METTI UNA SERA ALLA ROCCA, CANTI DI DONNE E BRIVIDI
di LUCIANO DAMIANI ♦
A volte capita di essere invitati dalla vicina a vedere uno spettacolo teatrale. Ci vai, non per cortesia, quella la lasciamo a chi manca di curiosità, ma perché sei abituato a vedere, a scoprire, a vivere l’emozione dell’inaspettato, della sorpresa, a volte va male a volte va bene, un po’ alla stessa stregua di chi curioso del cibo altrui va in cerca di piatti tipici, di gusti e sensazioni mai provate, a volte piace ed a volte no. Insomma, con il piacere dell’attesa prenotiamo il nostro posto per lo spettacolo della compagnia “Scatola Folle”.
La location è assolutamente particolare, una sorta di cubo di antiche mura, nella Rocca del Porto di Civitavecchia, forse scelto apposta per non fare disperdere neppure una goccia di succo, un po’ come la cucina moderna ha imparato a cuocere nelle buste sottovuoto e a bassa temperatura, che nulla venga perso o cambiato da ciò che non è utile, da ciò che ne potrebbe cambiare l’essenza.
E così mi accomodo in prima fila, la prima di una ripida gradinata, ripida al punto che ogni fila si erge al di sopra della scena ma non lontana da essa. Insomma è come essere dentro una pentola, attori e pubblico, preannunzio di una sorta di fusione che andrà a compimento con lo scorrere dell’interpretazione.
L’animo non è dei migliori, siamo usciti avendo visto la violenta cattiveria del terremoto in Grecia e la violenta cattiveria degli uomini nella Spianata delle Moschee, un po’ di angoscia si unisce al disagio del caldo, i proiettori illuminano il pulviscolo che si agita nell’aria. I proiettori dei teatri all’aperto te ne fanno prendere coscienza… della polvere che respiri.
Dello spettacolo non sai praticamente nulla, hai letto il titolo su Facebook nel gruppo della compagnia “Scatola Folle”, ma non hai cercato altre notizie. Sul posto non ci sono cartelloni o locandine utili, ma è bello farsi sorprendere dall’inatteso. Al centro del cubo è posta una sorta di gabbia, e tale era nella scena, meglio, una “cella”.

Novella Morellini interpreta la Beata Angela da Foligno – foto E. Paravani
E si perché la donna che vi è rannicchiata dentro è in cella. Difficile definirla “donna”, meglio chiamarla anima. Anima che presto inizia a raccontare, meglio, a rivivere la sua passione. La passione di chi si è data al Cristo, o a ciò che lei pensava fosse, lei era certa fosse il cristo, difficile da credere per sorelle e sacerdoti. Una passione che è abbandono completo, di anima e di corpo, di tutto il corpo, sensi compresi. E la passione si sa, è passione perché travolge, ti fa passare dalla dolcezza infinita e profonda alla violenza dura, ti contorce, ti sgrana gli occhi e ti serra le mascelle e le mani che stringono e afferrano il ferro delle grate oppure carezzano. Violenta fino ai calci sulla bocca che si spacca, che fiotta sangue come il sangue che sgorga dall’anima forse incapace di contenere tanta passione, fino al liquido ed alla vita che esce dal ventre, incapace di trattenerlo a se.
Le anime degli spettatori colpite dai cavalloni possenti di tanta passione, di tanto in tanto, si ristorano della dolcezza del mare che per qualche attimo torna e ritorna calmo e dolce, ma solo attimi. La Beata Angela da Foligno, interpretata da Novella Morellini, santificata nel 2013, non poteva che vivere una passione travolgente nel vero e compiuto senso della parola, di quelle da nessuno credute.
Questo era il primo “canto” della serata, preso da: “Causa di beatificazione, canti per voce e tempesta” di Massimo Sgorbani, direi, racconti di donne raccontati dalle stesse. Certo affatto banali.
Il secondo parla di Palestina, e come non ripensare agli scontri sulla Spianata delle Moschee? Ancora il potente si fa forte della propria forza e nega agli altri la possibilità, il diritto di vivere, e pare che non ci sia altra arma per difendersi, per reclamare il proprio diritto, che quella tanto inutile quanto unica strada, la violenza, altra… violenza.

