“I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI” DI MICHELE CAPITANI – UN DIFFICILE COUS-COUS

di MICHELE CAPITANI

  Adil si materializza, come uno spirito, in una scintillante mattina di inizio estate, sul lungomare. Un uomo asciutto e dritto, carnagione saracina, mai scomposto, che scruta il mare passeggiando in su e in giù senza fretta e senza mèta.

  Ha quasi 65 anni, è marocchino e vive in Italia da una vita; qui è stato camionista e ora attende di iniziare a percepire la pensione; infine tornerà al suo Paese. Ha appoggi anche in Abruzzo, dove un amico l’ha ospitato recentemente. Qui da noi trova presto alloggio in un chiosco sulla spiaggia di fronte alla città, in cambio del quale fa da custode notturno. Ma l’eccezionale di questo magrebino è che in lui tutto appare dignitoso, ponderato e serio: come è sempre signorile nel parlare e nel portamento, come non chiede mai nulla, così anche le sue vicende non hanno alcunché di sforzato o sofferto: il lavoro notturno al chiosco è perfettamente adeguato al Ramadan, che quest’anno cade in estate, e che un po’ viviamo anche noi passando a trovarlo, rigorosamente dopo il tramonto.

  A chiosco ormai chiuso e deserto, Adil sorridente e cerimonioso ci accoglie nel suo salotto orientale: lettini a semicerchio, cuccume, teiere, tabacco, odori di spezie, e la radiolina che gracchia in arabo dritta dritta dal paese dei Mori; mancherebbero narghilè e finestre istoriate, ma è come se ci fossero.

  Nulla possiede del tipico senza-dimora: la povertà, la difficoltà a sorridere, la titubanza a raccontare di sé, e la mancanza di un luogo dove accogliere gli altri e raccogliere le sue cose; anzi, l’ultima tappa di quando la sera andiamo a trovare gli amici della strada, è da lui, semplicemente perché non è una tappa da un barbone ma un riposo finale, un accomodarsi tra gli immaginari tappeti delle sue affabulazioni: si resta affascinati proprio dai suoi racconti e dai poteri che afferma di avere: un po’ dice e un po’ accenna alla chiromanzia, sicché qualcuno di noi rimane avvinto, e confessa che vuol farsi leggere la mano. Ma attenti, precisa Adil: non si fa sempre! Non è un gioco:

«Prima di tutto si leggono entrambe, e non solo la sinistra come si fa da voi. Poi, si fa quando non piove, ed è meglio dopo le tre del pomeriggio»

«Ah, quindi ci sono anche orari più adatti?»

«Sì, perché io non è che leggo le linee: io guardo le mani ma è uno spirito che vede quello che c’è da vedere. Infatti il giorno dopo non mi ricordo mai quello che ho detto (come nei sogni, penso io). È uno spirito che Dio mi ha offerto, per questo non mi posso far pagare»

«Ti è stato dato per fare del bene alla gente?»

«Sì. E anche se io non voglio, a volte lui le cose me le dice lo stesso… Cinque anni fa vidi un amico, anche lui marocchino, che passava dall’altra parte della strada, e avevo capito che qualcosa non andava; quindi lo chiamo e gli dico “Andiamoci a prendere un caffè, e dimmi cosa è successo”.

– Mah, non è successo niente…

  Insomma siamo andati, allora io gli ho detto:

– Vedo che tra due giorni tu vai in galera.

  Lui mi fa:

– Allora vado subito dall’avvocato: ho emesso quindici assegni scoperti…

  Qualche giorno dopo incontro il figlio, che mi ha detto che al padre avevano dato tre anni, anche se poi se n’è fatto uno solo!

  Un’altra volta a Trento, in un bar, vidi una donna, che lo frequentava spesso, e capii che c’era qualcosa… le ho detto “Senta, signora, vada a casa perché c’è bisogno di lei, sua madre deve andare all’ospedale”.

  Lei ci ha creduto, è andata, poi dopo un po’ telefona lì al bar, chiedendo:

– C’è ancora quel signore straniero?

  Be’, aveva dovuto portare di corsa la madre all’ospedale, in cui stette poi ricoverata per sei mesi.

  Un’altra volta, succede che arrivo alla frontiera svizzera con il camion, dovevo arrivare in Olanda. Mi controllano i documenti, e mi dicono di fare il giro col camion, quindi mi fanno scendere: il visto sul passaporto era scaduto! Non lo controllavo da tanto… Mi sono sentito perso, avevo il carico da consegnare… Come faccio?! Ho telefonato alla ditta, mi hanno detto di stare tranquillo, ma io gli ho detto che potevano vedere se c’era qualcuno che scendeva dall’Olanda, così facevamo il cambio: io tornavo indietro e lui proseguiva… Mentre aspetto, passano venti minuti, vedo che arriva uno con tre stellette sulla spalla, un ufficiale, che mi fa cenno di seguirlo: qualcosa gli aveva parlato, proprio così diceva! E poi erano arrivate telefonate che avevano indotto i doganieri, per motivi non chiari, a farmi proseguire…»

  E narrazioni di predizioni sugli esiti di esami medici, e altri aneddoti e mirabilia da Mille e una notte: certo è di notte che andiamo ad ascoltarlo, e ci verremmo mille e una volta, e lui è orientale, e si prende sul serio senza mai derogare dal suo composto e convinto affabulare. Forse un po’ ci gioca? Ce lo chiediamo ma ripetendoci che stare a questo gioco ci piace, eccome se ci piace. Saranno le fanfaronate di un mitomane? Sarà un grand’uomo o un colto cialtrone?

