Populismo e carnevalizzazione della politica

di CATERINA VALCHERA ♦

Avrei  voluto far parte della schiera di manzoniana memoria, evitare cioè di contribuire in alcun modo alle due estreme reazioni (oltraggio e vile ossequio) nei confronti di Silvio Berlusconi e ciò sarebbe possibile solo attraverso la scelta del silenzio. Ma l’uomo, anzi la sua narrazione umana e politica, meritano una interpretazione, che almeno si accosti- discostandosi- dalla vulgata dicotomica. Visto che in maniera sorprendente risulta unanime il riconoscimento della sua “grandezza” non solo imprenditoriale ma anche politica, ho scelto di applicare alla sua opera una prospettiva ermeneutica a me congeniale: quella del carnevalesco bachtiniano. Berlusconi era un personaggio, una “maschera” che non a caso figurava  con regolarità quasi annuale nelle sfilate viareggine, perché a lui si addice incredibilmente la definizione del “carnevalesco” letterario, cioè un’idea narrativa  non tanto dileggiante quanto costruita sul rovesciamento del reale. Il grande filosofo e critico letterario russo Michail Bachtin- considerato uno dei più significativi pensatori del ‘900- teorizzò la strategia della carnevalizzazione (della vita e della sua rappresentazione che è la letteratura) definendone la funzione antropologico-culturale in pagine memorabili. Nato dalle feste pagane romane, il carnevale rispondeva al bisogno materiale e morale, di affrancarsi dalle catene del reale, di interrompere la ciclicità del tempo. La sua fenomenologia si sostanzia di tutte le risorse del ridere (caricatura, maschera, satira) con l’intento di fornire esempi alternativi e di comunicare messaggi paradossali. Il riso, sostiene Bachtin, ha un ruolo di straordinaria efficacia nell’ambito del carnevale, durante il quale nelle città come nei villaggi, in età medievale si assisteva a veri e propri spettacoli di massa all’aperto caratterizzati dalla contaminazione di sacro e profano, di devozione e sacrilegio, di tragico e comico, di serio e di osceno. La festa collettiva rendeva possibile il rovesciamento dei ruoli: il ricco si travestiva da povero, l’aristocratico da plebeo, il laico da chierico ;il chierico poi si concedeva la licenza di danzare, cantare canti osceni, di giocare a carte o a dadi e di riempire il turibolo di aromi maleodoranti. Nell’orgia finale il potente ( laico o ecclesiastico) poteva anche denudarsi, alludendo materialmente e simbolicamente a un possibile rovesciamento dei ruoli sociali. Era l’esplosione di una momentanea libertà: rottura dei tabù sessuali e morali, festa del metamorfismo camaleontico, canto profano come svincolamento dalle regole, dalle gerarchie, dalla tirannia del tempo e del “sistema”. A questo mi ha sempre fatto pensare Silvio Berlusconi, a un’idea della vita (e della politica) “carnevalesca”, cioè a un’ attitude dissacratoria e profanatoria nei confronti delle regole. Il gioco, lo scherzo, il rovesciamento dei ruoli nella spettacolarizzazione del gesto politico: il potente – e inverosimilmente ricco- si getta nella mischia e si confonde con il povero, il reietto, l’escluso: lo rabbonisce, lo illude, gli fa sognare la rivoluzione della fortuna, delle sorti sociali, dei costumi. Il trionfo del carnevalesco, che Bachtin studiò attraverso un’acutissima lettura dell’opera di Rabelais, si attua in questo rovesciamento dei ruoli. Ed ecco che Silvio spolvera come un lacchè la poltrona di uno studio televisivo con intento derisorio, esce dal cocchio – macchina salendo sul predellino e mescolando la sua voce a quella del popolo-massa e in quei momenti si realizza la carnevalizzazione della politica che fa cadere – provvisoriamente come sempre nel Carnevale- la verità dominante e il regime esistente. Mi rendo conto che, istituendo questo confronto, riduco la complessità ermeneutica della teoria di Bachtin a una sua forma addomesticata, quasi ornamentale. Dirò di più: lo stesso nome Silvio, di origine boschereccia, incarna simbolicamente un carattere fondamentale del carnevalesco: l’unità originaria dei contrari, l’ambivalenza in cui convivono vita e morte, serio e faceto, rurale e urbano, alto e basso. Silvio Berlusconi amava giocare ma sapeva che, finita la festa, come per il Carnevale,le disuguaglianze provvisoriamente eliminate o dissimulate dovevano ritornare con tutta la loro gravità, evidenza e significato politico. Perché il carnem levare è un’interruzione provvisoria, la revanche solo momentanea del grottesco cui succede nuovamente il tragico della vita vera, quella reale. Il Carnevale perennemente raccontato da questo personaggio è quello del tempo della vita per esorcizzare il tempo della morte. Proprio come nell’immaginario letterario.

CATERINA VALCHERA

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