Almanacco civitavecchiese di Enrico Ciancarini – Il Tribunale del Sant’Uffizio a Camporsino. Inquisizione ed intellettuali nella Civitavecchia del XVIII secolo. – Parte III e fine.
di ENRICO CIANCARINI ♦
Il 17 febbraio 1908 sulla facciata esterna del chiostro del convento dei Domenicani di proprietà comunale, alcuni cittadini pongono questa lapide a ricordo del martirio di Giordano Bruno e di tutte le vittime condannate dall’Inquisizione romana che a Civitavecchia aveva la sua vicaria:
“Dove il Tribunale del Sant’Uffizio/ nel nome della fede/ colpiva inesorabilmente ogni libertà di pensiero/ la vindice democrazia/ commemorando il Martire nolano/ nel nome della Scienza/ afferma il trionfo della Scuola laica”.
Grazie ad Odoardo Toti e alle sue recenti e purtroppo ultime ricerche su Visconti e camerlenghi a Civitavecchia (32° Bollettino della Società Storica) abbiamo un prezioso e dettagliato documento sui luoghi in cui l’Inquisizione esercitava il suo potere a Civitavecchia, sulla costruzione di un nuovo edificio per le sue esigenze e un preciso riferimento ai patentati civitavecchiesi. Nel Copia lettera della Comunità di Civitavecchia alla data del 20 ottobre 1779 è inserita la copia di una lunga lettera inviata dai locali magistrati alla Sacra Consulta e per conoscenza a Filesio Antonio Sgambati, loro agente cioè rappresentante nella capitale pontificia, in cui viene esposto il grave problema dei locali comunali troppo spesso occupati da fra Piero Dom. Bernardi che vi svolge il suo incarico di Vicario per la Suprema Inquisizione del Sant’Uffizio in Civitavecchia.
La lettera dei visconti e camerlenghi inizia ricordando che il suo predecessore, fra Raimondo Zolla, godeva “… per semplice convenienza il comodo nella Segreteria di questo Palazzo Comunale per assumere qualche piccolo Costituto de Rei detenuti in carcere presso questo Tribunale lo che accadeva ben di rado per l’anno poiché esercitava il suo Ministero nel di Lui proprio Tribunale eretto dentro il Convento di questi Padri Domenicani…“. Ora accade che il nuovo Vicario usa tale ambiente con tale frequenza da arrecare pregiudizio alla libertà necessaria all’ufficio del Segretario della Comunità che si lamenta per la ristrettezza del Palazzo “…. che anco esso avesse corrisposto come il di lui antecessore dare un breve incomodo a questa Amministrazione nell’esercizio del suo impiego, ma vana è riuscita la nostra fiducia perché non contento egli di stare nella Segreteria la mattina delle intere settimane a costituire i Rei del suo Tribunale fa anche adunare in questa tutti i di lui Patentati allorché deve fare o le abiure, o deve emanare sentenze contro di essi, a talché ha impedito, ed impedisce al pubblico segretario di esercitare il proprio impiego con notabil pregiudizio degli interessi comuni che la ristrettezza di questo Palazzo contenente soltanto un Salone, una Stanza per la Segreteria e una piccola Retrostanza per i servitori e costretto il più delle volte rimanere indietro nel disbrigo degli affari..” e si aggiunge che il Bernardi potrebbe ora approfittare del fatto che “…. ha il suo tribunale comodissimo entro il Convento de’ PP. Domenicani dove puote liberamente adempire al suo prezioso officio, come hanno fatto tutti gli altri di lui antecessori, e maggiormente puol ciò effettuarsi perché è stato aumentato in detto Convento una piccola Fabrica ed anche eretto da fondamenti un nuovo Palazzo in un recinto denominato Camporsino...” Inoltre “si aggiunge anche la vicinanza delle pubbliche carceri dalle quali col solo trapasso e larghezza della prima strada possono i Rei stessi condotti in Camporsino dove si apre la Porta Segreta del Convento, ed ivi sono come in tutte le occasioni esaminati e disbrigati come si è praticato dai di lui antecessori”. È ora maggiore lo spazio a sua disposizione nel Tribunale ubicato nel citato Convento e così i magistrati concludono: “Ci vediamo costretti di rendere tutto ciò umilmente ragguaglio alle EE.VV. perché vogliano degnarsi di prendere qualche provvedimento che crederanno più convenevole per non essere in avvenire soggetti ad una tal servitù pregiudizievole al disbrigo dei publici interessi”.
