IL VECCHIO NELL’ACQUARIO
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Siamo come immersi in un acquario. I pesci nell’acquario non sanno di essere nell’acquario e vivono la loro vita quotidiana preoccupandosi solo dell’immediato (mangiare, contrastare, riposare, comunicare, prevalere…).
L’acquario nel quale siamo noi immersi è ciò che lasciamo alle prossime generazioni. Il liquido del nostro acquario è fatto di una materia particolare, cioè, una tremenda inquietudine: il clima nemico, la crisi dell’acqua, il surriscaldamento, i drammi demografici, il vuoto dei valori, le laceranti contraddizioni, le guerre continue. Un acquario inquinato che potrebbe rivelarsi letale per la vita futura dei pesci.
E’ con questo spirito che noi, il già compiuto, lasciamo a chi dovrà compiere.
Generalmente chi ha accumulato anni può denunciare di essere stanco della vita (in specie se il corpo non risponde come dovrebbe). Chi abbia accumulato molti meno anni può denunciare di essere stanco di questo modo di vita. Il dramma odierno potrebbe essere quello di una contaminazione dall’alto verso il basso dell’età: anoressia, bulimia, violenze sessuali, tossicodipendenza…, ovvero la denuncia di una stanchezza di vita da parte di chi dovrebbe esaltare la vita. Lo scopo della politica vera, se esistesse, dovrebbe essere quello di saper far distinguere le due diverse specificazioni del vivere, evitando contaminazioni assurde. Un giovane, in altri termini, dovrebbe essere stanco di questo modo di vita, non della vita!
L’inquietudine dell’acquario sembrerebbe non far parte della quotidianità dell’anziano. Tutto ciò dovrebbe essere alle sue spalle. E’ stanco di vita, del corpo che lo angoscia, ma dovrebbe essere indifferente al modo in cui la vita oggi si svolge. Eppure, anche lui è immerso nell’acquario.
Sono in molti, troppi, coloro che in età piena riempiono di giorni la loro vita. Quando la vita viene riempita di giorni finisce per essere noia, consuetudine, attesa di ciò che è scontato, ripetizione gestuale infinita, nostalgia di ciò che è volato via.
Alcuni trovano scampo altrove. L’impegno!
Già, l’impegno, quale coda lunga del nostro passato, che continua ad agire: darsi da fare,sentirsi vivo, fare, costruire, pensare, rivaleggiare come un tempo, lottare, rivaleggiare. E’ cosa buona e giusta, certo. Ma se approfondiamo scopriamo ancora una volta che, comunque, stiamo riempiendo la vita, pur sempre, di giorni. Giorni produttivi, fertili, civilmente ricchi ma giorni. Giorni che servono allo scopo di riempire la vita.
Il vero problema dovrebbe essere, invece, un altro. Mi azzardo a dirlo. Sarei ipocrita se lo dovessi suggerirlo come precetto. Ci provo a scriverlo senza tanta convinzione. Chissà se qualcuno ne converrà.
Dunque, il vero problema dovrebbe suonare così: non di tanto lontani dal limite costituito dalla “impossibilità di ogni nostra possibilità”, dovremmo non riempire di giorni la vita ma…
….riempire di” vita” i giorni futuri che ci sono concessi.
Che cosa significhi questa nuova materia con cui riempire l’esistenza ( vita invece di giorni) lo trasformo in una domanda da proporre a chi avrà la bontà di leggere (ego non sum dignus).
CARLO ALBERTO FALZETTI
Si riempiono i giorni di vita solo se hai un progetto da portare avanti; poi se oltre al progetto hai la possibilità di condividere emozioni, parole, sentimenti con più persone ecco che aggiungi vita ai tuoi giorni e se lo fai viaggiando o anche a cena con un ottimo vino, o condividendo una mostra o un concerto o un buon cinema, hai la netta sensazione di non sprecare i tuoi giorni
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“Invano, invano lotto
per possedere i giorni
che mi travolgono rumorosi.
Io annego nel tempo.”.
Ecco, in questi versi di Cardarelli è racchiuso il senso della domanda che tu poni: come arrivare a possedere i giorni (e quindi la vita) senza esserne posseduti?
Una lotta vana e quindi un annegare nel tempo o una battaglia che si può vincere?
Le nostre generazioni hanno tempo, molto più tempo rispetto a chi ci ha preceduto. Forse è questo il nostro grande male. Abbiamo tempo da riempire, la nostra vita si svolge con lentezza, le dimensioni della vecchiaia si sono dilatate, continuiamo a avere aspirazioni quando il corpo non ce lo concede più. Possiamo continuamente accrescere la nostra sapienza, ma –rispetto alle generazioni passate- difettiamo di φρόνησις, la saggezza che permetteva ai nostri avi di accettare il corso naturale della vita e quindi la morte. Ovunque troviamo occasioni per “passare” il tempo, per essere appunto posseduti dai giorni, con l’illusione quasi dell’immortalità.
Si vive forse in un eterno presente, castigando la vita vivendola (sono ancora parole di Cardarelli), aspettiamo la fine senza prepararci ad essa.
“Morte non mi ghermire
ma da lontano annùnciati
e da amica mi prendi
come l’estrema delle mie abitudini.”
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Il cervello è l’unica parte di un corpo in decadimento che rimane bambino e al bambino bisogna dare le caramelle. Caramelle, appunto. Piccole cose, piccoli progetti, piccoli obiettivi. Sappiamo del nostro destino. Non l’attesa ansiosa che si compia, ma la consapevolezza che c’è vita anche in giorni che scorrono lenti.
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