La bambina che non sorrideva mai

di ANNA LUISA CONTU

Con grande disagio e turbamento scrivo su un fatto di cronaca che ha lascito senza parole l’intero paese: la vicenda della piccola Diana, abbandonata sola in casa per sei gironi dalla madre. Un terribile fatto di cronaca  che ci mette uno specchio davanti e quello che lo specchio rimanda non è piacevole. 

La maternità non è l’unico destino per la donna. Molte donne non desiderano avere figli e, fortunatamente, allo stato attuale della nostra civiltà ci sono i sistemi e i metodi per non diventare madri. Alla piccola Diana è capitato di nascere da una madre che non la  voleva ma che non prendeva nessuna precauzione nei suoi rapporti sessuali con uomini sempre diversi, e infatti lei non sa chi sia il padre di sua figlia. 

La libertà sessuale che il femminismo ha rivendicato per le donne, rifiutando di classificarle in madonne o puttane, ha liberato i nostri corpi dall’obbligo della verginità prima del matrimonio, ci ha rese soggetti desideranti, ci ha rese soggetti politici. Ma quanto di quelle idee, di quelle teorizzazioni sulla condizione femminile, siamo riuscite a trasmettere alle nuove generazioni, alle donne come la madre di Diana, la cui idea di libertà è la dipendenza affettiva da uomini casuali per i quali ha sacrificato la piccola Diana? Immagino che un soggetto del genere oltre a non prendere precauzioni durante i rapporti, sia inorridita al pensiero di abortire, secondo i termini e i tempi dettati dalla legge, perché abortire è “peccato”. 

Dicevano le vicine di casa che la bambina non sorrideva mai. Il sorriso sboccia nelle boccucce dei bambini e delle bambine che sono amati. Diana era un peso per sua madre, una donna che la maternità non aveva maturato e resa responsabile. L’unico pensiero rivolto a se stessa, a tenersi quell’uomo per il quale era disposta a tutto, omologata ad un modello che i social rimandano, tutti uguali, tutti perfetti (!), tutti con le stesse idee, in cui i sentimenti sono casuali, effimeri, momentanei. E la bambina un oggetto che poteva essere lasciato in un angolo e dimenticato.  

Una società dominata dall’individualismo, le reti parentali totalmente allentate o inesistenti, le comunità dissolte, i vicinati che erano la fonte delle amicizie e della solidarietà disgregati in un modello abitativo che porta alla solitudine. Non c”era un’amica, una compagna di lavoro, una vicina cui lasciare la piccola Diana?

Relazioni essiccate, un’affettività esausta e indirizzata a soggetti sbagliati cui offrire se stessa libera dall’impedimento di quella creatura. L’irresponsabilità che io vedo essere la cifra  interpretativa del presente. 

Non c’è da ricordare Medea che uccide i figli per vendicarsi del tradimento di Giasone; nessuna nobilitazione attraverso il mito; o la schiava Sethe , nel romanzo Amatissima  di Toni Morrison, che uccide la bambina che ha appena partorito per non consegnarla al suo stesso destino. 

Diana,  porti il nome di una principessa, ma i tuoi giorni sono stati meno dei suoi  e sei volata via in un giorno di una torrida estate senza che alcuno avesse pensiero per te. 

 Riposa in Pace, piccolina.

ANNA LUISA CONTU

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