“I di lui Patentati”, i visconti e i camerlenghi ricordano nella lunga nota i laici che collaboravano con il vicario del S. Uffizio nell’amministrare la giustizia inquisitoria a Civitavecchia. Nel precedente articolo ho pubblicato la Nota de’ Patentati, che attualmente assistono al S. Officio di Civitavecchia (1756), in questa terza e ultima parte della mia ricerca sull’Inquisizione a Civitavecchia accenneremo a qualche notizia biografica per alcuni patentati (estrapolate soprattutto dagli alberi genealogici tracciati da Vittorio Vitalini Sacconi) e con l’aiuto del libro La società dell’Inquisizione. Uomini, tribunali e pratiche del Sant’Uffizio romano (2021) di Dennj Solera ne illustreremo i ruoli e le mansioni svolte all’interno della famiglia civitavecchiese del S. Uffizio, affiancandogli quando possibile gli incarichi ricoperti all’interno dell’amministrazione cittadina.
Fiscale o procuratore del S. Uffizio
Il fiscale o procuratore del S. Uffizio, scrive lo storico Solera “doveva assicurarsi del corretto svolgimento delle cause e più in generale di tutte le azioni giudiziarie intraprese dall’Inquisizione”. Era considerato un esperto di procedure giuridiche anche se non era indispensabile che possedesse una specifica formazione accademica.
A Camporsino il ruolo è esercitato dal “Sig. Girolamo Capalti, cittadino mercante, d’anni 65, Fiscale”. Capalti per la lunga esperienza maturata nella realtà portuale possedeva sicuramente tali caratteristiche.
Girolamo Capalti dovrebbe essere nato nel 1691, sposa Giovanna Teresa Vidau nel 1723, ed è eletto visconte quattro volte. Per questa lunga pratica amministrativa è inserito nella “Congregazione particolare o Consiglio segreto” della città in cui si siedono gli ex visconti e camerlenghi con maggiore anzianità. È uno dei tre consoli nominati alla fondazione del Consolato del Mare, in cui erano cooptati i maggiori mercanti della città. Alla morte dell’assentista Giulio Pazzaglia nel 1743, di cui in gioventù era stato allievo, la Camera apostolica lo nomina per un anno soprintendente generale della flotta pontificia. Il Guglielmotti lo ricorda “di quella nobile famiglia civitavecchiese, d’onde si sono generati i visconti nel patrio municipio, i consoli delle potenze straniere, e l’eminentissimo cardinale Annibale Capalti nella gerarchia romana dei nostri giorni”. In molti pii libri è ricordato sempre vicino e pronto per ogni esigenza dei vari ordini religiosi presenti in città o in essa esiliati (i gesuiti espulsi dal Portogallo).
Avvocato de’ Rei
Il compito dell’avvocato dei Rei “era difendere gli inquisiti in sede processuale, o più esattamente assicurarsi della corretta applicazione delle procedure inquisitoriali nei confronti dei rei”. Il reo era considerato colpevole fino a prova contraria “all’avvocato era proibito sostenere l’innocenza dei rei … nel fare ciò si poteva incorrere nell’accusa di favorire l’eresia” sottolinea Dennj Solera.
È “Sebastiano Aloisi, cittadino vivente d’entrata, d’anni 54, Avvocato de’ Rei”. La Famiglia Aloisi era dedita al commercio ed è ricordata come munifica benefattrice del convento civitavecchiese dei frati cappuccini e dei Benefratelli che gestivano l’ospedale cittadino.
Cancelliere o notaio
Il notaio o cancelliere aveva il compito principale, ricorda Solera, di produrre e conservare i documenti della locale inquisizione. Aggiunge che “per tale carica si dovevano preferire persone di condizione agiata o addirittura nobile, nella speranza di raggiungere un doppio obiettivo: cooptare nella propria familia esponenti di importanti casati locali, che in tal modo avrebbero reso più agevole l’azione del tribunale e ovviare al problema dello stipendio dei notai” accontentandosi dei privilegi fiscali e giurisdizionali che garantiva la patente rilasciata dal S. Uffizio.
