Redde rationem
di MARCELLO LUBERTI ♦
Che c’entrava il comunismo ? È la domanda che mi assilla da alcuni anni. Non è arrivata dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989. No, ci è voluto molto più tempo. La chiarezza è giunta silenziosamente, dopo tanti anni di accumulo, e solo ora ha scaricato il suo peso, come un’illuminazione.
La mia è una domanda angosciante, una verità afferrata tardivamente, uno sberleffo alla mia gioventù, una questione del tutto personale.
I collegamenti con la Storia e la cronaca sono tanti, ma parlo per me che avevo diciotto anni nel ’75. Cosa avevo capito del comunismo, come ne avevo fatto la bussola delle mie aspettative, dei miei valori? Mi ero chiesto veramente cosa è, cosa poteva essere, cosa sarebbe il comunismo?
Allora, non ci avevo tanto riflettuto. Ero giovane, con le mani nei capelli, la faccia pensierosa, letture di libri, giornali, riviste, pane e politica tutti i giorni. Ogni critica del comunismo era figlia del pregiudizio, veniva dagli anticomunisti, dai genitori, dagli adulti, dai benpensanti. Via! Ogni briciolo di dubbio, anche quello presentato con ragionevolezza, non contava.
Per muovere le persone, i ragionamenti spesso non contano, o arrivano ben dopo le passioni.
Sento già la prima osservazione. Se hai creduto al sol dell’avvenire, all’assalto al cielo, alla rivoluzione, il rinsavimento dal comunismo è stato decisamente tardivo. No, non è il mio caso, non ho creduto a tutto ciò, nemmeno nei momenti di infatuazione e convinzione. Si sta parlando di uno che ha preso la tessera della Federazione Giovanile Comunista nel 1975 e quella del PCI l’anno successivo, non dell’ultimo extraparlamentare o gruppettaro, come venivano chiamati allora gli estremisti.
Il mio è un caso paradigmatico? La mia storia serve a mettere in luce una storia più grande? Quanti hanno maturato lo stesso disincanto? Quanti provano il senso di un malinteso che ha influenzato la propria vita e che ora restituisce il sapore di una fregatura? Maneggiando tabelle Istat e dati elettorali, si può stimare che i giovani entrati nel 1975 nella bolla comunista, che ancora si dannano a votare PD, sono a oggi più o meno un milione e quattrocentomila persone.
Eppure, il trattamento farmacologico per la malattia comunismo è cominciato abbastanza presto, e solo dopo quarant’anni si vedono i segni della guarigione. Già nel periodo 1977-78, cominciavo a prendere le prime medicine. In quegli anni il passaggio del PCI alla guida del Paese, che sembrava veramente imminente, incontrò subito due confuse ma vigorose battute d’arresto: le gesta criminali delle varie formazioni della lotta armata e l’anticomunismo creativo del movimento del ’77. Tutti e due, in modo diverso, espressione dei difetti storicamente connaturati alla Sinistra: settarismi ed estremismi.
Da allora ci fu una costante terapia a scalare, che comprendeva il craxismo, Solidarnosc in Polonia, il papato di Woytila, l’isolamento e la morte di Enrico Berlinguer, Chernobyl, la crisi dei paesi socialisti, la caduta del Muro nel 1989. Dieci anni di batoste all’idea di comunismo. Niente si smuoveva ancora nel cuore. Qualcosa arrivava alla coscienza, il dubbio si affacciava per dire che “le realizzazioni dell’idea sono state finora negative”.
E poi le evidenze colossali che il comunismo non interessava più a nessuno. Arrivarono Tangentopoli, la scoperta di una destra ben radicata nel paese, il ritorno dei neofascisti, Berlusconi, i tentativi dei governi di Romano Prodi, sabotati dalle divisioni e dall’inconcludenza della Sinistra. Poi il madornale equivoco del giustizialismo come sostitutivo della politica, l’incapacità degli ex-comunisti di adottare un coerente programma socialdemocratico, fino ad arrivare alla crisi di più o meno di tutti i partiti socialdemocratici in Europa e nel mondo, senza che l’erede del vecchio PCI avesse fatto quella riconversione. Niente, l’interrogativo sul comunismo rimaneva ancora sottotraccia.
