“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – IL MOZART DEI CANESTRI
di STEFANO CERVARELLI ♦
Avevo iniziato a preparare il nuovo articolo quando le cronache mi ricordano un data che, complice il tanto tempo trascorso, stava per sfuggirmi e non si poteva assolutamente. 30 anni fa, esattamente il 7 giugno 1993, in un incidente stradale, perdeva la vita, a soli 28 anni, il fuoriclasse del basket, capace di stupire tutto il mondo: Drazen Petrovic.
Come non rendere omaggio al giocatore tra i più forti, i più importanti, che ha indicato una strada nuova Quella che ha portato all’arrivo nella NBA dei giocatori europei, facendo capire al popolo americano che nel vecchio continente ce ne erano capaci di competere con le loro stelle; il proseguo della storia lo ha poi confermato.
Per la naturalezza dei suoi movimenti, per l’eleganza dei gesti, dai quali non trapelava nessun sforzo fisico, Drazen Petrovic venne chiamato il “Mozart del parquet”.
Mi rendo conto che, per chi non l’ha visto giocare, quello che sto per dire può non avere senso o sembrare esagerato, ma credetemi Drazen in Europa non ha avuto uguali; e le sue invenzioni, i suoi tiri, la sua capacità di controllare il pallone sembravano davvero il frutto di diavolerie; da qui il secondo soprannome “ il Diavolo”.
Sportivamente parlando, ci si è chiesti se si potesse essere contemporaneamente Mozart e Diavolo.
Lui c’è riuscito, fino a quando ha potuto, fino a quando si è spezzata una storia, rimasta indelebile; storia di canestri, di vittorie nella quale è apparsa subito chiara la predestinazione; Drazen ha impersonificato l’orgoglio del suo popolo, ovunque giocasse, fino ai successi nella NBA.
Drazen Petrovic è nato jugoslavo, per poi morire croato, come succede quando nasci sul crinale della storia, una storia che, attraverso un forte conflitto interno, ti porta a sentirti orgoglioso in entrambi i casi per poi farti trovare faccia a faccia con il conflitto esterno per colpa del quale gli amici di prima smettono di sedersi alla stessa tavola, di ritrovarsi nella stessa piazza, di chiacchierare sulla stessa panchina.
Drazen Petrovic viene al mondo a Sebenico, Croazia, il 22 ottobre 1964. Adolescenza vissuta fondamentalmente con due certezze: il maresciallo Jospi Bronz, alias Maresciallo Tito, come collante dei popoli, e la pallacanestro, alternata al pane e ai bagni, con il fratello Aleksander, che fungeva da paragone di tiri e rimbalzi, e che ben presto viene superato in quel “perfido” confronto tra chi nasce promettente e chi, invece, nasce fuoriclasse.
ZAGABRIA.
A venti anni appena compiuti Drazen Petrovic arriva al Cibona Zagabria, oggi capitale croata, e sua prima vera casa cestistica. Nei successivi quattro anni vince un campionato jugoslavo (devo precisare che il basket jugoslavo era di gran lunga il migliore d’Europa e poteva tranquillamente rivaleggiare con quello USA, per cui vincere lì un campionato voleva dire essere la squadra più forte del continente), tre Coppe di Jugoslavia ma, soprattutto, due Coppe dei Campioni, (così si chiamava) consecutive (1985 e 1986) una Coppa delle Coppe (1987). In campionato, non dimentichiamoci quanto detto prima riguardo al valore di questo, realizza 43 punti di media a partita.
Il 15 ottobre 1985, nell’incontro contro l’Olimpia Ljubljiana, segna 112 punti!!!
Nel 1988, con un fantasmagorico ingaggio di quattro milioni di dollari (fate due conti sul potere d’acquisto della cifra a quell’epoca) Drazen passa al Real Madrid.
Nella capitale spagnola realizza un’impresa da puro fuoriclasse, degno di calpestare ogni parquet del pianeta. In una serie di cinque gare, in sequenza (con cinque vittorie) realizza 207 punti (quasi 41,4 di media), stabilisce nuovi record: 42 punti nella quarta partita della finale scudetto e otto assist in gara due.
E come se non bastasse, nella finale di Coppa delle Coppe, giocata contro una squadra italiana, la Snaidero Caserta, Drazen realizza 62 punti! Sì, lo so, sono solo aride cifre, che magari a molti diranno poco, ma il basket è un gioco dove si fondono estro, tecnica e cifre, le prime due caratteristiche non posso mostrarvele, le cifre però si possono dare, sperando che aiutino a comprendere la grandezza del giocatore.
NAZIONALE.
Nel frattempo Petrovic ottiene successi anche con la nazionale jugoslava, che, come detto prima, a quel tempo era seconda, ma non di molto, solo allo squadrone NBA.
Vince l’argento alle Olimpiadi di Seul nel 1989; conquista l’oro al Campionato mondiale disputatosi l’anno seguente a Buones Aires.
Drazen sa che l’Europa decisamente gli va stretta, è decisamente il migliore, il più forte, il giocatore che fa davvero la differenza; Drazen quindi si sente pronto per il gran balzo nel mondo del basket professionistico statunitense; e come poteva questo mondo privarsi del suo talento? Ecco quindi che, dopo solo un anno a Madrid, nell’estate del 1989 “il diavolo di Sebenico” il “Mozart del parquet” attraversa l’oceano con in tasca un contratto con Portland.