La lettura della Nota de’ Patentati, redatta da fra Raimondo Zolla, permette di conoscere il cursus honorum di uno stimato esponente della classe mercantile civitavecchiese all’interno della Famiglia dell’Inquisizione. Parliamo di Alessandro, il padre di Gaetano Torraca, il maggiore intellettuale che esprime Civitavecchia nel Settecento, il secolo dei Lumi. Gaetano è un eclettico uomo di cultura, medico, archeologo, scienziato, socio di innumerevoli accademie in Italia ed Europa, corrispondente scientifico di illustri studiosi e ricercatori nei vari campi dello scibile umano.
Nel 1756 “Alessandro Torraca cittadino droghiere d’anni 59 [è] Primo familiare”. Pochi anni ed è promosso a cancelliere sostituto, per raggiungere nel 1759 la carica di cancelliere della Vicaria civitavecchiese del S. Uffizio sostituendo “Giuseppe Antonio Pieromaldi cittadino agricoltore anni 48”. Una carriera folgorante che evidenzia una particolare dedizione alla Famiglia inquisitoriale.
Alessandro nasce il 25 novembre 1697 e muore nel 1773. Nel 1722 sposa Donna Aurelia Azzarani, ricopre il ruolo di camerlengo nel 1755, visconte nel 1767, console di Gerusalemme.
Tale padre, tale figlio? Gaetano Torraca era patentato del S. Uffizio? Lo stato attuale delle ricerche non permette di confermare od escludere tale dato. Sappiamo che il padre vicario aveva bisogno per gli interrogatori sugli imputati, in cui si utilizzava anche la tortura, della consulenza di un medico che si accertasse delle reali condizioni fisiche e psicologiche del reo, se poteva sopportare e proseguire i duri interrogatori a cui era sottoposto. Il dottore Gaetano Torraca svolgeva questo ruolo a Civitavecchia?
Le sue ricerche negli archivi e nelle biblioteche cittadine furono favorite dall’importante e delicato ruolo che ricopriva il padre all’interno dell’Inquisizione civitavecchiese? Il suo “antagonista storiografo”, il cavaliere romano Antigono Frangipani, lamenta nella sua Istoria dell’antichissima Città di Civitavecchia le difficoltà che incontrò in città per le sue ricerche non potendo consultare né l’archivio comunale, né la fornita biblioteca dei Domenicani custodita in Prima strada, vicino al S. Uffizio in Camporsino. Torraca godette di maggiore libertà di movimento grazie alla fedeltà ai Domenicani dimostrata dal padre? Ultimo particolare: pur attivo in numerosi campi della scienza e della civiltà, Gaetano Torraca fu accusato di oscurantismo nei decenni successivi alla sua morte: per la sua vicinanza al S. Uffizio? Ipotesi, suggestioni, che future ricerche potranno confermare o smentire.
Provveditore de’ Carcerati
Colui che custodiva e gestiva il carcere del S. Uffizio. Nella nota del 1779 i magistrati affermano che i rei sono custoditi nelle pubbliche carceri poste allora nella stessa Prima strada dove si ergeva il convento domenicano. La nuova costruzione prevedeva anche delle celle per i rei?
Questo ruolo di rilievo e responsabilità all’interno dell’Inquisizione è affidato al fratello e poi al nipote della moglie di Alessandro Torraca, rispettivamente zio e cugino di Gaetano: “Salvatore Azzarani cittadino vivente d’entrata d’anni 47 Provveditore de’ Carcerati rinuncia e fu fatto Gaetano Azzarani di lui figlio 1772”. Quest’ultimo fu camerlengo nel 1784, 1785 e 1793.
Cancelliere sostituto
Aiuto del notaio o cancelliere titolare. Padre Zolla indica in questo ruolo due illustri personaggi della Civitavecchia settecentesca:
“Francesco Maria Biamonte cittadino vivente d’entrata d’anni 58 Cancelliere sostituto – sostituito da A. Torraca, poi da Biagio Annovazzi 1760”.
Visconte nel 1737 e 1743, il Biamonte è nominato assentista della flotta pontificia nel 1745, in sostituzione di Girolamo Capalti, fino al 1752. Nel 1746 donò a Benedetto XIV in visita a Civitavecchia “tre grandi libri di nautica legati alla francese, con l’arme di N.S: e una Pianeta dal valore di scudi 150”. Fu console di Malta.
