Il contributo alla/della cultura
di LUCA GUERINI ♦
Partiamo dal concetto che non so quale sia la legge in merito e vi prometto che, appena finito di scrivere questa riflessione, andrò ad informarmi dalle autorità giudiziarie competenti, ma quanto voglio condividere con voi è di natura culturale e non economico/legale quindi permettetemi (senza arroganza) di dire che la correttezza formale non è requisito per questa trattazione. Seconda premessa non sono ovviamente un evasore, se devo pagare tot pago e pagherò tot, ci mancherebbe! Il nucleo della questione è che mi sono recentemente rivolto ad un ufficio SIAE per uno spettacolo non tutelato da rappresentare con la mia associazione culturale (quindi non come Luca Guerini, né con Skenexodia) avente codice fiscale e non partita Iva. Mi è stato detto che un’associazione con codice fiscale “può organizzare spettacoli e intrattenimenti (si noti il plurale, anche se questa frase non mi è stata fatta leggere in qualsivoglia documento) occasionalmente e non a livello industriale”. Come siamo bravi noi italiani ad essere vaghi! Cosa vuol dire occasionalmente? Il tizio che stava di fronte a me sosteneva che questo “occasionalmente” fosse una volta all’anno dichiarando che addirittura qualcuno (deduco qualche altro ufficio di sua conoscenza) usasse la parola occasionalmente per intendere una volta nella vita dell’associazione. Assurdo! La sorpresa non è tanto per l’assurdità pronunciata, ma quanto (se così fosse e ripeto andrò prestissimo a verificare) la palese trasgressione di questa norma di miliardi di realtà teatrali. Mi spiego meglio: il “trasgressore” non sarebbe il paninaro ambulante di una sperduta comunità montana, ma la boutique col tappeto rosso fuori la vetrina. Di esempi di teatri off romani che realizzano spettacoli quotidianamente ve ne sono infatti a bizzeffe con nomi conosciuti anche fuori regione. Basta poi aprire un loro sito per capire che, ad esempio, lo spettacolo X verrà rappresentato dalla compagnia Y dal 20 al 29 del tale mese. 10 repliche secondo questo concetto sarebbe l’illegalità fatta persona (ed anche palese, basta aprire Google dai!) se pensiamo che spesso i gruppi che si esibiscono a Roma delle volte non sono neanche associazioni costituite o comunque non hanno partita iva. Tralasciando la verità storica mi viene in mente un secondo esempio, prima di arrivare alla riflessione che volevo fare con voi: organizzo uno spettacolo sull’Antologia di Spoon River di Egdar Lee Masters che si svolge all’interno di un parco pubblico (sì, lo feci anche al Pincio nel 2006) con una trentina di attori nascosti tra gli alberi. Sono andato a proporre questo spettacolo in un Comune e mi è stato detto che in quanto l’associazione/i richiedenti… (fate voi) erano di quel comune non potevo usufruire della gratuità degli spazi, tradotto dovevo pagare il suolo pubblico. Va bene se è così ci sto… quanto devo pagare? L’addetta comunale mi fa un calcolo e siccome il parco è di X metri quadrati e l’affitto costa tot al metro quadrato mi veniva fuori una cifra vicina ai mille euro solo di suolo pubblico. Non stiamo parlando di uno spazio verde vicino al Colosseo ma di un comune nell’entroterra marchigiano di neanche diecimila abitanti. La gratuità dello spazio scatterebbe infatti solo se anche l’ingresso fosse gratuito (ma allora come pago gli attori? il service? le locandine? la Siae di cui sopra che vuole essere pagata anche di più se l’evento è gratuito?) . Diciamo comunque che ok ci sto pago mille euro il suolo pubblico (stavo ipotizzando, se lo facessi ricoveratemi vi prego!) dovrei sperare che con un biglietto di dieci euro (ci sarebbe molto da dire ma procrastiniamo questa riflessione) cento spettatori mi servirebbero solo per ammortizzare il costo sostenuto. L’amministratore X è mai stato ad uno spettacolo né di professionisti né di dilettanti allo sbaraglio della stessa città? Come sono questi dei numeri e dei ragionamenti sostenibili e concreti? Questi due esempi mi servivano perché, volutamente quasi in chiusura (in modo che voi stessi facciate le vostre conclusioni) viene da chiedersi se per lo Stato (e in seconda istanza al Comune) giovano di più le mie cento/duecento euro di tassazioni varie o il poter contare su uno spettacolo/intrattenimento in più nel corso dell’anno ad arricchire la vita sociale e culturale di quella comunità. Se per un simpatico gioco simile a quello del ciclo dell’acqua le mie cento/duecento euro che devolvo al Comune verranno dallo stesso devolute all’assessorato alla Cultura e dall’assessorato alla Cultura devolute all’associazione X che presenterà un progetto (mi sento quasi Branduardi!) perché non incoraggiare chi produce e realizza attività culturali? Per le molte spese continue non compensate da contributi ed affluenza di pubblico pagante realtà piccole che invece di giocare a burraco fanno teatro rischiano di chiudere e di questo ne pagherebbe le conseguenze l’intero sistema culturale, non solo il Comune/SIAE/Stato che non prenderebbe più le “mie” cento/duecento euro.
