Ludopatia a Civitavecchia: occasione per una nuova crociata.
di PIERO ALESSI ♦
Parrebbe, da notizie tratte dai giornali locali, che anche nella nostra città, con amministrazione a cinque punte, si stia per impugnare una croce fiammeggiante per ingaggiare contesa contro la dipendenza da gioco. In realtà si ha l’impressione che si voglia distogliere l’attenzione dei cittadini da problemi assai più gravi e pressanti: degrado urbano, assenza di politiche culturali, disoccupazione crescente, per citare solo alcune delle vere e drammatiche emergenze alle quali si dovrebbe dare risposte. Non tratto la questione da esperto. Nessuna formazione psicologica o medica a sostegno di alcune spicciole considerazioni. Sono sempre personalmente molto colpito da campagne che assumono, nel loro dispiegarsi, il carattere del luogo comune e della ovvietà. Ora, è qualche tempo che circola, in modo trasversale, una santa crociata contro la “ludopatia”. Mi richiama alla mente l’impegno militante delle molte associazioni di timbro più o meno religioso che hanno esortato alla temperanza e chiesto a gran voce un intervento repressivo e sanzionatorio dello Stato per schiacciare la “testa del diavolo”; del tipo, per intenderci Esercito della Salvezza, negli anni del proibizionismo in America.
Il termine “ludopatia” in sé, si converrà, non è il più adeguato. Come associare il gioco con forme patologiche? Forse potrebbe essere più esatto, dal punto di vista di chi vuole condurre questa battaglia, parlare di “azzardopatia” e quindi limitare il terreno del conflitto e dell’intervento ad un aspetto del gioco. Altrimenti , seguendo una diversa impostazione, sarebbero da sottoporre a trattamento sanitario obbligatorio tutti gli anziani che, nei vari centri sociali, giocassero a briscola e scopone o anche tutti coloro che per più di due volte la settimana andassero con gli amici al campo di calcetto. Ma forse parlare di “ludopatia” non è solo una scelta lessicale; forse, ed è una ipotesi da non trascurare, si vuole , in trasparenza, mettere alla gogna ogni forma di gioco.
Vengono in mente le parole del venerabile Jorge ne “ Il nome della rosa”: “…se il riso è il diletto della plebe, la licenza della plebe venga tenuta a freno e umiliata, e intimorita con la severità. E la plebe non ha armi per affinare il suo riso sino a farlo diventare strumento contro la serietà dei pastori che devono condurla alla vita eterna e sottrarla alle seduzioni del ventre, delle pudenda, del cibo, dei suoi sordidi desideri…”. Ma, può darsi che io stia peccando di malizia e che in vero si sia animati da un amore verso il prossimo che conduce a liberarlo da ogni forma di perversa sottomissione e da ogni rischio per la salute fisica e mentale.
Il punto è che la modalità con la quale questa guerra di liberazione si vuole combattere sembra essere la medesima di sempre: prediche, divieti e sanzioni. Dunque, si dovrebbe per coerenza ritenere che ogni forma “patologica di dipendenza” dovrebbe combattersi con la stessa inflessibile modalità; posto naturalmente che ci sia chi autorevolmente in grado di diagnosticare che non si tratti di una libera scelta, per quanto essa possa apparire distruttiva. Facciamo alcuni esempi di comportamenti o semplici dipendenze verso le quali non vi è la medesima attenzione, severità e non viene invocata e adottata la pratica del divieto.
Si dice che vi possa essere, qualora se ne abusi, una certa dipendenza dal sesso, viene definita sex addiction, ma sarebbe arduo chiedere di vietare per legge pratiche amatorie; la tossicodipendenza dal fumo di sigaretta non ha dato luogo a un divieto di uso e vendita; lo stesso per gli alcoolici e i superalcoolici. E’ anche scientificamente accertato che un consumo eccessivo di carni rosse o insaccati nuoce gravemente alla salute ma sarebbe davvero impopolare legiferare contro la macellazione dei suini o vietare la vendita della trasformazione delle loro carni. Non si deve banalizzare. Un abuso di determinati cibi può condurre ad una anticipata e prematura dipartita.
Ancora, a tutela della salute, andrebbero vietati una serie di sport estremi o ad alto rischio: automobilismo, motociclismo, alpinismo, immersioni subacquee ecc. ecc. Ma la sciabola moralizzatrice sembra abbattersi con particolare e sospetta solerzia solo sulle slot machine e giochi similari che attenterebbero oltre che alla salute mentale anche alla solidità della famiglia privandola dei necessari mezzi di sostentamento. L’immagine di bambini costretti alla miseria agli angoli delle nostre città con la mano tesa è straziante e non può non indurre a scagliarci contro i loro dissoluti genitori che hanno sperperato i frutti del lavoro inseguendo sogni e fantasie e gettando la propria stessa vita sul tavolo della sorte. Dunque è forse la presenza del denaro, sterco del diavolo, a turbare le coscienze.
