SPEZZEREMO LE RENI A…. MALTA. SPEZZEREMO LE RENI ALL’EUROPA
di DARIO BERTOLO ♦
A me Salvini inquieta.
Beninteso, né più né meno di tanti altri leader politici in circolazione. Però in certi atteggiamenti, e soprattutto nel modo di fare proclami come quelli a cui ormai quotidianamente assistiamo mi ricorda (e riporta) ad eventi e scenari che molti di noi credevamo ormai quietanzati dalla storia.
Che il quadro politico nazionale si sia spostato a destra è un dato innegabile. Come lo è il verificarsi di tale situazione in gran parte dell’Europa e non solo. I motivi sono molteplici e per la maggior parte di natura sociale, mutuati da una crisi mondiale finanziaria spaventosa e da una irreversibile caduta morale di buona parte delle popolazioni occidentali, figli di una avversa mutazione culturale nei riguardi della solidarietà collettiva e nei parametri minimi di condivisione dei valori fondamentali propri della democrazia. L’assottigliarsi di questi confini ha generato, in un periodo assai breve se paragonato alle lunghe gestazioni di fenomeni simili nel secolo scorso, una sorta di reminiscenza rievocativa e nostalgica di slogan populisti e settari, tali da consentire una affermazione elettorale, senz’altro maggioritaria, diretta conseguenza delle suddette dinamiche. In questo contesto senza dubbio il leader della Lega (ex Nord, depurata ad arte sia della vecchia nomenclatura sia della componente secessionista) racchiude e incarna l’anima della ideologia razzista e nazionalista che sta pervadendo l’Europa.
Indubbiamente ha avuto il merito (o demerito, dipende dal punto di vista) di aver intuito prima degli altri, cavalcandolo abilmente, il sentimento di rancore e di avversione verso i flussi migratori e in generale verso l’intolleranza multi etnica.
Scaltro fomentatore (confortato dai social ,veri e propri termometri dei gradimenti) di campagne discriminatorie ed ideologiche tese ad attribuire ed enfatizzare le responsabilità di azioni illegittime e criminali compiute da semplici delinquenti ,seppur extracomunitari , altrimenti passate sotto silenzio e perlopiù sottaciute, pur non aiutato dal suo scarso curriculum universitario, si è dimostrato nondimeno abile ad ingabbiare ed instradare gli altri partner politici , anch’essi curiosamente con lo stesso vulnus, verso un percorso governativo che ancora oggi personalmente ritengo volutamente debole perché frutto di una strategia destabilizzante mirata a prospettive politiche egemoniche di medio termine.
Proprio in questo contesto vanno inquadrati i primi 10 giorni del Salvini Ministro degli Interni nella fantomatica “Terza Repubblica”. Che poi non dovrebbero sorprendere chi, negli anni passati, ha assistito alla galoppante presa di potere del Matteo alternativo su un soggetto politico che, va ricordato, è presente nell’agone politico nazionale, nel bene e nel male, ormai da 30 anni.
Una conquista che, di volta in volta, è costata ai vari Bossi, Speroni, Maroni, Castelli e ad altri gerarchi minori la dissolvenza politica e l’inconsistenza decisionale in un partito che ha assunto nel tempo, deliberatamente e a secondo dei venti elettorali, connotazioni patriottiche e nazionalistiche o ammiccamenti movimentisti.
Dieci giorni nei quali l’indole di un modesto Don Chisciotte e un moderno Don Abbondio si è continuamente divisa, alternando i proclami ciclostilati propri dei comizi di piazza (che sta continuando a fare, con buona pace delle Istituzioni che rappresenta) e le frenate di facciata per non imbarazzare, perlomeno non troppo e non ancora, i suoi compagni di avventura.
Come non concordare che , proprio su queste basi, il suo atteggiamento verso la prima vera emergenza umanitaria del suo Ministero, è stato quello di mostrare i muscoli verso la tanto vituperata e cattivissima Unione Europea (la stessa per inciso che per 4 anni gli ha garantito stipendio come parlamentare europeo, senza per altro essere ricambiata almeno come presenze in aula) rea, secondo la sua logica, di imporre l’accoglienza coatta di intere famiglie di rifugiati, i quali per larga parte emigreranno verso quei paesi del Nord che li considerano ancora risorsa produttiva e non peso sociale.
Autore instancabile di una retorica pauperista verso il precedente governo, responsabile di aver salvato decine di migliaia di migranti anziché non averli sterminati in mare, colpevole di supportare e mantenere vive le politiche di accoglienza attraverso gli accordi bilaterali con i paesi di partenza, cosa che (non dice) ha permesso una riduzione di circa l’80% degli sbarchi rispetto al 2017.
E’ indubbio che l’Unione Europea ha delle responsabilità oggettive importanti sulla questione migranti. D’altronde va ricordato che il concetto di comunità unica è ancora in divenire e che le spinte nazionaliste sono ancora importanti, soprattutto nei paesi dell’ex cortina di ferro e in quelli a forte connotazione islamica, i cui leader hanno la necessità di rivendicare una autonomia decisionale marcata nel timore di perdere potere e consensi conquistati a volte con metodi poco democratici.
Ma se qualcuno pensa, condividendola, che questa sia la strada giusta per farsi rispettare in Europa, sopravvenendo alle logiche di solidarietà e di accoglienza che un paese cattolico come il nostro ha sempre posseduto e fatto proprie con le migliaia di nostri connazionali emigrati nei secoli scorsi in cerca di una vita migliore, allora significa che siamo destinati a vivere un periodo difficoltoso e pieno di pericoli, al cui orizzonte si intravedono il reiterarsi di immagini ormai sbiadite e di folle inneggianti.
