L’importanza di essere SMART
di ROBERTO FIORENTINI ♦
Non so se anche voi abbiate, talvolta, il dubbio che la politica sia molto indietro rispetto alla società. Se, insomma, l’estrema velocità con la quale la società cambia, specie grazie all’impiego degli strumenti di comunicazione, non sia sincronizzata affatto con quella di chi dovrebbe indirizzare, governare e vigilare su questi cambiamenti. Io questo dubbio ce l’ho. Eccome se ce l’ho. Anzi, temo che più di un dubbio si tratti di una certezza.
Non stiamo parlando semplicemente di comunicare con un tweet o con un post su Facebook. Perché questo ormai i politici lo fanno piuttosto bene. Si tratta, invece, di cominciare a comprendere che , nel terzo millennio, la società evolve con tempi che non sono affatto conciliabili con le necessità di una politica abituata a ragionare in termini elettorali. I tempi delle elezioni non sono sovrapponibili alla modernità e il mondo non si ferma ogni quattro anni per aspettare di vedere chi ha vinto e chi ha perso.
Gli elettori, cioè i cittadini, sono ormai abituati ad essere connessi 24 ore su 24 ed a ricevere un enorme flusso di informazioni. Tanto impetuoso da essere, spesso, persino troppo difficile da gestire. Tant’è che , nella società della comunicazione globale, i cittadini ( gli elettori ) qualche volta sono tentati dal distaccarsi da una mole di input tanto grande da risultare aliena e incombente per molti. Tanto grande e spaventosa da risultare disincentivante e foriera di confusione. Diventa, pertanto, necessario che la comunicazione politica e persino l’esercizio stesso della politica, sia nell’ottica delle scelte che in quella dell’amministrazione e del governo, si plasmi e si adatti alle mutate condizioni imposte dal presente.
Le persone si stanno abituando a ragionare per obiettivi, talvolta anche a breve termine, non essendo più possibile , per motivi che non staremo qui ad indagare, per la maggior parte di noi, progettare a lungo termine e pianificare il futuro. L’assenza di stabilità del lavoro, della famiglia, la mobilità geografica, quella che dai sociologi viene chiamata società liquida, ha bisogno di risposte adeguate alle sue necessità. Persino il business ha, da tempo, adeguato le sue modalità. I grandi obiettivi hanno lasciato il posto ad un goal setting, calibrato sulla performance e sulla necessità di impostare obiettivi SMART, che in inglese significa intelligente. Si tratta di un acronimo in cui le lettere stanno per Specifici, Misurabili , Concordati ( agreed in inglese) , Realistici e Definiti nel tempo ( time phased). Appare evidente che si è in presenza di una logica piuttosto diversa sia dal vecchio capitalismo che dalla visione di business cui siamo abituati. La “ smartness” , da parte di alcuni studiosi più avanzati, come il guru del coaching John Whitmore, non viene neanche più reputata sufficiente. E si inizia a parlare anche di altri due nuovi acronimi da applicare alla performance, con contenuti , secondo me, molto interessanti. Secondo queste teorie gli obiettivi , oltre che SMART, devono essere PURE, in inglese puri e CLEAR (chiari ). Questi due nuovi acronimi stanno per Espressi in positivo ( positively stated), Compresi da tutti ( understood), Rilevanti ed Etici. Ed ancora: Stimolanti ( challenging), Legali, Positivi per l’ambiente ( environmentally sound), Appropriati e Messi per iscritto ( recorded ).
