“OLTRE LA LINEA” A CURA DI SIMONETTA BISI E NICOLA R. PORRO – In guerra con la modernità: la rivolta no vax (I)

di NICOLA R. PORRO

Azzardare una lettura sociologica della galassia no vax non è impresa semplice. Attiva in tutti i Paesi colpiti dalla pandemia, presenta un profilo globale ma non segnala correlazioni significative con dati strutturali, come età, genere o professione. Alcune indagini demoscopiche hanno segnalato soltanto una maggiore propensione a prestare ascolto agli argomenti anti-vaccino da parte dei cinquantenni e di persone prive di scolarizzazione superiore. Nemmeno è semplice tracciare un nitido profilo politico-culturale: la destra radicale ha cercato di cavalcare l’onda ma sembra aver fornito alle insorgenze no vax più un corredo drammaturgico che un progetto politico. Le pulsioni individualistiche, antistatalistiche, anarco-ribellistiche che sono via via venute emergendo in seno al movimento – se di movimento è lecito parlare – non descrivono perciò un cromatismo ideologico coerente con le classiche linee di frattura del pensiero politico. Non per caso anche in Italia la protesta no vax ha trovato ascolto, o quantomeno suscitato un’attenzione non ostile, in personalità non ascrivibili alla cultura di destra, da Giorgio Agamben a Massimo Cacciari allo scatenato Ugo Mattei. Nemmeno la dimensione religiosa – credenti-non credenti, praticanti-non praticanti, appartenenti a questa o quella confessione – ci fornisce lumi, al di là delle simpatie no vax serpeggianti in quegli ambienti fondamentalistici mai pacificatisi con la modernità. L’era della democrazia virale, come l’ha definita Ilvo Diamanti (2021), sembra insomma sottrarsi alle categorie ideologico-culturali che hanno descritto il Novecento.[1]

[1] Ilvo Diamanti, «L’era della democrazia virale. Colloquio con Marco Damilano», L’Espresso del 28 novembre 2011.

Di poco aiuto è anche la prospettiva storiografica. Le pandemie hanno scandito la vicenda umana da sempre: i virus hanno precorso di millenni la globalizzazione. Certo: si diffondevano più lentamente e in ambiti più circoscritti, ma in assenza di difese sanitarie procuravano un numero terrificante di decessi. Intere comunità umane sono state letteralmente cancellate da epidemie di cui abbiamo ormai perso memoria. Soltanto un secolo fa l’epidemia chiamata (impropriamente) «spagnola» causò fra i venti e i cento milioni di morti, vale a dire fra l’uno e il cinque per cento dell’intera popolazione ospitata all’epoca dal nostro pianeta. Una percentuale nemmeno lontanamente sfiorata dalla tragica contabilità delle guerre, delle persecuzioni e di ogni forma di violenza perpetrata per volontà umana. Nei primi mesi del 2022, a due anni dall’insorgenza pandemica – con cinque milioni di vittime per otto miliardi di abitanti (molto più mobili e perciò più virtualmente contagiosi di un secolo fa) – si stima una percentuale di vittime a scala mondiale pari allo 0.6%. Il dato comparativo rappresenta la rassicurante conferma che, grazie alle conoscenze e ai progressi della medicina, siamo almeno in grado, per la prima volta nella storia, di contrastare con una certa efficacia l’offensiva del virus.  Non mancano tuttavia drammatiche contraddizioni e rischi ancora incombenti: si pensi soltanto alla polveriera virale rappresentata da un Terzo mondo a bassissimo tasso di vaccinazioni. Dove il problema non è giustificare il rifiuto a vaccinarsi ma disporre di vaccini da iniettare con la massima urgenza. Queste constatazioni stridono con la diffidenza verso la scienza che serpeggia in settori non trascurabili di opinione pubblica. Una diffidenza nutrita di argomenti ascrivibili quasi per intero, con gli aggiornamenti dovuti, ai repertori tradizionali della cultura del sospetto ma capaci di produrre ricadute negative sulle strategie di contrasto alla pandemia e una conflittualità noi-loro segnata da una sconcertante aggressività: quasi un’alternativa visione del mondo a tinte paranoiche. Minoritaria ma non irrilevante, essa ha spesso intralciato e rallentato l’azione sanitaria mettendo in circolo quelle tossine sociali capaci di incrinare la relazione civica fra responsabilità e solidarietà indispensabile all’azione di contrasto a una minaccia che si diffonde per contagio aggredendo un bene comune inalienabile come la salute.

Se la tassonomia sociologica della protesta no vax appare sfuggente, pare invece chiaro il suo carattere di «ideologia» nel significato puntuale di falsa coscienza che le attribuiva Karl Marx. Una falsa rappresentazione del mondo che non implica necessariamente la consapevolezza della sua falsità da parte di chi la propugna. Privo di padri e di maestri, concentrato su una sola tematica dettata da un’emergenza planetaria, il movimento può al più assomigliare alla tipologia che la scienza politica anglosassone ha battezzato single issue movement: esperienze biodegradabili di azione collettiva che nascono e si sviluppano in relazione a una tematica specifica, insistentemente perseguita, per sciogliersi a missione compiuta. Il modello può peraltro adattarsi anche a reti più stabili e strutturate, ma sempre concentrate su una singola tematica e quasi sempre orientate a privilegiare l’azione per campagne, come nel caso dei movimenti ecologisti o delle organizzazioni umanitarie. Il movimento no vax, espressione, di un’ideologia priva di dichiarate affiliazioni politico-culturali, non può però neppure essere sbrigativamente confinato nella categoria single issue. Il suo essere ”contro” non è infatti diretto a un obiettivo dichiarato e definito, come impedire la costruzione di una linea ad alta velocità (obiettivo materialmente e temporalmente ravvicinato). La sua sostanza non consiste infatti nel puro rifiuto delle vaccinazioni e/o della loro obbligatorietà identificandosi piuttosto con una contestazione radicale della scienza e di un “discorso pubblico” liquidato a priori come manipolato e manipolatorio. L’ideologia no vax si identifica con una rabbiosa pedagogia del disincanto la cui missione è quella di “aprire gli occhi” a un’umanità equamente divisa fra creduloni, imbecilli, scienziati corrotti e complici di Big Pharma. Una narrazione a tinte paranoiche intrisa di sospetto e risentimento: gli stessi ingredienti che compongono la narrazione dei nuovi populismi. È anzi del tutto legittimo considerare il movimento no vax come una specie del genere populismo.

