CINEMA ITALIA

di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦

Avevo passato la mattina alla macchia. In quel forteto irsuto pieno di marruche e biancospini, di mortella e di ginestra.

Andavamo girovagando io ed i miei compagni all’Infernaccio alla ricerca della gomma lasciata dai mezzi militari che facevano lì le loro esercitazioni.

 Brandelli di gomma da vendere per procurarci i soldi del biglietto per il cinema .Pezzi di gomma in cambio di felicità!!!

Il cinema era per noi una seconda realtà che irrompeva tumultuosamente in  quella vera.

L’odore acre del fumo, lo spesso tendone che ti apre alla magia, il buio seguito dallo squarcio di luce, la grande finestra sul fantastico.

Il compito mio quel giorno era di andare in avanscoperta al Cinema ITALIA , leggere il cartellone e di corsa riferire ai compagni se valeva la pena  investire i nostri guadagni ricavati dagli spezzoni di gomma.

Dal ghetto dove abitavo volai verso la meta. Il percorso era breve. Giunto al Piazzale degli Eroi vidi lungo il viale una fila di soldati che con indolenza si avviavano all’imboccatura del porto. Erano tanti, il passo lento, non cadenzato. Forse li aspettava una nave che doveva imbarcarli. Forse andavano in guerra.

La guerra! Chissa’ se era bella come quella che si vedeva al Cinema.

Arrivai al Largo Plebiscito ed imboccai la prima via a sinistra, quella di fronte al palazzo con le colonne.

Iniziai la leggera salita e giunsi alla piazzetta del mio cinema.

Per un giovane i luoghi non hanno i nomi che gli mettono i grandi,  quelli scritti in alto nelle lastre bianche. I nomi sono quelli delle cose che stanno lì, quelle interessanti per i giovani. La piazzetta era la piazzetta del cinema ITALIA , punto e basta!!

Eppure, eppure quel giorno, ebbi la curiosità di leggere il nome. Non so perché mi venne quella voglia. Guardai in alto e cominciai a leggere. Avevo difficoltà nel leggere. Ma che diavolo c’era scritto? Simùla, Sòzzini, o forse Simula e Sozzini. Ma che voleva dire, via Simula e Sozzini? Un mistero! Ma importa? Una cosa da niente. La piazza aveva un solo unico nome:  la piazza del Cinema ITA-LI-A.

Avevo fretta. Il cartellone m’aspettava.

Ecco sono di fronte alla fabbrica dei sogni. Vedo a sinistra la mia fatina magica chiusa nel suo piccolo castellino. Ha un abito a quadretti rossi la signora Maria. E’ il suo sorriso che ci permette di varcare la soglia del mondo incantato e di spostare quella pesante tenda verde che segna il limite fra i due mondi.

Accanto a lei c’è il grande cartellone.

Gen-te de-l’ari-a. Gente dell’aria. Aerei che fanno fuoco di mitraglia, bombe che piovono dal cielo, esplosioni, fiamme, boato. Folgori che roteano, s’impennano, si lanciano in picchiata. Sibilano, planano, virano sfrecciano, sbandano , s’avvitano…….

E’ lui, Gino Cervi, l’eroe con la casacca di pelle nera, il casco, gli occhiali da pilota.

La cassiera col suo abitino a quadretti rossi mi indica di far presto. Ormai sono le tre ed un quarto del pomeriggio e la magia sta per mettere in moto le eliche, farli decollare dalla pista ed arrivare al bersaglio. D’un balzo sono all’ultimo piano del mio palazzo al ghetto.

Ma, ecco che un rumore sordo fa tremare l’aria. E’ strano, è come se il film fosse già iniziato.

Sono ora nel terrazzo del palazzo. Sotto la fila grigioverde è sempre lì. Alzo gli occhi verso il cielo, vedo aerei che s’avvicinano: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette…….quattordici, quindici…..

