I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI ♦

Capitolo 24:  L’immediato dopoguerra. La strana parabola degli Stati Uniti d’America. 

   La ripresa europea fu impetuosa. La stessa Italia già alla metà degli anni ’50 da paese a economia prevalentemente agricola si era trasformata in paese industriale. Lo sviluppo venne favorito, come spesso accade quando sui popoli aleggia lo spettro della guerra, dalle incredibili novità tecnologiche. 

   Le armi, i missili generarono automobili, scooter, frigoriferi. Dieci anni dopo le strade europee pullulavano di macchinette in buon parte italiane, le case di elettrodomestici. Vennero le vacanze, la sanità, le scuole, sempre più numerose, il cinema, insieme alla moda, straordinario biglietto da visita dell’Italia in un mondo, che si stava riaprendo.  

   Gli orrori della guerra spinsero gli Europei a sperimentare politiche comuni. 

   Nel 1951, fu istituita la Comunità del Carbone e dell’Acciaio (CECA), creata da uomini politici di grande levatura, tra cui De Gasperi. La sigla denotava la volontà di mettere al centro dei programmi europei il lavoro e la ricostruzione dopo la guerra. All’epoca era forte la preoccupazione per la crescente aggressività dell’impero sovietico, non a caso all’interno della Ceca nel 1953, quando il trattato venne approvato, trovò posto una sezione di difesa comune (CED).  

   Il nucleo iniziale comprendeva Germania, Francia, Italia, Lussemburgo, Belgio e Olanda, tutti all’epoca erano convinti che un’Europa fortemente motivata, insieme agli Stati Uniti, scoraggiasse l’avventurismo di Stalin che poi morirà due anni dopo il trattato istitutivo della CECA.  

   L’inizio fu promettente. Alla CECA seguirono altre importanti istituzioni comunitarie come la CEE e l’EURATOM. Addirittura, si cominciò ad elaborare il trattato sulla giustizia europea. 

   In Italia i contrasti furono feroci. I partiti di sinistra, socialisti e comunisti, misero a ferro e fuoco il paese. In particolare, i comunisti, agli ordini e al soldo (oggi che tutto è venuto fuori si può dire) dei sovietici, vedevano questo primo nucleo europeo come il fumo negli occhi. L’Urss non tollerava la presenza di una Europa forte e solidale vicino alla cortina di ferro. 

   Questo primo, e purtroppo breve, processo d’integrazione europea culminò con la firma del Trattato di Roma del 1957. Mai scelta politica fu più lungimirante. L’Italia evitò il calvario e la strage di libertà dei paesi dell’est europeo e della stessa Russia. Le rivolte popolari in Ungheria, in Germania dell’Est, in Polonia, in Cecoslovacchia furono le tappe per la riconquista della libertà e le premesse della dissoluzione dell’URSS.  

   Non è superfluo ricordare che i partiti comunista e socialista non approvarono nel Parlamento italiano i trattati istitutivi dell’Unione Europea, neppure quello di Roma del 1957, come non avevano approvato nel 1949 il patto atlantico, la NATO, che ha garantito la sicurezza in Europa fino ai nostri giorni.    

   Grandi statisti europei, Adenauer, De Gasperi, Schumann, Monnet, Spaak, dopo il recupero della libertà, pur impegnati a rimuovere con l’aiuto determinante dagli Stati Uniti le macerie che sfregiavano l’Europa, pensavano che un’unione politica bastasse per mettere fine a secoli di conflitti, che l’avevano insanguinata.  

   Il tempo è crudele: con il tramonto dell’esperienza umana di quei giganti, gli interessi dei singoli stati ci misero un attimo a riaffiorare. Ci fu un altro fattore, non proprio prevedibile, a determinare il blocco di politiche europee comuni: la propaganda dell’URSS, una macchina da guerra.    

*** 

   La gratitudine, da che mondo è mondo, è il peso più insopportabile per l’uomo. Un pensiero che mi venne alla mente una quindicina di anni fa, visitando il cimitero americano alle spalle di Omaha beach in Normandia, dove, nello sbarco che avrebbe liberato l’Europa, in meno di due ore morirono circa 23.000 ragazzi americani, molti di religione ebraica, canadesi, inglesi e altri alleati.  

   Il cimitero si staglia sul mare ed è di una bellezza commovente: racchiuso tra alberi altissimi, il campo verde immacolato, sul quale poggia una distesa di croci bianchissime, intervallate da cippi con la stella di David, i nomi appena dorato. Raccoglie le spoglie di più di 9.000 soldati. Una lapide più grande ricorda i nomi di altri 1557 dispersi o non identificati. 

   Posso assicurarvi che vi si stringe il cuore, guardando la data della morte: per tutti o quasi 6 giugno 1944. Pochi avevano superato i vent’anni.  

   Le salme di altri 14.000 soldati furono traslate in America per volere dei familiari. 

   L’Europa è piena di cimiteri americani.  

   Innumerevoli americani, dunque, hanno pagato con la vita la nostra libertà, hanno cancellato con il loro coraggio l’orrore e la vergogna dei regimi nazifascisti.  

   Altri americani, subito dopo la guerra, pensarono alla vita: il Presidente Truman, grazie al genio del Generale Marshall, approvò un piano che permise ai paesi europei di ricostruire e di avviare una stagione di progresso e di pace che l’Europa nei secoli non aveva mai conosciuto. Restarono fuori soltanto i paesi satelliti dell’Unione Sovietica sui quali, come una mannaia, era calata la cortina di ferro. Ci sarebbero voluti quasi cinquant’anni prima che anch’essi conoscessero la libertà.  

   Il Piano Marshall non costò ai paesi europei un centesimo.   

   Sì, l’ho già detto, ma ripeterlo non guasta. La storia non deve essere dimenticata. In particolare, non dobbiamo dimenticare che l’antiamericanismo nasce subito dopo la vittoria. 

   Il Piano Marshall? L’hanno fatto perché gli conveniva, dovevano vendere le loro merci.  

   I soldati di stanza in Europa, in Giappone, in Corea del Sud? La prova dell’imperialismo, altro che deterrente contro i pericoli delle nazioni vicine. Già perché i tuoi vicini erano noti pacifisti, da Stalin a Mao Zedong, impegnati a tempo pieno a sterminare decine di milioni di connazionali.  

   Le campagne di odio contro gli americani alimentate dai regimi comunisti e amate dai progressisti europei, protetti dall’ombrello della NATO, tardivamente apprezzato persino da Enrico Berlinguer, capo del più grande partito comunista fuori dei paesi del Patto di Varsavia, non sono mai cessate e continuano ai nostri giorni.  

   Le torri gemelle? Se le sono abbattute da soli. 

   L’Afghanistan? Gli americani ci sono andati perché interessati a costruire un oleodotto mostruoso, che naturalmente non ha fatto né ha visto nessuno. 

   l’Iraq? L’hanno occupato per impadronirsi del petrolio, poi si è visto che gli americani per fare benzina andavano al distributore.  

EZIO CALDERAI                                                                     (CONTINUA)

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