Cristina Rocchetti interpreta Wafa Idris la prima donna kamikaze di Palestina. Foto E. Paravani
Il racconto continua con il dolore che si trasforma in sete di giustizia, inconsulta vendetta di una cintura esplosiva, ultimo estremo atto d’amore, tanto più esplosiva quanto più il dolore e lo strazio è grande. Wafa Idris è stata la prima donna kamikaze di Palestina.
Il terzo quadro parla ancora musulmano, mondo tanto lontano quanto vicino, sia nel passato come nel presente. Tratto da ”Il palazzo della fine” di Judith Thompson, ancora una donna, una insegnante Irachena,

Cristina Galice interpreta: Nehrjas Al Safari militante nel Partito Comunista Iracheno. Foto E. Paravani
Per chi non lo sa l’amore rimane, rimane oltre le passioni ed oltre le violenze.
Hanno fatto poca pubblicità e io non ho saputo niente quindi non c’ero ma leggendo quello che scrivi me ne rammarico.
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Rosamaria, può seguire i nostri eventi iscrivendosi al gruppo Facebook “Scatola Folle”. Su questa pagina aggiorniamo costantemente iniziative e modalità di partecipazione agli spettacoli.
Saluti!
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Grazie Luciano per il tuo sguardo sensibile, non solo sullo spettacolo, ma proprio sul nostro modo di fare e concepire il teatro.
Rosamaria, può seguire i nostri eventi iscrivendosi al gruppo Facebook “Scatola Folle”. Su questa pagina aggiorniamo costantemente iniziative e modalità di partecipazione agli spettacoli.
Saluti!
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Sono io che ringrazio voi, io ho solo scritto un articolo, voi avete lavorato duramente per regalare una bella serata al vistro pubblico.
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Non ho capito se la signora Nafarh è contemporaneamente comunista e mussulmana.Le due cose insieme non sono possibili,come non è possibile servire inzieme dio e mammona.
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Bisognerebbe chiederlo all’autrice Judith Thompson, personalmente suppongo sia musulmana per il solo fatto di essere nata in Iraq come noi siamo cattolici per il solo fatto di essere nati in Italia, battezzati, comunicati, cresimati e sposati in chiesa. Ma come ho detto bisognerebbe chiederlo all’autrice del pezzo oppure alla compagnia che sicuramente conosce meglio di me l’opera messa in sena.
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Salve Ipazia.
Sono una delle tre attrici dello spettacolo…
Le spiego…Teoricamente il comunismo è una concezione politica che ha come punto di arrivo una società atea ma soprattutto laica. Punto di arrivo che comunque passa per la realtà della composizione delle varie società da cui può nascere e svilupparsi in un lungo e non determinato processo. Alcune scuole religiose non integraliste hanno in varie parti del mondo accostato e camminato parallelamente con gli stati e le formazioni comuniste esistenti. Pensiamo al cristianesimo sud americano (chavez, morales ed altri) al confucianesimo in Cina ai tempi di Mao e a tutti gli.esponenti progressisti.del mondo.mussulmano che abbracciandone la parte non ortodossa hanno sviluppato un pensiero religioso affiancato ad un agire politici laico (Arafat su tutti). Anche in Italia molte formazioni Cristiano sociali furono legate ai comunisti, possiamo anche portare ad esempio il segretario nazionale di Rifondazione, noto esponente della Chiesa valdese.
Quindi possiamo affermare che sì, in alcuni periodi storici e in determinate fasi, la religione e il movimento comunista hanno avuto intrecci molto forti e molto variegati.
Spero di essere stata esaustiva.
Saluti
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Leggo oggi sul giornale : ” Avvicinati molti giovani al teatro “. Ancora : ” Il cartellone chiude in pareggio economico e partono nuovi progetti come ” L’arte nel cuore ” “.
In una azienda il bilancio dovrebbe avere voci dettagliate e mi chiedo quale sia il risultato ottenuto con i progetti del presente anno, mi riferisco al progetto per l’inserimento di giovani diversamente abili ed al laboratorio teatrale, al quale, credo, abbia partecipato il nostro amico Ettore Falzetti.
Si è creata una rete delle Associazioni presenti sul territorio ?
” Avvicinati molti giovani al teatro “…” Il teatro è di tutti “…
L’ Associazione Culturale-Scatola Folle aveva chiesto uno spazio solo per fare le prove. La risposta dell’Assessore è stata evasiva, o al massimo ha potuto dire : ” Bisogna aspettare il bando! “.
E come nella favola brutta, senza mai lieto fine, Scatola Folle aspetta , aspetta,
ma appropriandosi dei luoghi, degli spazi che creano connessione nella perduta memoria : Ex Infermeria Presidiaria, allora, Terrazza della Rocca,ora.
Sappia l’ Assessore alla Cultura che non vogliamo essere finanziati dalle bancarelle
vogliamo spazi della memoria perduta per fare teatro.
I quaranta posti, su tavole dure di antico refettorio alla Rocca, con il teatro d’inchiesta di Scatola Folle hanno creato valori, hanno creato senso estetico e linguaggi, hanno dato luogo a diverse interpretazioni, così è ” Il piccolo teatro “.
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