Ora li vedo bene, distinguo le forme. Sono molto grandi, goffi, volano molto alto. Non volano come i nostri. Molto in alto.

Ecco! Ora distinguo meglio….il musone allungato, quattro eliche…il colore grigio e …nella fusoliera….un segno…..certo…una…stella ….una stella bianca dentro un cerchio nero….e…poi….

Il tuono del libeccio sbatte ondate sulle scogliere. Le onde hanno scavalcato le barriere e si sono riversate all’interno, come enorme spaventosa cascata, flagello devastante sui muri delle case. Esplode il tuono della folgore. Ovunque si ode lo scroscio di una pioggia a vento incessante. Tutto il mondo oscilla. Va avanti, va indietro, sale, precipita. Ogni essere è nel pieno della tempesta.

Le parole di Padre Alberto. Un presagio, una terribile profezia.

Sono a terra. Le mani serrate sulle orecchie. Il viso schiacciato sul pavimento del terrazzo. Non voglio vedere, vorrei poter non sentire.

Poi, d’un tratto, la libecciata cessa. Sono in piedi, non vedo. Una fitta coltre, una nebbia biancastra copre ogni cosa. Ora sono fuori del mio palazzo, raggiungo la chiesa del Ghetto.

Ho un solo, unico pensiero. Da grande mi sono sempre chiesto del perché di questo pensiero che in quel momento mi assillava:  il biglietto del mio cinema!  Lo spettacolo è già iniziato, la cassiera….dovevo correre, correre, era tardi!

Proseguo per Piazza del Plebiscito. I soldati sono sempre lì, in fila. Ma sono distesi in terra, immobili.

Corro, disperatamente tento di farlo. Ma non corro, mi arrampico. Salgo e scendo, come tante volte nella macchia, ma non sono arbusti. Sono una massa di detriti friabili, ma a tratti duri come pietra. Non sono solo. Fantasmi tremolanti con la braccia tese in avanti traballano, bianchi di farina come fornai usciti dal forno mi affiancano. Non parlano, non sanno dove andare. Muovono la bocca senza pronunciare suono.

Scorgo il palazzo con le colonne e comprendo che di fronte c’era la mia salita.

Sono ora nella piazzetta, quella col nome buffo. Mi giro verso il mare per poter entrare nel mio cinema. Ma i miei occhi vedono il Forte. Io non devo vedere il Forte. Io dovevo vedere il mio cinema!

Accasciato sopra un muretto di calcinaccio vedo il Forte di lontano che fuma.

 Non vedo il mio Salone.

Vedo solo tre lunghe dita appuntite rivolte contro il cielo di morte. Inutili monconi di cemento e ferro, scheletri del mio luogo di magia.

Vedo piccoli quadratini bianchi e rossi rivestire un ombra che termina con una mano afflosciata che stringe ancora un biglietto. Forse è il mio biglietto.

Vedo accanto a quell’ombra  un cartone a colori sbiadito che si muove come fosse una bandiera agitata da un vento innaturale che proviene dal basso del porto dove fiamme ardenti divampano.

Vedo a tratti quel cartone agitato dall’aria mostrare l’immagine di un aereo. Il ritmo con il quale il vento lo agita lo fa sembrare un aereo in picchiata. Come se il film si realizzasse di fronte a me.

 Vedo, negli anni che seguirono, un ragazzo seduto su un cumulo, di fronte al suo cinema. Il suo sguardo non è triste. Non è triste perché non vuole che il passato possa essere passato via,  così brutalmente.

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Il film” Gente dell’aria” venne distribuito nelle sale cinematografiche nell’aprile del 1943. Attori principali erano Gino Cervi, Paolo Stoppa, Adriana Benetti. La regia di Esodo Pratelli. Il soggetto si rifaceva ad una idea di Bruno Mussolini deceduto nell’agosto del 1941.

CARLO ALBERTO FALZETTI

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