Biagio Annovazzi era il padre di monsignor Vincenzo, vescovo e storiografo di Civitavecchia. La madre di Biagio era Anna Maria Azzarani, figura che lo lega ai Torraca. È suggestivo pensare che due fra i maggiori storiografi di Civitavecchia siano parenti fra loro e abbiano uno stretto legame con la Famiglia del S. Uffizio civitavecchiese. Biagio risulta camerlengo nel 1778 e 1781
Mandatario
Così Dennj Solera definisce la figura del mandatario: “fu il cursore del tribunale, la persona incaricata di notificare agli interessati gli atti dell’Inquisizione … Il mandatario rappresentava formalmente il padre inquisitore e ogni suo intervento era da considerarsi come eseguito dal giudice stesso”. Non un corriere ma un messo pubblico: “la sua venuta e ogni suo pronunciamento costituivano atti giuridici di grande importanza a cui era opportuno prestare il dovuto rispetto”.
“Gaspare Ceccantonelli cittadino mercante d’anni 53 Mandatario poi Vincenzo Ceccantonelli 1761.
Benedetto Ricciani cittadino mercante d’anni 46 sottomandatario poi Cesare Centofanti”.
Gaspare fu console del Collegio dei Mercanti entrambi ricoprono la carica di visconte numerose volte. Cesare Centofanti lo fu nel 1785.
Depositario
L’economo del locale S. Uffizio: gestiva la cassa e forse i possibili possedimenti che l’Inquisizione possedeva a Civitavecchia e nei comuni vicini.
Pietro Antonio Gigli cittadino mercante d’anni 67 Depositario poi Vincenzo Santini 1763.
Il Gigli o Gilii fu visconte nel 1750, console del Collegio dei Mercanti, rappresentante consolare dell’Inghilterra e dei paesi scandinavi..
Vincenzo Santini nato a Roma sposa il 23 maggio 1741 Girolama Falzacappa di Corneto, fu visconte nel 1775, 1780, 1789, 1791, 1793 e infine nel 1802. Ebbe una vita lunghissima.
Familiari, famuli e custodi
I familiari erano addetti a varie mansioni all’interno dell’Inquisizione, dalla scorta al vicario, alla presenza e vigilanza durante le sedute del tribunale
I famuli, scrive il Solera, “non sono da considerarsi dei veri membri della familia Inquisitionis, in quanto i famuli furono legati al sacro tribunale per interposta persona. Molto spesso agli ufficiali, ai familiari e ad alcuni ministri, fu concesso il privilegio di disporre di una guardia personale, un famulus (servitore) appunto, che il Sant’Uffizio poteva riconoscere ufficialmente attraverso il rilascio di un’apposita patente”.
Oltre ad Alessandro Torraca che inizia come familiare, abbiamo Francesco Luchetti mercante d’anni 54 secondo familiare.
I famuli e custodi sono sei, più una sostituzione.
Antonio Luchetti mercante d’anni 39 Primo famulo e custode.
Francesco Desplas, cittadino mercante, d’anni 38, secondo famulo e custode.
Gio Lazzaro De Angelis, notaro, d’anni 44, terzo famulo e custode.
Felice Angelo Graziosi, mercante, d’anni 63, quarto famulo e custode.
Donato Bucci, salumaio, d’anni 29 quinto famulo e custode, quale ottenne la patente in grazia dell’ill.mo Monsig. Guglielmi.
Pietro Dumas, cittadino mercante, d’anni 42 famulo poi Camillo Forgies 1776.
Michele Angelo Giliotti in luogo di Donato Bucci.
Il nome che spicca nell’elenco è quello di Donato Bucci, salumaio. Originario di Norcia, i Bucci si trasferiscono a Civitavecchia portandovi la sapienza norcina nella lavorazione dei salumi. Il nipote Donato fu amico ed esecutore testamentario di Stendhal, console francese a Civitavecchia, che diede parecchie preoccupazioni al vicario dell’epoca. Interessante l’annotazione che Bucci “ottenne la patente in grazia dell’ill.mo Monsig. Guglielmi”. Si potrebbe pensare a Benedetto Guglielmi, capostipite della famiglia a Civitavecchia, anch’essa originaria di Norcia ma propendo per un’altra versione: monsignor Pietro Paolo Guglielmi, assessore della Santa Inquisizione romana dal 1743 al 1753, cardinale dal 1759 e morto nel 1773.
