SULLA PRESCRIZIONE: OPINIONI A CONFRONTO – I
di FABRIZIO LUNGARINI ♦
Riportiamo una sintesi dell’intervento dell’Avv. Fabrizio Lungarini svolto nel corso dell’iniziativa promossa dal gruppo consiliare del PD sul tema della prescrizione.
Con il chiaro intento di alzare l’asticella rispetto alla qualità degli interventi in ambito politico, l’Unione delle Camere penali ha catturato l’attenzione degli addetti ai lavori prima e di una buona parte della cittadinanza poi, intorno alla imminente e oramai ineluttabile entrata in vigore della ennesima riforma del codice penale che si prefigge l’obiettivo dichiarato di assicurare giustizia rispetto alla commissione di qualsivoglia reato, spazzando via la possibilità che anche l’ultima delle contravvenzioni possa rimanere impunita dopo la emissione della sentenza di primo grado.
Il mezzo prescelto dall’Unione è stato quello di convocare in adunanza permanente un numero impressionante di avvocati specializzati in diritto penale, concedendo a ciascuno di essi 5 minuti per esprimere il loro motivato dissenso rispetto a quella che viene percepita, a ragione, come una riforma contraria agli interessi dello Stato e dei consociati e, soltanto in un ultima analisi come una ingiustificata cessione di sovranità e rinuncia a diritti che furono concessi, per buona memoria di tutti, durante il ventennio fascista.
La maratona oratoria ha rappresentato però una fulgida testimonianza di cultura giuridica, rimasta del tutto inascoltata da parte del titolare del dicastero della giustizia, il quale, lungi dal confrontarsi sul piano intellettuale e tecnico-giuridico, continua a difendere un approccio esclusivamente propagandistico rispetto a questioni che necessariamente finiranno iscritte a ruolo dinanzi alle Supreme Corti nazionali e Sovranazionali.
Eppure, a sostenere l’attuale maggioranza di governo, vi è anche il Partito Democratico il quale, nel vicino agosto 2017 aveva già varato una riforma sullo stesso argomento che aveva il pregio di aver ragionato sui numeri dei reati prescritti, piuttosto che ad un effimero aumento dei consensi elettorali.
L’allora ministro Orlando era dunque partito dal dato oggettivo costituito dalle statistiche dello stesso Ministero della Giustizia relative all’anno 2017 che mettevano in luce il fatto che a fronte di una sentenza di condanna di primo grado ed a seguito dell’impugnazione in appello, 1 processo su 4 cadeva in prescrizione.
Del tutto irrilevante e privo di allarme era e rimane il dato della prescrizione in sede di legittimità, dove si assiste alla prescrizione soltanto per una percentuale pari all’1% dei reati.
La statistica andava poi contemperata con il fatto che i dati tenevano conto anche delle prescrizioni dei c.d. reati satellite all’interno di processi ove le imputazioni erano più gravi, con il risultato che sia in appello che soprattutto in cassazione, il dato reale deve considerarsi certamente approssimato per eccesso, rispetto al pericolo che reati gravi rimangano del tutto impuniti.
L’intervento legislativo del 2017 ha quindi deciso di prevedere un periodo di sospensione della prescrizione tra la sentenza di primo grado e quella di appello pari a 18 mesi ed altrettanto ha fatto tra la sentenza di secondo grado e quella di Cassazione.
Quella riforma aveva poi il pregio di escludere dalla sospensione della prescrizione le sentenze di primo grado di assoluzione, assicurando così un percorso meno gravoso a chi, già davanti al Giudice di prime cure, era riuscito a dimostrare la propria innocenza.
Una riforma del genere, necessitava però di un periodo di tempo di almeno 5/6 anni per spiegare i propri effetti che, ragionevolmente, sarebbero stati sufficienti ad abbattere definitivamente il pericolo di prescrizione in appello.
In questo contesto si inserisce l’attuale riforma Bonafede che, senza preoccuparsi di aggiornare le statistiche o attendere i risultati delle riforme già approvate, ha ritenuto di forzare il sistema penale sostanziale, utilizzando del tutto impropriamente lo strumento della sospensione della prescrizione per abolirla di fatto a partire dalla emissione della sentenza di primo grado.
E si badi bene che l’abolizione riguarda ogni tipo di pronuncia, anche quelle di assoluzione, ribaltando il principio stabilito dalla precedente riforma che appariva più vicino alle ragioni di giustizia sostanziale.