  Chissà.

  Ma in fondo, cosa cambia? Se lo avessimo subito smitizzato non avremmo conosciuto i fatti successi in séguito (che narrerò un altro racconto), e questi racconti, e il suo piacevole ricordo.

  Adil diviene dunque la presenza fissa del lungomare, col suo narrare e col suo osservare («Qui passano tutti: i furbi e gli stupidi, i cattivi e i buoni…»), anche quando non ci sono bagnanti, anche dopo che gli aperitivi sono finiti, anche quando sei da solo e non sai cosa fare: allora vieni, attraversi la sabbia, e chiacchieri con lui.

***

  Trascorre qualche mese, siamo a inizio ottobre anche se pare giugno; è la nostra estate tardiva, ma per me una giornata triste: dovevo vedere una persona, non l’ho vista. Rincasando passo da Adil, anche perché domenica pomeriggio stava dormendo e la volta precedente non l’avevo trovato affatto. Oggi, però, pochi convenevoli, innanzitutto perché è preso dal suo cous-cous: una preparazione monumentale con carne, patate, friggitelli, ceci, spezie (distinguo solo la cannella, richiamatami dall’emersione di un bastoncino). Molto piccante.

  Insomma una cosa squisita.

  Mentre va a prendermi piatto, forchetta e bicchiere, io capisco che stavolta mi vuole commensale invece che uditore: perché deve finalmente vincermi, lui che mi ha sempre definito come uno che ascolta ma non racconta di sé, se non addirittura enigmatico. Oddio, stavolta mi sento men che mai propenso a tirarmi fuori, dato che provengo dal vuoto in cui è caduto l’appuntamento che avevo stamattina (è la seconda ragione dei pochi convenevoli). In verità sappiamo entrambi che ero reticente su certi argomenti miei, perché ero in situazione sentimentale alterna e inconcreta, e non reputavo opportuno confidarmi con un veggente, seppure mi ispiri simpatia; anche lui lo sa e me l’ha fatto notare più volte, sorridendo ma al contempo reclamando.

  Oggi punta dritto, complice l’agio del pasto condiviso, chiedendomi se ho “trovato” una persona; gli rispondo che no, e che non è facile distinguere, e non voglio sbagliare, benché stanco di stare da solo. Profeta è chi parla “prima”, ma anche chi parla “al posto di”, pertanto lui mi svela: il suo spirito gli ha detto che la donna che troverò sarà una che già conoscevo; allora ridiamo quando replico che sarà un arduo discernimento, perché un uomo adulto conosce per forza varie persone con siffatti requisiti! Naturalmente glielo annuncerò, gliela presenterò, non appena avrò compreso e deciso.

«L’importante – conclude indicandosi il petto – è che sia sincera; il resto non importa niente»

  Doveva dirmelo, risolvendo il gioco di chi chiede e chi risponde, e l’alternarsi fra gli interlocutori, sempre sbilanciato, finora, tra noi due. Bravo Adil: le mani non me le faccio leggere ma capisco lo stesso che sei bravo, perché in fondo uno le cose le sa già, ma fa bene sentirsele confermare quando ci si sente deboli, che sia un amico o un musulmano in Ramadan o un analista. Poi aggiungo:

«A proposito, anche a te, ti trovo un po’ giù»

«Eh, non riesco a parlare con mia sorella in Marocco, perché questi giorni è la festa islamica del Haj (“pellegrinaggio” alla Mecca) e le linee telefoniche sono intasate» (a differenza delle linee della mano, penso io).

  Dopo la festa comunque, a novembre, tornerà giù, prima in nave e poi non si sa; chiede infatti se ho una valigia e un giacchetto più pesante, così ci accordiamo per vederci sabato al centro per i poveri. Mi chiede poi di salutare Giorgio e altri amici che non vedrà prima della partenza, e di portare un’ambasciata a una nostra comune conoscenza, che era andata a farsi leggere le mani la scorsa volta, però pioveva e non lui aveva potuto dirle alcunché. Oggi invece è sereno, lo spirito non tacerà.

  Restiamo che, prima di partire, ci faremo un cous-cous di saluto; all’ingrediente principale penserà lui, mentre al resto penseremo noi, basta che ci dica cosa serve, almeno scopriremo i nomi delle spezie misteriose.

  Infine vado, devo rincasare, incapace di distinguere, tra me e lui, chi è povero e chi no, chi ha una casa e chi no, chi è lontano dagli affetti e chi li ha vicini. Due persone oggi poco distinguibili, Adil e io. E mentre me ne torno in bici, percorrendo questo lungomare sfavillante nel dolce ottobre del Tirreno, penso ancora al suo cous-cous e a quanto sia difficile, in certi momenti della vita, trovare gli ingredienti: gli ingredienti per tornare al tuo Paese, quanto quelli per trovare la persona da tenerti accanto.

MICHELE CAPITANI

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