Ti cancello quindi sono. Spunti di sociologia online.
di PAOLA CECCARELLI ♦
Unfriending e’ il nuovo atto di ribellione delle masse, la nuova affermazione dell’Io.
Togliere l’amicizia a qualcuno su Facebook e’ il modo piu’ diretto di soddisfazione personale instantanea. E’ l’equivalente di votare prima di andare a votare. Poche cose producono immediata gratificazione come cancellare dalla nostra cerchia online una persona che non ci e’ piu’ gradita. Con un semplice click diventiamo tutti assassini senza punizione.
E’ la morte legittimata su Internet. Dopo aver soppresso l’istinto assassino dell’individuo attraverso secoli di legislazione collettiva e tabu’ sociali-religiosi in nome della convivenza economica, il gesto di uccidere virtualmente i nostri cosiddetti nemici ci rende degli assassini socialmente accettati. Del resto se la messa alla gogna di medievale retaggio e’ oramai diventata lo sport iniquo piu’ in voga su internet sotto il nome piu’ tecnologico di cyber-bullismo _ che pero’ uccide davvero in vita reale – un velocissimo click per cancellare chi non la pensa come noi e’ piu’ che giustificato se non considerato un doveroso gesto di giustizia liberatoria.
E niente meglio di queste elezioni americane lo sta dimostrando. Visto che si sono giocate soprattutto online Facebook ha dichiarato 5.3 billioni di posts politici e 110 milioni di americani partecipanti a discussioni politiche da gennaio ad oggi. Senza contare la marea di posts su Twitter, naturalmente. Il livello di animosita’ e violenza scritta scatenatosi online in questi 9 mesi e’ stato visto aumentare proporzionalmente con l’avvicinarsi della scadenza elettorale durante una campagna per la Casa Bianca che e’ stata una delle piu’ divisive, aggressive ed esacerbate mai osservate. Ci voleva una donna per scatenare queste ire di proporzioni apocalittiche, in fondo. Neanche il colore della pelle di Obama pote’ tanto. Ma Obama pero’ non ebbe Trump come avversario e Trump ha scaricato dalla fogna repubblicana offese e aggressioni verbali su temi come sesso e maschilismo, razzismo e emarginazione dei diversi e dei poveri cosi’ violente da scatenare – naturalmente – l’appassionata, veemente e altrettanto esacerbata risposta da parte della posizione opposta.
Ed online si e’ quindi scatenato l’unfriending, la cancellazione delle amicizie, senza rimorsi, senza pensarci due volte, con gloriosa furia e soddisfazione collettiva, in un orgasmico click multiplo e continuato in un crescendo che non ha riscontri. E sto solo parlando delle cifre studiate sul Facebook americano. Globamente parlando la storia si ripete su qualsiasi altro tema politico-sociale-sportivo.
Unfriending e’ il nuovo atto di ribellione delle masse, la nuova affermazione del’Io.
C’e’ chi lo considera un dovuto e sacro gesto di liberazione soddisfatoria ma sono in molti ad interrogarsi sui suoi limiti. Il pericolo e’ che sia invece un segno di rinuncia, di totale chiusura all’altro e alle sue diversita’, di sterile masturbazione intellettuale, un segno di isolamento sociale. La ricchezza delle interazioni personali tra individui che non sono uguali e hanno la liberta’ e la possibilita’ di pensarla diversamente da noi e’ in fondo la necessaria colla che tiene le societa’ unite. Il pericolo di internet e’ tutto qui, in fondo: ognuno diventa un’isola nell’isola online, ritagliandosi precisi e specifici spazi personali, non contaminati da altrui diversita’, nutrendosi di convinzioni rimandate a specchio da amici di identiche vedute. E siccome Facebook lo sa ci sta guadagnando sopra con pubblicita’ tagliate a misura e informazioni selettive. E cosi’ noi e i nostri amici vediamo le stesse news, riceviamo gli stessi feeds e le stesse pagine. La nostra ribellione personale non ha niente di individualistico. E’ un’illusione. Come il Far West di Westworld. Come in Truman Show.
Ognuno di noi e’ convinto di essere nel giusto e se nessuno e’ piu’ aperto allo scambio di vedute la colla di tolleranza che tiene in piedi la societa’ si disisntegra. E anzi ha gia’ iniziato a disintegrarsi.
“Certo anche nella vita reale ognuno di noi gravita intorno a persone che ci sono tendenzialmente simili. Ma forse online proprio per avere la possibilita’ di arricchirsi senza scendere a compromessi e senza cambiare i nostri stili di vita l’apertura dovrebbe essere mantenuta. Considerato quanto sia difficile che qualcuno possa farci cambiare idea e che non possiamo far cambiare idea a qualcuno, proprio in virtu’ di questo una maggiore tolleranza online deve essere manifestata e coltivata – ha detto fra i tanti Jonathan Wai, psicologo alla Duke University in Durham, N.C. – Unfriending su Facebook (o Twitter) e’ ultimamente un segnale di incapacita’, una mancanza di elasticita’ mentale che porta alla chiusura verso convinzioni diverse dalle nostre. E’ un atteggiamento che si infiltra pericolosamente nella nostra vita reale”
Nel quotidiano non abbiamo un click che ci faccia svanire un interlocutore fastidioso da davanti al naso. Se non abbiamo piu’ la capacita’ di interagire e conversare senza aggressivita’ cercando di rispettare la liberta’ dell’altro a pensarla – anche se purtroppo – diversamente da noi si ritorna al Medioevo, alle lotte tra fazioni, alle lotte tra quartieri, tra pianerottoli, tra appartamenti, tra camere da letto. Questo poi e’ particolarmente vero per le nuove generazioni cresciute a click di mouse e velocissimi swipe sul cellulare. Velocita’ di giudizio senza approfondimento dell’altrui background personale produce giudizi immediati e risposte istantanee senza i filtri della sospensione di giudizio. Ed in questo si innesta l’unfriending in tutta la sua sospetta gloria.