LUCA GUERINI
Ecco… penso che sebbene la gran parte delle persone preferisca le bancarelle, e credo che in questo tutto il mondo sia paese, l’amministratore dovrebbe pensare un po’ diversamente e promuovere lo sviluppo della sua gente la sua crescita. Insomma fare scelte “difficili”, rinunciare al fitto di un banco di chincaglieria e regalare un po’ di cultura. Credo però che non sia solo una mera questione ragioneristica, penso che ci siano, in giro per il paese, sindaci inadeguati, amministratori miopi che, anche potendo, non riescono a scavalcare il muro culturale che è in loro, quello sul quale qualcuno ha scritto con la bomboletta: “La cultura non si mangia”. Ma forse più che un muro è un vuoto. I regolamenti astrusi poi fanno la loro parte, su questo in Italia credo che siamo maestri.
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Bene, ” Il contributo alla Cultura”. Vero, esistono tante realtà minori, che non hanno alcun rapporto con lo Stato, ma che si assumono un fine solidaristico con il territorio. Potrei riferirmi, ad esempio, all’ Associazione Scatola Folle, una realtà che non ha scopi di lucro, cerca luoghi che fanno parte della nostra memoria civica, un tempo l’ ex Infermeria Presidiaria, poi la Terrazza della Rocca, ora niente…Hanno messo in scena per l’ Associazione ANDOS e per la Mezzaluna Rossa Palestinese. Sono realtà, come tu dici, non assimilabili a sistemi contabili. Credo che siano piccole realtà assimilabili al terzo teatro, teorizzato negli anni settanta da Eugenio Barba. Un’ altra bella realtà ha spiccato il volo dalla nostra piccola città, era la compagnia di Alessandro Serra. Io, ad esempio, sono rimasta legata a quel tipo di ” messa in scena “, il teatro dell’ utopia, del rito,, della cultura di gruppo e degli scambi simbolici. Civitavecchia ha associazioni culturali . Alla presentazione della stagione al Traiano, quando il ” vanagloriosus ” assessore D’Antò ha presentato il nuovo corso o laboratorio di teatro, io, dal pubblico, ho chiesto: ” Avete fatto il bandoooo ” ??. Tutte le associazioni dovrebbero essere protette, non hanno risorse e non vivono nel mondo della competività, se proprio vogliamo parlare di cultura. Hanno solo un capitale, il capitale umano! ( Il sapere dell’ artista va considerato come un piccolo capitale, A. Gorz ). Nelle associazioni e nei piccoli teatri ( uno solo a Civitavecchia) l’ imprenditore , il regista, l’ attore e le attrici fanno parte del capitale teatro. Sono soggetti alla ricerca di sé, hanno in mente di dire qualcosa, cercano luoghi, come tu facevi al giardino del Pincio…ma a loro manca la stabilità che il piccolo teatro è riuscito ad ottenere. Io appartengo ad altra epoca, epoca che poi è stata distrutta dalla cultura dell’ effimero, dell’ evento spettacolarizzato, delle sponsorizzazioni Enel, delle luci del Porto, dei ” panem et circenses “, per cui il teatro è diventato vuoto contenitore del nulla. Vi invito ad una nuova RETE, a consulte, a nuovi progetti, ma sempre consapevoli che l’ autentico teatro è quello dell attore che cura ” solitudine, mestiere e rivolta ” ( Eugenio Barba ).
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