Credo sia abbastanza superfluo, da parte mia, sottolineare gli aspetti etici ( potremmo dire politici) di questa impostazione di management. Una azienda intelligente – smart – concreta ed agile, che sia anche pure e clear, cioè positiva, attenta alla legalità, all’ambiente ed alla vita delle persone, è certamente portatrice di input altamente positivi per la società. E’ davvero auspicabile che si assista ad un veloce sviluppo di un business orientato su questo modello. Un modello che , a mio modesto avviso, potrebbe essere adattabile, con qualche indispensabile cambiamento, all’approccio della politica con le sfide della moderna società liquida. Un modello di questa natura potrebbe colmare il vuoto lasciato dalla fine delle ideologie, databile alla fine del secolo scorso. Da due decenni la politica cerca di trovare soluzioni a questo vuoto, con gli scarsi risultati che sono visibili a tutti. La soluzione potrebbe essere costruire una società smart, pure and clear ?
ROBERTO FIORENTINI
Ieri, ascoltando un TG, fui catturato dai risultati economici spagnoli rapportati alla ormai perdurante mesi assenza di un governo insediato nel paese. La riflessione che la politica possa risultare inutile se non dannosa è stata abbastanza spontanea. Abbiamo assistito altre volte a “vuoti di potere” che non hanno creato difficoltà, i paesi vanno avanti lo stesso beneficiando forse di una stabilità che solo l’assenza di politica riesce a garantire. Leggendo questo articolo, la mia colazione, il pensiero ritorna e si tramuta in domanda: “ma questa politica, sempre in ritardo sui tempi, non sarà davvero dannosa così com’è? Sarà forse il caso per essa di una profonda e sostanziosa riforma?” La società corre, dice Roberto, con la velocità della comunicazione, io aggiungo con la velocità con la quale si creano proposte e bisogni diversi, e con la quale cambiano le situazioni sul campo.
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metodi cartesiani per contenuti kantiani..
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Non aspiro a tanto, Ettore. Però , partendo da un assunto che credo non discutibile, cioè che le culture politiche del 900 non sono più sufficienti a rappresentare l’oggi, voglio provare ad intravedere qualche nuova strada.
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Cosa si intende per cultura politica? Credo sia necessario precisare il concetto.
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Quella proposta da Roberto è una sfida da raccogliere. Anche per liberarci al positivo da quella autentica manipolazione politica e culturale rappresentata dalla “filosofia della rete” nella versione che conosciamo. La domanda di Luciano non va lasciata cadere. Per me una sana cultura politica (mi scuso se abuso anch’io del lessico anglofono) è civicness. Coincide cioè con quella cultura civica fatta di responsabilità comunitaria e di relazioni sociali attive. L’esatto contrario della cittadinanza digitale e della dittatura del clic.
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Quando parlo di ” morte ” delle culture politiche del 900 ovviamente mi riferisco alle grandi famiglie politiche europee. Il socialismo, il comunismo, la socialdemocrazia, la democrazia cristiana e così via. Ciò che ne rimane ha perso ogni base culturale e filosofica , a favore di un pragmatismo volto esclusivamente all’esercizio del potere. Persino il pensiero ” verde ” sembra già prematuramente appassito. Solo il populismo di destra sembra rinvigorito, rappresentato da noi , con sembianze diverse, dal m5s.
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Comprendo, le forme di politica organizzata, correggimi se sbaglio, non rappresentano più l’espressione di culture e filosofie diverse, ma organizzazioni tese alla gestione del potere piuttosto che ad una idea di società, In questo sono d’accordo e credo sia una buona base per il necessario cambiamento, per lo meno per quanto attiene al “pensiero”. Del resto pare difficile pensare alla politica senza, appunto, il “pensiero” informatore. Aggiungerei che occorre un pensiero “forte”, forte abbastanza per superare l’impatto con la realtà delle cose, per non farsi sconfiggere da una realtà fatta di tutt’altro. Le cadute di coerenza le abbiamo davanti agli occhi e le leggiamo nelle cronache. Ecco, ci vuole un pensiero forte, in quanto legato ad una idea di società reale e non illusoria o frutto di mera ideologia, forte in quanto sorretto da una sintesi condivisa conseguente ad un profondo confronto senza condizionamenti, per questo capace di produrre comportamenti coerenti.
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