Quindi la caduta di Berlusconi, uno che non è riuscito nemmeno a fare il tiranno, salutata come una liberazione, e poi dosi massicce di antipolitica, qualche tentativo di cambiamento da parte della Sinistra, subito boicottato da più parti, Corte Costituzionale compresa.
Ora la palude, il comunismo scompare, la stessa democrazia si perde, i paesi europei ex-comunisti sul punto di divenire regimi illiberali, e solo ora arriva il colpo di frusta, più di quarant’anni dopo quel giugno 1975. Che effetti strani ha procurato il comunismo! Ci sono voluti tanti farmaci a rilascio prolungato per stroncare l’utopia, difficile da debellare una volta per tutte.
Ecco il punto. Non venni rapito proprio dall’utopia, semmai dalla critica al capitalismo, alla società, alle credenze comuni, alle mediocrità e alle debolezze del genere umano, all’ignoranza.
Allora perché questo risveglio in ritardo ? Sono una persona che stenta a prendere atto della realtà ? Non credo. Nella vita sono stato capace di adeguarmi, forse fin troppo, a quello che la realtà comunicava in modo chiaro. Ci dev’essere dell’altro, un fraintendimento sin dall’inizio.
Devo fare uno sforzo per andare indietro, a quarantacinque anni fa, e cercare di tornare allo spirito di allora, per ricostruire la mia evoluzione da qualunquista apolitico a ingenuo tedoforo della fiaccola del comunismo.
Le spiegazioni si trovano. I motori furono tre: Enrico Berlinguer, il professore di filosofia al liceo e la Scuola di Francoforte. Anche se furono tutti e tre simultaneamente all’opera, Berlinguer fu il simbolo di una stagione che tuttora tiene insieme un milione e quattrocentomila italiani.
Berlinguer fu una figura carismatica, su di lui è stato scritto molto. Posso solo cercare di ricordare ciò che accadde. La sua presa sui giovani sembra oggi inspiegabile, attenendosi ai semplici fatti. Era un leader politico che non parlava della rivoluzione dietro l’angolo, ma doveva la sua fortuna a una formula politica moderata, il compromesso storico. Per i giovani contava però l’aspetto morale e ideale: Berlinguer auspicava una rinascita dell’Italia sulla base di nuovi valori, meglio, della riscoperta di buoni valori. Una miscela di rassicurazione dei ceti medi ed esaltazione dei giovani. Gli ho creduto.
Nella vita, l’incontro con le persone è tutto.
Solo ora mi rendo conto che seguire Berlinguer nel 1975 non implicava alcun ragionamento concreto sul comunismo, sulla sua realizzazione. Ugualmente, il giudizio dei comunisti italiani sull’Unione Sovietica era ambiguo e sfumato; si ammettevano gli errori che portarono alle repressioni cruente nel ’56 in Ungheria e nel ’68 in Cecoslovacchia. Berlinguer sosteneva anche che l’Italia non doveva necessariamente uscire dalla Nato. Tutti messaggi tranquillizzanti, col sapore della novità: il comunismo italiano sarebbe stato un esperimento del tutto nuovo, i giovani non avrebbero dovuto rinunciare a nessuna delle loro libertà. C’era doppiezza, c’erano ambiguità, ma chi se ne accorgeva ? Chi poteva mettere in discussione un leader che proponeva all’Italietta perbenista e clientelare una vera rivoluzione dei valori, un cambio di rotta totale?
Brucia ora dover riconoscere che l’affermazione del giustizialismo di fronte al fenomeno Berlusconi ha qualcosa a che fare con l’enfasi posta da Berlinguer sulla questione morale.