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Per comprenderne la genesi occorre risalire ai processi politici e socio-economici che hanno scandito la transizione fra XX e XXI secolo nei Paesi di capitalismo maturo. Un processo cha aveva preso forma alla fine degli anni Ottanta quando la caduta del Muro sembrava annunciare niente meno che la «fine della Storia», secondo la profezia di Fukuyama. Formula ambigua che alludeva tuttavia ai concreti effetti sociali dell’azione congiunta della riabilitazione dell’individualismo sul terreno culturale e dell’offensiva liberista in campo economico. Due costrutti – individualismo e liberismo – totalmente estranei alla tradizione dei movimenti di azione collettiva del Novecento ma coerenti con la filosofia dello Stato minimo, del ridimensionamento della sfera pubblica e degli investimenti statali, e con politiche di defiscalizzazione e di contrazione delle prestazioni di welfare. La profezia neo-liberista di una crescita a beneficio di tutti, spontaneamente generata dal mercato, non si è però avverata. A cavallo dei due secoli la crescente divaricazione fra mercato e società ha prodotto, al contrario, un’ulteriore concentrazione della ricchezza, un sensibile impoverimento delle classi medie e processi di precarizzazione e frantumazione del lavoro che la pandemia  avrebbe esasperato. Un’opinione pubblica disorientata e impaurita è tornata a cercare protezione in quello Stato e in quel sistema di welfare bersagli dei falsi profeti del liberismo e dell’individualismo. [2]

[2] Francesco Farina, Lo Stato sociale. Storia, politica, economia, Luiss University Press, Roma 2021.

Il fenomeno no vax ha sicuramente trovato alimento nel brodo di coltura dei nuovi populismi ma presenta tre caratteristiche peculiari. La prima consiste in una singolare rivisitazione dei princìpi dell’habeas corpus, quasi che la vaccinazione anti-covid rappresentasse una forma di indebita e violenta negazione del diritto individuale e primario alla tutela dell’integrità fisica. Una caricatura dei diritti fondamentali che rimuove il simmetrico dovere di non nuocere al prossimo, come se la salute costituisse un bene esclusivamente privato e la malattia contagiosa non rappresentasse un rischio collettivo. Colpisce inoltre l’aggressività rivolta a questo vaccino dimenticando che l’obbligo vaccinale è già stato osservato da noi, o dalle persone che di noi si prendevano cura, in numerose occasioni. Possibile che tutti i sospetti e le paure si concentrino su questo miracolo della scienza che ci ha regalato, in un lasso temporale brevissimo, un’arma poderosa, anche se non definitiva e non sufficiente, a difesa dal virus? Perché enfatizzare (e qualche volta inventare di sana pianta) rischi ed effetti perversi? [3]

[3] La prestigiosa agenzia Reuters ha promosso, a partire dal gennaio 2022, una sistematica azione di controllo e segnalazione delle false informazioni fatte circolare, specialmente sul web, da ambienti no vax. I conspiracy studies, già ampiamente sperimentati negli Usa, mirano a demistificare, in base ad argomenti razionali, le tesi complottiste mostrandone l’insostenibilità. Il metodo non ha però fornito in passato risultati apprezzabili. Come nei casi di delirio paranoico, gli assertori si ritengono infatti depositari di qualche verità deliberatamente occultata che inficerebbe qualunque obiezione di natura logico-scientifica. È tuttavia sintomatico come le finalità dei complotti non vengano mai esplicitate sollecitando piuttosto forme di adesione fideistica estranee alla  logica argomentativa del pensiero complesso.

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L’assurda pretesa che una pratica sanitaria a scala globale sia priva di controindicazioni e la cocciuta refrattarietà ad affidarsi a quella semplice valutazione costi-ricavi che regola da sempre le condotte dell’homo oeconomicus rivela forse un sentimento di delusione e rivolta nei confronti della scienza e dei saperi tout court? In questa chiave di lettura, l’inquietante antiscientismo no vax non rappresenterebbe un anacronistico residuo culturale o un paravento per personalissime paure e idiosincrasie. Costituirebbe, al contrario, la paradossale espressione di una rivolta ispirata a un’effimera postmodernità contro i fondamenti della modernità. La galassia no vax, ideologicamente confusa e politicamente eterogenea, si proporrebbe così come un surrogato dei tradizionali movimenti di azione collettiva in grado di dar forma a una vera e propria controcultura che attingerebbe – lo vedremo in un prossimo articolo – a paure diffuse indotte da quella che gli psicologi sociali hanno battezzato «sindrome dell’incertezza».

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NICOLA R. PORRO

ps: la foto di copertina è di Belkis Ayon.