Per chiudere il cerchio intorno allo stato dell’arte della prescrizione, non si possono trascurare i recenti interventi legislativi tesi a raddoppiare i termini di prescrizione per i reati più odiosi, insidiosi e di allarme sociale e, non ultimo viste le ultime uscite pubbliche del ministro Bonafede, il raddoppio dei termini di prescrizione per i reati colposi di danno.
Su quest’ultimo punto l’Unione delle Camere penali ha predisposto uno specchietto che riepiloga il tempo necessario a prescrivere i principali reati, che spazza via ogni dubbio intorno alla necessità di abolire un intero istituto pensato e previsto come presidio di garanzia principalmente per la ragionevole durata del processo i cui fondamenti sono ormai ben percepiti dall’intera popolazione.
Posto quanto sopra e senza alcuna necessità di scendere sul piano polemico rispetto alle scelte politiche di parte, tralasciando tutte le false argomentazioni che hanno accompagnato il percorso di questa riforma, è possibile a parere di chi scrive, arrivare ad una sintesi ragionata che possa contemperare le ragioni di uno Stato di diritto con quelle che provengono da un approccio più finalistico rispetto all’esigenza di assicurare giustizia certa per i colpevoli.
****
In attesa di ragionare finalmente su una riforma organica del processo, le forze di governo potrebbero infatti recepire in pieno le statistiche del Ministero della Giustizia ed allungare il periodo di sospensione tra il primo e il secondo grado portandolo da 18 a 24/30 mesi, tornando ad escludere le sentenze di assoluzione, in modo da scongiurare completamente le disfunzioni attuali del sistema, mettendo subito dopo mano ad un progetto serio di riforma del codice di procedura penale che possa da solo restituire al sacrosanto istituto della prescrizione la sua naturale funzione di garanzia estrema contro possibili abusi di giustizia.
****
Da anni ormai, chi scrive, si interroga sull’urgenza di inserire nel sistema delle notifiche, una norma che preveda l’attribuzione di un indirizzo di posta elettronica certificata all’atto della elezione di domicilio, dell’avviso di garanzia ovvero nel primo atto utile da notificare all’indagato, presso il quale poi notificare e mettere a disposizione dell’indagato/imputato, tutti i successivi atti processuali.
Stesso provvedimento si dovrebbe poi estendere ai sommari informatori che poi diventeranno testimoni nel processo di merito.
Il provvedimento dovrebbe naturalmente coinvolgere l’agenda digitale per accelerare il processo di azzeramento del digital dividing e il diritto di accesso alla rete a tutti i cittadini, ma allo stato attuale, si può già prevedere che i casi in cui si possa dimostrare la propria “esclusione” dall’accesso alla rete, siano davvero marginali.
La pratica di tutti i giorni infatti, restituisce uno scenario in cui la stragrande maggioranza dei rinvii, è causata da problemi di notifica degli atti alle parti, ovvero ai testimoni per la loro mancata o difettosa citazione in udienza.
Sono questi i casi principali in cui il processo non sospende i termini di prescrizione e nei quali un rinvio di 6/8 mesi può rappresentare un danno irreparabile nella ricerca della verità, al diritto di difesa e, non ultima, rappresentano una voce di spesa ingente in termini di impiego di uomini e risorse per portare a buon fine una semplice notifica.
In questo modo, nel giro di pochi anni, si completerebbe una road map che porterebbe all’immediato contatto certo e certificato, tra Giustizia e cittadino con i prevedibili effetti benefici sulla ragionevole durata del processo e sulle spese di giustizia.
Altrettanto opportuni e urgenti sarebbero poi gli interventi tesi alla definizione anticipata dei processi attraverso un rapporto negoziale tra accusa e difesa, sullo stile anglosassone, e l’incentivazione dei riti alternativi, attraverso i quali ridurre all’essenziale il numero di processi che devono necessariamente seguire il normale iter dibattimentale.
In buona sostanza, abbandonando le rispettive posizioni preconcette, si può auspicare che il PD, promotore di questa iniziativa, possa confrontarsi seriamente con l’attuale pericolo di far entrare in vigore una norma sicuramente sbagliata nel metodo e nel merito, attraverso una controproposta fondata sui numeri e che preservi i principi irrinunciabili di uno stato di diritto.
FABRIZIO LUNGARINI