Il dopo Berlinguer iniziò già prima della sua morte. La sua proposta politica non aveva avuto sbocco, sulla sua strada aveva trovato, tra i tanti ostacoli, anche i brigatisti che nel 1979 consegnarono il cadavere di Aldo Moro in via Caetani. Berlinguer affaticato e morente sul palco del comizio di Padova del 1984 incarnava simbolicamente la sconfitta dell’essere umano, la sconfitta dei suoi valori. La ricaduta per i giovani che lo avevano seguito fu tremenda. Uscii dal corteo del suo funerale all’altezza del Colosseo, non reggevo le lacrime. Fu la chiusura di una stagione dell’ottimismo per quelle persone che nella parola “comunista” avevano trovato, più che altro, una rivendicazione di diversità rispetto alla maggioranza degli italiani, un desiderio di riscatto.
Vidi in Berlinguer il ricongiungimento agli ideali della Resistenza, vissuta a sinistra come una rivoluzione tradita. La mia vera bussola, da allora, è stata solamente la Costituzione del 1948, rispettata nella forma e disattesa nella sostanza. Essere per la Costituzione in un paese moderato e ignorante come l’Italia significava, tuttora significa, essere dei rivoluzionari.
È stato quindi un basilare fraintendimento? Mi ero accodato al richiamo di un’utopia ma desideravo solo il temperamento delle più gravi ingiustizie e storture. È stato come inquadrare le Maldive per limitarsi a una sdraio a Castelporziano ?
Una breccia decisiva nell’ideologia fumosa della mia gioventù si aprì con lo studio dell’economia politica intorno ai vent’anni. Fu una vera mazzata. Fu forse l’insoddisfazione per le chiacchiere della politica a portarmi verso l’economia politica ? È stato questo il modo di esprimere i dubbi sul comunismo? Non so.
Anche qui prevengo le obiezioni di senso comune: “Certo, la scienza del capitalismo, come può conciliarsi col comunismo?”. E poi, la definizione dell’economia scienza triste; non sto qui a confutarla. E c’erano tanti pregiudizi, a sinistra, non solo sulle imprese, il profitto e il mercato, ma anche sulla scienza economica in quanto tale.
L’economia fu un bagno di realtà, e riportare il comunismo con i piedi per terra era quello che serviva. Lo studio della storia dal punto di vista economico conferma che il capitalismo è una costruzione sociale, non un ordine naturale. Ancor di più, gli esperimenti di collettivizzazione dimostrano che pure il comunismo non è un ordine naturale delle cose, anzi, che senza l’incentivo personale non c’è sviluppo della sfera economica né tanto meno progresso. Quindi il legame con le libertà individuali. Il principio della pianificazione presenta problemi di concreta applicazione, allontanarsi dai segnali forniti dai prezzi genera un’allocazione inefficiente delle risorse.
Il capitalismo ha i suoi difetti, il comunismo ne ha almeno altrettanti ma diversi. Si potrebbe parafrasare la nota frase di Churchill sulla democrazia per adattarla al capitalismo. E poi ci sono stati storicamente e ci sono tutt’oggi diversi tipi di capitalismo. Il più meritevole è sicuramente quello derivante dal cosiddetto compromesso socialdemocratico. Quello italiano un modello straccione ed assistenziale, in un paese privo di etica collettiva.
I comunisti italiani ambivano a correggere i difetti storici, antropologici del nostro popolo. Andavano contro la corrente principale e hanno perso clamorosamente. Ambivano a raddrizzare il legno storto dell’Italia. La maggioranza degli italiani non gli ha dato retta. La Sinistra non ha mai superato un terzo dei voti, è stata ben poche volte al governo, grazie a fragili alleanze e a un sistema elettorale di tipo maggioritario. Quelle poche volte che ha vinto è riuscita a rovinare tutto facendosi male da sola.
Col senno del poi, in una prospettiva storica, l’avanzata del PCI negli anni Settanta può essere considerata un conato di modernizzazione seguìto alla rivoluzione dei costumi, in un paese che dopo la guerra, la ricostruzione, il boom, sarebbe potuto diventare un paese moderno.
