Cinema: Seven Sisters di Tommy Wirkola; Suburbicon di G. Clooney.
a cura di PIERO PACCHIAROTTI ♦
Da oggi iniziamo una rubrica cinematografica a cura di Piero Pacchiarotti, in collaborazione con la testata on line “Recensioni Film” che ci permetterà di rimanere aggiornati sulle novità in programmazione nei cinema nella nostra città e non solo.
Questa rubrica vuole essere un altro piccolo passo per rendere spazioliberoblog sempre più riferimento per la crescita culturale della città e per far crescere noi stessi insieme ad essa.
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Seven Sisters di Tommy Wirkola
Mi sono buttata su questo film un po’ al buio, senza conoscere bene Tommy Wirkola, ho visto solo il suo Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe (2013), splatter al punto giusto, dal sapore medievale ma contaminato dall’attualità, molto interessante e ho sentito parlare bene dei suoi Dead Snow (2009) e Dead Snow 2 (2014) che spero di riuscire a recuperare.
Con Seven Sisters invece siamo sulla fantascienza, e siamo nel 2073, un futuro non troppo lontano in cui le risorse del pianeta non bastano più, le famiglie non possono avere più di un figlio e quelli in eccesso vengono messi in criosonno con la promessa di essere risvegliati in tempi migliori.
In questo scenario un nonno coraggioso (W. Defoe), salva dal criosonno le sue sette nipoti, le bambine crescono, e trent’anni dopo inizia la nostra storia.
Le sette sorelle protagoniste (interpretate tutte da N. Rapace) sono visivamente uguali in tutto e per tutto, si differenziano solo per il look. Ciò che dovrebbe davvero aiutarci a distinguerle, ovvero il carattere, è tracciato però in maniera molto grossolana, di tutte loro sappiamo poco e purtroppo Noomi Rapace, penalizzata forse da una sceneggiatura poco dettagliata, non è riuscita a mettere in risalto gli atteggiamenti e le peculiarità di ciascuna sorella quindi, ai nostri occhi, è come se lei recitasse sempre la stessa parte con parrucche diverse.
Altra cosa poco convincente del film è la sua ambientazione che appare molto basic e sottotono; considerando che siamo 50 anni più avanti e che le possibilità di rappresentare un futuro post apocalittico potevano essere molte, la tecnologia sembra non essere affatto progredita, tutto è simile al nostro presente ad eccezione di qualche già visto schermo touch, qualche bracciale localizzatore e delle auto molto simili a quelle in circolazione oggi. Un po’ troppo poco.
Il film non è abbastanza scuro, non è abbastanza futuristico, non è abbastanza violento, ha moltissime carenze nonostante la sceneggiatura sia avvincente e il cast appropriato. La parte del villain è affidata a G. Close che non sbaglia ma è troppo poco presente, idem per il nonno visionario W. Dafoe che però scompare presto dalla narrazione senza troppe spiegazioni.
Ciò che resta di questa pellicola è un banale action movie dai tratti confusi, pieno di spunti buoni ma perso in evidenti carenze di budget, di tempo e di mezzi che lo hanno reso un po’ ibrido.
Non annoia ma non colpisce e soprattutto pesa la grande assenza di un’idea di futuro, di una visione.
Suburbicon di G. Clooney
Ecco l’attesissimo Suburbicon di G. Clooney; la storia si svolge negli anni cinquanta nella ridente cittadina di Suburbicon, dove Gardner Lodge (M. Damon) vive con la moglie Rose (J. Moore), la sorella gemella di Rose, Margaret (sempre J. Moore) ed il figlio Nicky, tutto procede in modo tranquillo finché una coppia di colore si trasferisce accanto ai Lodge, creando il caos ed interrompendo la quiete del luogo. L’ouverture è una presentazione in stile promozionale di Suburbicon, la cittadina graziosa del titolo, il che porta a pensare che magari il film verterà sull’apparente perfezione dei centri urbani statunitensi che, pur avendo la staccionata bianca, il prato falciato e la casalinga sorridente che appoggia una torta sulla finestra, nascondono realtà famigliari di disagio, di non comunicazione e di infelicità, invece poi irrompe il primo fatto ovvero l’arrivo della famiglia afroamericana quindi l’ipotesi del tema cambia e il nuovo argomento trattato diventa il razzismo infatti vengono mostrate riunioni cittadine, tumulto e proteste che svelano tutti i limiti di una comunità che, fino a quel momento, si era manifestata come accogliente e sorridente. Ecco, a quel punto di presunta stabilità narrativa arriva il secondo fatto, un’aggressione subita dalla famiglia Lodge; lo spettatore qui comincia ad accigliarsi pensando che ci possa essere qualche connessione tra questo fatto ed i temi presentati, soprattutto relativamente al razzismo perché il figlioletto dei Lodge, a quel momento, stava facendo amicizia con il nuovo vicino afroamericano suo coetaneo, sarà così? Non voglio spifferare troppo ma quello che ho detto mi basta per giustificare il mio parere, troppa carne al fuoco! L’abbondanza di riflessioni che questo film offre è impressionante ed il risultato, purtroppo, è che buona parte di queste sono state messe in campo senza essere adeguatamente sviluppate o raccontate. Lo zampino dei Coen e di G. Heslov (co-autori della sceneggiatura) è evidente, qui c’è tutto il sapore del loro black humor, la loro intelligente ironia, il leggero gusto per la violenza che spaventa e diverte, c’è persino una battuta sugli ebrei, ci sono echi di Fargo (1996) e di A Serious Man (2009); c’è da dire però nei loro lavori tutto fila liscissimo dall’inizio alla fine e non si ha mai l’impressione di essere finiti di fronte ad un crocevia narrativo senza sapere che direzione prenderà il film, questo succede più volte guardando Suburbicon. Il film è ben fatto ed interpretato con maestria, anche se mentalmente non riesco ad associare la faccia di M. Damon al suo personaggio e sono stanca di vedere J. Moore con il look anni ’50, mi ha divertita molto invece Roger, il personaggio di O. Isaac. Insomma, meglio rispetto alla noia mortale provata durante la visione di Le idi di marzo (2011) o di Monuments Men (2014) (film che però non posso tecnicamente definire brutti, solo noiosi, soprattutto per una spettatrice come me che, per chiarirvi le idee, pensa ancora sognante a quanto ha amato l’ultimo Mad Max: Fury Road, G. Miller, 2015) però mi sfugge l’autorialità di Clooney, il suo stile (che tuttavia non ho ancora ben capito), il film sembra un collage di fatti slegati avvenuti contemporaneamente, a tratti diverte e a tratti spaventa ma non lascia un granché.
MACHINEGUNB