BREVE MEDITAZIONE SUL PERFETTO EPITAFFIO
di CARLO ALBERO FALZETTI ♦
L’assalto alla CGIL descrive un clima, non solo italico, gravissimo. Non voglio commentare l’episodio, molti lo faranno in abbondanza, Vorrei portare il discorso sul principio più oltraggiato al momento ed esporre quanto ci sia bisogno di esso. Il principio in questione è il principio di Giustizia, intesa nel senso classico che s’aveva un tempo, Dike.
Stava seduto sulla propria valigia. Accanto a lui erano accovacciate a terra la moglie , le due ragazze ed il maschietto adolescente. Portò la mano in tasca e ne trasse l’unica caramella. La scartò, prese un temperino e minuziosamente riuscì a farne cinque parti più o meno identiche. Poi, sotto lo sguardo attonito della famigliola, ne distribuì un pezzo a ciascuno. Pareva a tutti una strana cerimonia che tanto appariva come quella cosa che fanno i cristiani in chiesa. Lui guardò tutti negli occhi con un sorriso amabile e disse che era quello un atto importante della famiglia. Avrebbero compreso più tardi. Tutto sarebbe stato più chiaro, atrocemente più chiaro. Dovevano solo ricordare quell’attimo nelle ore successive, nei giorni a venire. D’improvviso un grido squarciò quel dolce convivio. Urlava di salire in fretta sui carri. Il treno stava per iniziare il suo tragitto.
Occhi, guardate le immagini che il video fa scorrere. Non provate nulla oltre la curiosità e la lacrima dell’istante?
L’Afghanistan con i suoi dannati talebani, Il mare nostrum avido di vite, il sovranismo, i muri, l’avidità del far denaro, le nostalgie dittatoriali, il nero brutto e cattivo, i virus non Covid dell’Africa, la morte per fame dei bambini neri, i genocidi ancora in auge ed ancora, ancora ed ancora.
Ognuna di queste espressioni storiche richiama un solo essere: il Male. Il Male che si serve di molteplici maschere, che assume mille volti ingannevoli. Fermare il Male è il compito, il compito di sempre. L’umanità potrebbe distinguersi, in questo senso, in due grandi categorie: i serventi consci ed inconsci del Male e gli uomini che tentano, pur in affanno, d’essere giusti.
Da ciò la seguente breve meditazione.
Tu credente, dimmi, perché il Dio giusto ed Onnipotente permette tutto ciò?
Tu ateo, dimmi, perché la Natura è solo lotta di sopravvivenza dove la Bestia regna sovrana?
E tu essere distratto ed agnostico, dimmi, davvero non puoi sollevare il capo da terra? Davvero non vuoi vedere oltre? Tu affaccendato, intriso di quotidianità, tu essere immerso fino al collo nella storia davvero non puoi permetterti distrazioni? Davvero ti impedisci di volgere lo sguardo altrove?
Che ne sarà delle nostre brevi vite seppur passate con noiosa tranquillità, delle brevi vite ferite da pene naturali non solo dovute alla Bestia, delle brevi vite tutte intrise di impegno comunitario, delle brevi vite sazie di borghese normalità?
C’è chi dice che questo non sia il mondo vero.
C’è chi dice che questo è l’unico modo di essere.
Dicono che qualcosa ci attende oltre la vita e che ci nutrirà di senso dopo questo esistere da stranieri in terra straniera.
Dicono che siamo solo un corrugamento ondoso del grande mare, corrugamento che per un attimo si forma e poi ritorna dove era, per dar luogo ad altre incessanti frastagliate onde, in un susseguirsi infinito senza tempo (ogni Bìos nasce distaccandosi dalla Zoè ma nascendo ha già dentro morte che lo riprende per reinserirlo nella Zoè originaria. Così dice la Sapienza Antica).
Ascolta!
Mentre ti affatichi in pensieri che mai potranno essere compiuti, mentre non pensi perché troppo stanco, perchè troppo preso, perché troppo felice, perché troppo disincantato.
Ascolta:
forse l’unica cosa degna dell’esserci è lottare contro il Male. Non importa se la Bestia sia permessa da Dio, non importa che sia insita nella Natura, non importa che è perchè è.
Lotta contro,
lotta sempre,
lotta perché il Male,
lotta perché in ogni luogo,
lotta perché in ogni tempo.
Dunque, vuoi pensare al tuo epitaffio avido lettore? Come vorresti esser ricordato, un giorno, d’un anno, dal distratto passante lungo il vialetto dei bianchi marmi senza cipressi?
Leggi , se ciò non ti spiaccia,
Io non conobbi nulla,
io non fui nulla,
io fui solo un uomo che tentò d’ essere un uomo giusto.
CARLO ALBERTO FALZETTI
Come sempre, al di là delle nostre più o meno misere vite trascorse con modeste riflessioni, hai centrato il problema di fondo. Che ne rimane della nostra vita? Quale il senso? Tocca a noi trovarlo e decidere da che parte stare; ma spesso ci si ritrova da una parte o dall’altra senza avere fatto una scelta consapevole, solo per naturale inclinazione dell’animo
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“Misterio grande”nella struggente definizione di Leopardi, il nostro essere (esser-ci?) su questa terra, il senso dell’umana esistenza entro il grande sistema della Natura, la difficoltà a trovarlo fuori da una prospettiva finalistica. Ma sempre dal quel particolare osservatorio che era la sua odiosamata Recanati, la voce di Giacomo arriva alle nostre orecchie con una risposta ineccepibile: la vita è il “sentimento dell’esistenza” , sentimento di necessità doloroso se esclude facili risposte metafisiche. Le vere uniche “terapie” consistono nel sapere e nell’amore, nel confortarci reciprocamente, nell’accettare e onestamente affermare la verità e con essa i valori dell’umana convivenza. Primi fra tutti la Giustizia e la compassione in un ideale società pacifica e davvero civile. Mi pare che, credenti o no, il suo messaggio travalichi il suo tempo per indicarci cosa deve essere il progresso autentico dell’umana specie. Ideologie, conoscenza affidata ai fascicoli e alle gazzette erano da lui avvertiti come fenomeni preoccupanti di una cultura di “massa” (incredibile l’uso di questo termine nella diagnosi leopardiano) già rinunciataria rispetto allo studio profondo e meditato. La tua riflessione, caro Carlo, si colloca perfettamente tra le “domande” leopardiano. Cui prodest??
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Caro Carlo
Il tuo intervento stimola riflessioni sulla grande questione della teodicea. Io vi ho letto una soluzione kantiana: un imperativo categorico come risposta al fallimento di qualsiasi speculazione filosofica sulla teodicea.
“Agisci soltanto secondo quella massima che al tempo stesso puoi volere che diventi una legge universale”.
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scusa l’anonimato, sono Enrico.
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Eppure, Carlo, dove c’è vita c’è dolore e male. Già 2660 anni fa lo aveva intuito Anassimandro: la giustizia consiste nel ripristino di un ordine violato. Il tempo si erge a spietato giudice. Commentando il famoso frammento, Nietzsche nota “Come può perire qualcosa che ha diritto d’essere? Da cosa nasce quell’incessante divenire e generare, quell’espressione di spasimo sul volto della natura, quel funereo, interminabile lamento in tutti i regni dell’esistenza?”
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