Qui, paradossalmente, rimane vittima del suo talento, la sua caratura di virtuoso del canestro senza paragoni nel vecchio continente è ciò che inizialmente frena l’inizio della sua avventura nella NBA.
Viene accusato di eccessivo individualismo e per due stagioni deve subire, lui abituato a stare in campo per l’intera partita, utilizzi limitati: non riesce cioè a conquistare un posto da titolare.
Momento difficile per Petrovic; davanti a lui si presenta un bivio, e una delle due strade che gli si aprono conduce ad un drastico ridimensionamento: si rassegnerà ad imboccarla, accettando un ruolo di comprimario terminando in tal modo la tanto sospirata esperienza americana? Assolutamente no.
Drazen si libera del contratto con Portland, si trasferisce ai Nets, nel New Jersey.
Da quel momento ha inizio la sua ascesa nel firmamento NBA; diventa una delle migliori guardie (giocatore che affianca il playmaker con compiti più offensivi) tiratrici in assoluto della Lega con 20,6 punti di media a partita.
Nella stagione successiva questa cifra passa 24 punti; è il 1993, l’anno dell’apice visto che il diavolo, o Mozart, se preferite, viene inserito nei migliori 15 giocatori della stagione; primo giocatore europeo a riuscirci e il secondo non americano, dopo Hakem Olajuwon, nigeriano e altro giocatore di indiscusso valore, ma di ruolo diverso.
L’INCIDENTE.
Drazen Petrovic nella sua vita non si era mai posto limiti e di certo non lo fa adesso con davanti non più la strada del ridimensionamento bensì quella di una carriera sfavillante.
Il destino, però, non è certo meritocratico, ossequioso nei suoi confronti, delle cifre e degli allori il destino non sa che farsene.
E sotto quante forme si presenta il destino!
Per Drazen si presenta sotto forma di una Volkswagen Golf rossa che viaggia in Baviera proveniente dalla Polonia; all’interno ci sono due fidanzati al rientro dopo una gara della nazionale jugoslava, avendo scelto questo mezzo all’aereo dove sono saliti tutti i compagni di squadra, come tante volte aveva fatto anche Drazen.
Sono le 17,19 del 7 giugno 1993, vicino all’autostrada c’è un paesino, si chiama Denkendorf, conosciuto allora solo ai suoi abitanti.
Alla guida dell’autovettura c’è la fidanzata Klara, il temporale è talmente forte che Drazen starà sicuramente pensando a quante e quali turbolenze sono sottoposti i suoi compagni in viaggio sull’aereo.
Un tir olandese, per evitare una macchina posta di traverso, forse a causa del fondo scivoloso, sbanda e finisce sulla corsia opposta; nelle autostrade tedesche non c’è limite di velocità, e si può andare veloci, molto veloci anche troppo…..
Sul sedile posteriore della Golf è seduta una loro amica, Hidl Hedebal, anche lei giocatrice di Basket con una squadra turca.
Lei cadrà in coma, si risveglierà ma dell’impatto non ricorderà mai nulla; Klara Szalantzy invece ricorda l’ultima frase detta dal suo uomo, forse era un invito a rallentare.
Sbalzato fuori dall’abitacolo il campione vola, ma questa volta non è un volo con il pallone in mano verso canestro per l’ennesima schiacciata, non ci sono grida entusiaste, solo tuoni, fulmini, e tanta tanta acqua.
Vola senza più margine di grandezza da aggiornare, vola in un volo che lo priva di quegli anni che lo separano dal suo apice di atleta che gli spetterebbero di diritto.
Ha ventotto anni, con lui volano i primati, i record ottenuti in due continenti, vola mentre sta andando in una patria diversa da quella in cui era nato, una patria nuova che voleva onorare.
Ma c’è il nubifragio sulla strada di Drazen, c’è un tir che ha sbandato a interrompere i sogni di Mozart; si sa ,nel nubifragio ogni cosa si nasconde; il nubifragio o forse il destino, quando arriva è padrone delle nostre vite, le rende simili a carte che mescola, per poi pescarne una dal mazzo e dire: “Oggi ho scelto te Drazen Petrovic e poco mi importa se sei il più grande giocatore di basket, se il tuo estro, la tua leggerezza hanno incantato milioni di persone, poco importa se nel mondo ti chiamano “il Mozart del parquet”, oggi tu voli qui, nella mia pioggia”.
Drazen Petrovic è ricordato con un monumento, contro il quale il destino non può nulla.
STEFANO CERVARELLI

Questo tuo racconto, di una vicenda che non ricordavo, mi ha commosso…sei un poeta della narrazione sportiva.
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Pur non essendo un patito della pallacanestro,ho letto con grande interesse il pezzo di Stefano perché ha il grande pregio di ricondurre ogni ripiego di carattere atletico sportivo al lato umano,che è l aspetto più fragile,ma anche il più meritevole di approfondimenti. Nel futuro aspetto qualche contributo legato alla pallanuoto,disciplina molto radicata nella storia sportiva della nostra città e dove personalmente mi cimentavo da junior nella piscina NCA con i giganti…Zingaropoli, Romano Pateri, i Simeoni ,i fratelli palomba…ecc
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