Mi si consentirà però di rilevare una certa contraddizione con la libera vendita di altre forme di gioco in denaro che possono, se si vuole, assumere le medesime forme patologiche. Il lotto, gioco amato in Italia e persino simbolico in alcune aree del paese di una precisa identità territoriale, da cui deriva persino una certa letteratura . Si pensi ad esempio alla “Smorfia”, manuale necessario ad una numerologica interpretazione dei sogni, e chissà che non abbia influenzato le ricerche della moderna psicologia? Il lotto ormai ha perduto una certa aristocratica supremazia e si è acconciato a vivere accanto a molteplici altre consimili forme di gioco: totocalcio, superenalotto e sue varianti; gratta e vinci di variegato prezzo e foggia e l’infinito terreno delle scommesse. Si può aggiungere il Bingo , versione della nostra innocente e natalizia tombola.
Su ciascuna di queste diverse attività lo Stato lucra e si guarda bene dal dichiarare una loro pericolosità sociale. Quando in realtà hanno, non vi è dubbio, il medesimo scopo ed obbiettivo di una qualunque slot. Diciamolo, le slot e simili sono macchine e strumenti. L’uso che di questi strumenti se ne fa dipende solo dalla coscienza critica, dal livello culturale, dalla consapevolezza e infine dalle scelte di chi usa lo strumento.
A mio modo di vedere, accanto al ruolo della famiglia, lo Stato ha il dovere attraverso la scuola, la promozione della cultura e dell’associazionismo di mettere a disposizione dei cittadini quanto serve a costruirsi una capacità di discernimento e di critica e di gestione della propria vita. Acclamare ai divieti e volerne di sempre nuovi serve solo a liberare la propria coscienza per non aver fatto tutto quello che era necessario per dotare ciascuno delle redini necessarie a guidare le scelte verso la soddisfazione dei propri desideri senza arrecare danno ad altri. Le crociate di qualunque natura non mi hanno mai convinto. Dunque, guardo con scetticismo e prendo le distanze dalle demagogiche e populistiche ( atteggiamenti sempre più di voga oggigiorno) battaglie contro la cosiddetta “ludopatia”.
Ho letto che viene considerato un successo sulla via della redenzione allontanare di qualche metro le “sale da gioco” da alcuni siti ; scuole, luoghi di culto, centri sportivi, caserme ecc. ecc.; la giunta Raggi a Roma, individuando le sue priorità, ha in adozione una delibera con la quale le sposterebbe dal centro storico. Le periferie sembrano zone più adeguate ad accogliere attività ludiche riservate a sbandati, sottoproletariato e giovani aspiranti camorristi. Le crociate anche quando partono con serissime, anche se non condivisibili motivazioni, poi finiscono quasi sempre per affogare o nel sangue o nel ridicolo. In questo caso si è scelto il terreno paludoso del ridicolo.
Concludo, ripetendo sino alla noia ciò che dovrebbe essere il serio comportamento di uno stato laico che ha a cuore i propri cittadini e, per questo, in primo luogo li rispetta. E’ ovvio che non si può negare la deriva patologica che, per le più svariate ragioni, alcuni individui percorrono sino anche a tragici esiti. Ed è altrettanto ovvio che le Istituzioni debbano porsi il problema. La questione, che vale anche, per similitudine, per le droghe, è che la soluzione del problema, semmai ve n’è una, non si raggiunge attraverso la propaganda e la sola imposizione di divieti.
Continuo a ritenere che una persona adulta abbia il pieno diritto di scegliere, entro un sistema di regole che garantiscano una civile convivenza, i percorsi della propria vita. Sia chiaro che se si ha un equilibrio mentale precario o si soffre di disturbi del comportamento non sarà complicato trovare forme e modi per farsi del male.
Se spogliamo il tema dalle implicazioni religiose e ideologiche o maliziose campagne politiche, il tutto si risolve nel prendere atto che l’essere umano ha una sua complessità; che è multicolore il regno delle sue fantasie e che non valgono le catene ma solo gli elementi che saranno stati forniti in dote alla sua educazione.
Resta fermo che miscelare questi elementi e dare forma compiuta alla personalità non spetta ad altri che a noi, così come a noi, e non ad altri, è dato di scrivere il nostro destino.