Non è retorica pretestuosa affermare che se i tempi cambiano, il simbolismo ideologico di influenza delle masse rimane quello. Un tweet invece di un balcone romano, una faccia rassicurante piuttosto che una mascella volitiva, migliaia di like al posto di raduni di piazza. Sciaguratamente, anche gli slogan rimangono, in sostanza gli stessi:
SPEZZEREMO LE RENI A …..MALTA.
SPEZZEREMO LE RENI ALL’EUROPA.
DARIO BERTOLO
Che tutto si stia ammantando di nero penso sia innegabile, tutto giusto, tutto corretto, ma manca sempre e costantemente l’assunzione di responsabilità lasciata ad un indstinto ed indistinguibile fato che libera tutti governi ed altri attori da ogni responsabilità, tutti colpevoli nessun colpevole. Penso che gli eventi della storia non siano autogenerati, ma derivino da scelte e politiche che li hanno preceduti ed in qualche modo generati. E se questi non si riconoscono neppure si può pensare di comprenderne le conseguenze..
Ti cito:
“..mutuati da una crisi mondiale finanziaria spaventosa e da una irreversibile caduta morale di buona parte delle popolazioni occidentali, figli di una avversa mutazione culturale nei riguardi della solidarietà collettiva e nei parametri minimi di condivisione dei valori fondamentali propri della democrazia”
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Non poteva mancare il commento di Luciano che se la prende con la politica… 🙂
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Beh.. questa volta sulla politica mondiale.. 🙂
Dario da la responsabilità dell’onda nazionalfascispopulista che investe l’occidente ad una generica “crisi economica” ed una ancor più generica “irreversibile caduta morale”. Credo che discutere di questi fenomeni prendendo per origine qualcosa di così “vago” non sia il modo corretto di affrontare il problema. I mutamenti storici seguono sempre una sorta di filo che qualcuno “fila”, nel senso che ci sono scelte che pesano sul futuro della gente. Ricordo ancora molto bene la crisi di Cuba, cosa sarebbe oggi del mondo se qualcuno avesse scelto diversamente?
I grandi del mondo hanno in mano il destino di milioni di persone, pensare che tutto accada per una sorta di inevitabile fato è, a mio avviso, particolarmente errato e pare rispondere ad una sorta di tentativo inconscio di liberarsi di responsabilità personale. E’ colpa di tutti, è colpa di nessuno.
Roberto, le mie non sono battute ma argomentazioni, direi affatto banali.
Sarebbe ad esempio molto interessante parlare del ruolo del WTO negli equilibri mondiali, nelle scelte politiche dei paesi, spece quelli in via di sviluppo, o se vogliamo stare nell’attualità del ruolo che hanno avuto le scelte francesi in Libia. Il destino non ci capita fra capo e collo, ma ci viene cucito addosso, spesso e volentieri.
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Caro Luciano, proprio tu dovresti sapere bene che attribuire caratteristiche di genericità a frasi come “ crisi economica” e “irreversibile caduta morale” denota un approccio critico fin troppo qualunquista soprattutto se i suindicati termini sono la parte introduttiva e contestuale di un articolo il cui argomento verte su considerazioni assai diverse. Se poi rimarchi il concetto sottolineando ed attribuendo ad essi una fantomatica “vacuità” confermi come l’estrapolazione pretestuosa di determinate frasi sia esclusivamente dettato da una contrapposizione dialettica a prescindere. Il senso dell’articolo aveva come oggetto principale una critica al personaggio politico, alle sue provocatorie demagogie e alle assonanze con la storia, il tutto facendo riferimento a un dato di fatto attuale conclamato ed assodato da tutti. Che , appunto, in un contesto generale, indirizza alle considerazioni e alle mie valutazioni su un determinato approccio politico di un determinato personaggio politico in una determinata crisi istituzionale ed umanitaria. Cosa che voglio credere non sia sfuggita ad un lettore attento come te. Se poi vorrai approfondire le “argomentazioni” riportandole in una dimensione che affronti le “cause” alla radice dei problemi che sono la causa dell’imbarbarimento sia sociale che finanziario dei nostri tempi, sarò naturalmente il primo ad esserne partecipe. Ma parliamo di un’altra cosa. Un abbraccio
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Vedi Dario, che l’oggetto del tuo articolo fosse il “personaggio” mi è ben evidente. Quello che volevo dire è che la “parte introduttiva” dell’articolo, sempre a mio parere, individuando un ambiente, una collocazione ed una conseguenza temporale, una caratterizzazione non puntuali, ma assolutamente prive di specificità, cambiano in qualche modo il significato del tema centrale poichè ne modificano le premesse e la percezione.
Faccio un esempio:
Parlare delle vittime di Rigopiano con una premessa che si limiti a dire “è venuta giù la valanga” è un conto, dire invece: “è venuta giù la valanga e ha trovato nel suo cammino il lato lungo dell’albergo…” è tutt’altra cosa. Nel secondo caso il parlare delle vittime avra’ il supporto di una “causa concreta identificata”. Nel primo caso il “fato” di una natura maligna sarà la “premessa” e l’informazione dello stato d’animo con il quale si discuterà attorno alle vittime. Le premesse hanno un loro perchè nell’economia di un argomentare. Le premesse indirizzano e spesso danno l’intero senso al discorso. Quella che hai proposto disegna un Salvini frutto di un non ben identificato degarado sociale… lasciami dire che è una tesi difficilmete accettabile, meglio sarebbe stato evitare del tutto la premessa.
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