Se analizzo con sincerità qual è stata la mia vita dopo il 1975 in rapporto alla politica, ma non solo, arrivo alla conclusione che quello del comunismo è stato un grande equivoco. Ho fatto tante esperienze, umane, di formazione, lavorative, politiche. In esse, dell’aggancio al comunismo si trovano ben poche tracce. Eppure, la domanda, inesorabile, è scoccata solo quarant’anni dopo.
Non ho mai partecipato a un’occupazione, era il rito iniziatico degli anni Settanta, anzi le ho scoraggiate quando qualcuno le proponeva. Ho partecipato a tante manifestazioni pacifiche. Ho creduto nelle forme della democrazia, ho pensato che il consenso per cambiare la società si conquisti solo con le elezioni. Ho creduto ai diritti, ma non quando rischiavano di divenire prevaricazioni di quelli degli altri. In sintesi, il rispetto delle leggi e delle istituzioni è per me fondamentale in un paese dall’illegalità diffusa. Sono stato contrario ad ogni forma di estremismo e di sopraffazione.
Non mi vergogno, ho creduto nella meritocrazia, l’unico antidoto ai soprusi delle scelte clientelari e delle conoscenze, una condizione per migliorare non solo la politica ma anche i diversi mondi, dal lavoro alle professioni alle arti. In senso stretto, il privilegio del merito non è del tutto coerente con la storica affermazione di Karl Marx, “Ognuno secondo le sue capacità a ognuno secondo i suoi bisogni”. Certo, Marx si riferiva all’ultima fase della società comunista, ma ho sempre visto, nella realizzazione “tutto e subito” di quello slogan, un modo per appiattire pregi e difetti del genere umano e costruire una società di mediocri.
Quindi, non ho mai creduto ai concetti basilari del comunismo? E come avrei ragionato se, addirittura, avessi toccato con mano ciò che era stato il comunismo, ad esempio in Unione Sovietica o in Cina?
A ben vedere, le varie forme sperimentate di comunismo hanno fatto prevalere, con la giustificazione della costruzione di una società migliore, di un uomo nuovo, le peggiori caratteristiche del genere umano. Esse si sono quasi sempre concretizzate nell’annientamento di coloro che la pensavano diversamente, nella soppressione delle libertà irrinunciabili, nella corruzione diffusa, nella violenza politica. Adesso, è anche riduttivo dire che, partendo da buone intenzioni, si è giunti a partorire un incubo.
Forse sono stati quarant’anni di una clamorosa rimozione, per non guardare in faccia la realtà, per non toccare il fallimento. Prendere atto che l’utopia più potente della storia umana, il comunismo, la fratellanza universale e l’uguaglianza tra gli uomini, non è realizzabile, era troppo duro, avrebbe rivelato l’insensatezza dell’esistenza, persa appresso alla corruttibilità dell’uomo, all’accettazione dei suoi difetti e vizi.
Diventava pesante arrendersi al fatto che le realizzazioni, diciamo distorte, dell’idea, sono proprio connaturate all’idea stessa, sono inevitabili. Era ancora più duro rendermi conto che non ero approdato nemmeno a Castelporziano, visto come si è ridotta l’Italia.
L’aggancio col comunismo è stato il pretesto, il blocco di partenza, nel bene e nel male, della mia vita adulta. Ecco perché non riuscivo a chiudere definitivamente i conti.
Dopo tanti anni, tocca anche ringraziare, e voltare pagina, riconoscere che le dune di Castelporziano sono veramente molto belle.
MARCELLO LUBERTI
L’amarezza della confessione è molta. Ma gli accadimenti della vita, se il giudizio è scevro da falsi ed ipocriti atteggiamenti,evidenziano sempre lo scacco. Solo agli ebeti è consentito d’essere felici.
Il capitalismo dominante è oggi dominato dall’impianto tecnico. E’ il destino del tempo. Accettare questo “evento” non significa, però, essere passivi.Spero di riprendere con calma e meditazione questo argomento con te.
Grazie per quanto hai espresso con il cuore e la ragione.
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