioni secessionistiche. In qualche altro una flebile presa di distanza dalle ideologie reazionarie del Novecento convive con la non dissimulata sopravvivenza di umori nostalgici. La stessa filosofia neo-qualunquista del partito azienda sembra sopravvivere alla scomparsa del suo ideatore. Come sperare che questo universo, per costituzione e per vocazione alternativo all’idea di Europa quanto a quella di una società dei diritti, possa affrontare e vincere la sfida della responsabilità che viene offerta al nostro Paese?

Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo.

 

NICOLA R. PORRO

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