PIERO ALESSI
Caro Piero, ho apprezzato molto il tuo intervento, oltre che per le riflessioni che hai fatto, anche per avere sollevato un problema di notevole impatto socio sanitario. Hai ragione quando sostieni che lo spostare di qualche metro il ritrovo di slot-machine è solo una trovata propagandistica e che il problema è molto più complesso. Ma il clamore suscitato da certe iniziative un merito ce l’ha: quello di sollevare una questione su cui finora c’è stato un silenzio, questo sì molto sospetto. E ti assicuro, perchè lo vivo quotidianamente, che il problema esiste. I protagonisti che chiedono aiuto al proprio medico sono in genere un coniuge o un figlio del dipendente da gioco d’azzardo (come tu hai giustamente definito questi soggetti). I debiti sono ormai fuori da qualsiasi possibilità di essere coperti, nonostante tutto il responsabile nega l’evidenza e rifiuta qualsiasi tentativo di aiutarlo dal punto di vista psicologico. Quali famiglie vengono coinvolte? Per lo più appartenenti a ceti medi e poveri, quelli che si giocano la pensione e chiedono prestiti. Spesso sono donne che giocano. Il tutto avviene discretamente, senza dare nell’occhio, magari un gratta e vinci in una tabaccheria, un altro in un’altra e così via per gran parte della giornata. Le somme impegnate? Sono sufficienti 40-50 euro al giorno per certi budget familiari.. E così si va in mano agli strozzini, si svendono case acquistate con sacrifici di una vita.
E’ vero che ognuno di noi è padrone del proprio destino , ma è’ altrettanto chiaro che lo Stato ha grandi responsabilità, perché non siamo tutti uguali e i più deboli cadono e la patologia (perché di patologia si tratta) non va alimentata, ma curata e soprattutto prevenuta. Per questo Piero qualsiasi spunto mi viene offerto per far uscire dal sottosuolo questi disperati e portare alla luce questa malattia, al fine di considerarla tale e combatterla nei giusti modi, lo accetto volentieri, purchè abbia i caratteri della serietà e della buona fede..
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Tutto giusto, se non fosse che c’è un problema di dimensioni, di numeri. Il fatto è che non sempre i numeri reggono il gioco, ad esempio chi sta in sanità forse potrebbe confermare che ne ammazza più l’epatite che l’HIV, almeno così mi dicono, eppure c’è forse mai stata una campagna contro l’epatite? Eppure si trasmette allo stesso modo dell’HIV. Nel nostro caso, ad esempio, chi ha i numeri può forse dire che le slot sfasciano più famiglie dell’alcool? Gran parte degli introiti dell’erario provengono dai “vizi” degli italiani e non è certo spostandone le sedi che si affronta seriamente il problema sociale. Per il fumo abbiamo assistito ad una massiccia campagna d’informazione e mi pare che i risultati si sono visti, credo che sarebbe intelligente seguire la stessa via. Che si possa combattere il fenomeno, certamente negativo, spostando le sale o chiudendole, penso non lo creda nessuno, neppure coloro che propongono queste misure, evidentemente per scopi diversi. Ma siamo il paese che convive con la prostituzione di strada per non regoiamentarla. Come fanno in paesi meno ipocriti del nostro, con grande giovamento per le casse pubbliche e la salute degli “operatori”. Il vero problema è che abbiamo un enorme bacino di voti “cattolici” cui dare conto. E qui torniamo, inevitabilmente, al coraggio della politica che nulla fa che metta a rischio il consenso.
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Riflessioni giuste. Tengo solo a precisare che solo da pochi anni la ludopatia è assurta a rango di patologia psichiatrica, inserita in tutti i moderni trattati. Prima era solo uno “stigma” che si portava dietro il singolo individuo. In genere ciò accade quando un cert tipo di comportamento umano assume dimensioni così socialmente rilevanti da obbligare la scienza a studiarlo e catalogarlo.
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Trovo ragionevoli e sensate le osservazioni di Enrico e Luciano, ma concordo con Piero sull’inadeguatezza del termine ludopatia. Ludus, gioco, ha una valenza decisamente positiva: potremmo dire che tutte le relazioni sociali sono infine un gioco, come sostiene Berne. Associare questo termine a una patologia produce in me una forma di rigetto. E’ vero tuttavia che il termine sostitutivo, azzardopatia, seppur più proprio, è un insopportabile neologismo.
Per il resto, stante la serietà e gravità del fenomeno, come con competenza sottolinea Enrico, la soluzione del decentramento appare ridicola e classista.
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