La discussione che si e’ aperta globalmente sull’impatto delle realta’ virtuali sul nostro reale e’ quindi estremamente importante per capire questi meccanismi. Internet non e’ un altro universo separato dalla nostra realta’: quello che scriviamo o quello a cui reagiamo online e in che modo lo facciamo siamo noi. Non altro-da-noi.
PAOLA CECCARELLI
Anche io sono stato “cancellato”. C’è chi mi ha etichettato in un modo, e c’è chi ha preteso che io fossi “etichettabile”. in entrambe i casi il pensiero “indipendente” non è stato gradito. La possibilità della rete di mettere a confronto pensieri diversi pare che, invece di creare ricchezza, crei divisione. Di questo c’è chi profitta, cito:
“E siccome Facebook lo sa ci sta guadagnando sopra con pubblicita’ tagliate a misura e informazioni selettive. E cosi’ noi e i nostri amici vediamo le stesse news, riceviamo gli stessi feeds e le stesse pagine. La nostra ribellione personale non ha niente di individualistico. E’ un’illusione. Come il Far West di Westworld. Come in Truman Show.”
Ed è un aspetto troppo poco considerato, ma non meno interessante ed importante, direi. L’idea che la incapacità di comunicare, diciamo così, sia funzionale agli interessi di qualcuno, economici o di altro tipo, mi fa riflettere ancor più su come le “masse” siano vittime, spesso, di strategie altrui. L’assenza di verità e di comunicazione dei modelli, probabilmente, ha i suoi riflessi nei comportamenti della gente. Sbaglio asserendo che la violenza dei talk show si riproduce nei social? Sbaglio nel dire che l’inganno mediatico crea una pletora di fans e militi virtuali?
Personalmente credo che chi utilizza i media, essendo cosciente di essere o creare una sorta di “modello”, o di influenzare l’opinione pubblica, dovrebbe ben essere attento a queste problematiche. Purtroppo alla fine si arriva sempre alla stessa conclusione: è più proficuo dividere che unire. Quante volte titoli a sensazione o video vengono condivisi come se non si aspettasse altro che avere qualche arma da sparare nel social amplificandone il “rumore”? Del resto ci sarebbero le guerre se non esistessero i fabbricanti d’armi?
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Ciao Paola, la sociologia nota questo : ” come in un Truman Show “, la filosofia , a partire dai critici di Cartesio, mette in discussione la cristallina evidenza della sostanza pensante, della mia identità come soggetto monolitico pensante. Infatti il tuo titolo mi rimanda all’ osservazione di Hobbes: non che l’ io non esista,ma ” come esista “. In ciò Cartesio sarebbe simile a chi dicesse: Io sto passeggiando, quindi sono una passeggiata. O , come dici Tu : Ti cancello quindi sono. Dobbiamo mettere in dubbio di essere una cristallina sostanza pensante. Questo pessimismo di fondo, tuo e di Luciano, sull’ umana coerenza, sulla forma dell’ identità ” reale” e non virtuale, non viene accolto dal filosofo Derek Parfit: identity does not matter, non dobbiamo preoccuparci della nostra identità personale.
I progressi nelle biotecnologie, i trapianti di organi, la clonazione non sono più nei racconti di F. Dick, ma sono scienza. Il sereno abbandono della nostra identità personale, che ora litiga, è aggressiva, chiusa e non aperta al confronto presume che noi dobbiamo ritornare ad un atteggiamento stoico, di emancipazione dalle nostre paure, esaltate e sempre più ” rumorose” sui social. L’ obiettivo sarebbe ” vivere all’ aria aperta “, è quello che consiglierei di fare alla ” fogna repubblicana “, cioè di ritornare allo spirito dei pionieri alla ricerca della California, allo spirito delle comunità hippies degli anni ’60, ad una emancipazione dalle nostre paure, a sentire l’altro-da-noi più vicino, in un paradossale sistema ZEN perchè ognuno ritrovi ” sestesso”…
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Paola, non c’era bisogno che tu mi invitassi a leggere il tuo commento… davvero.. 🙂
Il tuo invito a tornare stoicamente al contatto con la natura lo approvo in pieno. Debbo dire che i momenti nei quali mi sento meglio, più me stesso, sono proprio quelli che mi vedono immerso nella natura, quando cammino scalzo sull’erba, quando in un mare solitario faccio il bagno e mi tolgo il costume per essere completamente immerso in essa, ed allora il mio io intellettuale si fonde in una sola essenza con il corpo e con madre natura in un equilibrio stupefacente. Penso che il nostro distacco dalla natura ci abbia un po’ tutti scompensati. Sarà forse per questo che cerco quanto più posso di creare il mio cibo e con gli alimenti quanto meno manipolati possibile? Sarà forse per questo che mi sono trovato incantato ieri con lo sguardo fuori dalla finestra sugli alberi illuminati dal sole? Si dovremmo tornare ad essere un po’ più figli dei fiori ed un po’ meno figli del web. Credo che tornare alla natura potrebbe essere la via per riconoscere noi stessi. Sono certo che la nostra mamma terra ancora riesce ad accoglierci nel suo grembo ed a chiamarci per nome, ma dobbiamo finirla di farle del male.
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