I patentati civitavecchiesi dell’Inquisizione romana sono tutti laboriosi mercanti, la maggior parte impegnata nella politica cittadina in cui ricoprono i ruoli alternativamente di visconti e camerlenghi, alcuni di loro sono consoli dell’Università dei Mercanti fondata da Benedetto XIV nel 1742. Sono la classe dominante in città dal punto di vista finanziario ed amministrativo e guadagnano ancora più potere, economico e giurisdizionale, grazie alle patenti rilasciate dal padre vicario. La stretta commistione fra il potere cittadino e quello inquisitoriale è un aspetto della storia della nostra città che non conoscevamo e che merita ulteriori approfondimenti per meglio comprendere i processi di crescita culturale e sociale che hanno origine nel Settecento e trovano conferma nel secolo successivo con Civitavecchia che trova il suo maggiore fulgore nella prima metà dell’Ottocento.
In chiusura ricordiamo un illustre padre domenicano e rinomato inquisitore nativo di Civitavecchia che svolse la sua attività prevalentemente in Umbria: Pietro Paolo Palma, inquisitore prima a Narni, poi a Spoleto e infine a Perugia dove svolse il suo ministero dal 1745 al 1782:
“il quale presentemente esercita il suo impiego con sommo zelo, e vantaggio della Cristiana Fede. Accoppia al suo sapere un’irreprensibile religiosità; intento continuamente a mantenere la Città ne’ doveri della cristiana credenza; religioso di somma ritiratezza, ed in somma riputazione appresso gli uomini savi, e specialmente appresso la Sagra Congregazione del S. Offizio, talmentecchè sono senza appellazione le sue sentenze, ed inalterabili le sue risoluzioni”.
FINE (la mia ricerca sull’Inquisizione a Civitavecchia però prosegue….).
ENRICO CIANCARINI
Grazie, Enrico, per aver restituito con i tuoi articoli un affresco preciso e suggestivo della storia locale. Prezioso per preservare e tramandare una memoria condivisa.
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Puntualissime ed esaurienti note, bravissimo Enrico, come sempre.
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Come sempre bravo Enrico.
Sai bene che le tue ricerche mi appassionano e questa in particolare.
Non ultimo il ricordo delle opere di Odoardo Toti, che tanto ha dato, con la sua presenza alla Società Storica Civitavecchiese.
Facio mio il tuo incipit con il ricordo della lapide al martire Giordano Bruno, un’altra Civitavecchia, sempre commercianti, sempre a Camporsino.
Aspetto i tuoi contributi in Spazio Libero Blog.
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La storia dell’Inquisizione a Civitavecchia è una pagina che deve essere ancora in larga parte scritta. Con la questa trilogia ho scritto le prime righe e proseguirò le ricerche nell’archivio del S. Uffizio.
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Leggo solo oggi questa parte finale della preziosa ricerca di Enrico Ciancarini, con notizie interessantissime su tanti personaggi noti e meno noti e con “rivelazioni” significative sui loro ruoli nella “macchina” giudiziaria del Sant’Uffizio. Per qualche lettore meno al corrente della situazione logistica di quella parte di città, riporto qualche notizia sulle prigioni e sulla sede del tribunale nel convento domenicano. Ci guida, naturalmente, il padre Labat. Le prigioni degli uomini erano al pianterreno del Palazzo della Comunità, nell’angolo tra la Prima Strada e la salita verso la chiesa della Stella, su cui si apriva la porta a doppia serratura e le finestre delle celle munite di inferriate. Sopra era la prigione delle donne. Sotto, cioè nel piano interrato, le tre “segrete” chiamate “Paradiso”, “Purgatorio” e “Inferno”, perché prendevano aria (malamente) da aperture a bocca di lupo o addirittura da locali interni. Le prigioni, quindi, distavano non più di una trentina di metri dall’archetto d’ingresso al vicolo che portava a Camporsino, dove si apriva la porta “segreta” del convento, dov’era la vera della cisterna, la chiesetta del Nome di Dio e altri locali a due piani dei Padri Domenicani.
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