NATIVI DIGITALI
di ROBERTO FIORENTINI ♦
SE TUTTO è così facilmente rappresentabile, se tutto è così “naturalmente” pubblico, come si fa a spiegare ai ragazzi che mettono in rete atti sessuali (altrui) più o meno carpiti che è un gesto violento e pericoloso? Che può portare una persona a sentirsi morire, magari a morire davvero? Loro sono avvezzi a postare TUTTO. Come se nessuna esperienza potesse darsi se non ha la sua vidimazione social.
Così , qualche giorno fa, scriveva Michela Serra in una “ Amaca “ su La Repubblica. Ovviamente si riferiva ai fatti che, da alcuni giorni, occupano la scena delle cronache e che hanno, come punto in comune, l’uso abnorme e negativo dei social. Certamente la vicenda di cui si parla di più è quella della giovane donna della Provincia di Napoli , che si è tolta la vita , dopo che alcuni video che la riprendevano mentre faceva sesso, sono stati diffusi da suoi amici sul web e sono diventati virali, con oltre 200.000 visualizzazioni. Tiziana è stata ricoperta di insulti e non ha retto la vergogna di una situazione diventata insostenibile. Questa storia si presta, effettivamente, a molte interpretazioni. Ma è un’altra la storia di cui voglio parlare. A Rimini, nei bagni di una discoteca, una diciassettenne visibilmente ubriaca, consuma un rapporto sessuale con un giovane più grande. La ragazza sostiene si sia trattato di uno stupro. Lei non era consenziente, ha provato a dire di no, ma era troppo ubriaca per avere la forza di opporsi. Fin qui si tratta di una vicenda come tante altre. La differenza, però, la fa il fatto che tre amiche della ragazzina romagnola hanno ripreso tutto con uno smartphone. Il filmato è traballante e fuori fuoco ma sembra proprio che siamo in presenza di una violenza sessuale ed è evidente che quantomeno la ragazza è ubriaca persa. Ma ciò che rende il video davvero agghiacciante sono i commenti, le risate e le urla delle tre amiche che lo stanno riprendendo. Le amiche sembrano divertite, eccitate , assolutamente su di giri. Quello che accade dopo lo si può intuire. La ragazza che lo ha ripreso condivide su WhatsApp il filmato con le altre amiche e il video inizia a passare di chat in chat. In breve tempo una cinquantina di persone lo ricevono. In pratica tutto il giro degli amici della ragazzina. E la voce comincia, ovviamente, a girare, fino ad arrivare alla mamma della ragazza che si rivolge alla Polizia. Ora gli inquirenti sono al lavoro per capire se sia trattato davvero di uno stupro e se , nella diffusione del video si configuri qualche reato. Ma anche se il sesso fosse stato consensuale, gli interrogativi che pone la vicenda sarebbero gli stessi. I ragazzi di oggi, i nostri figli, sono in grado di distinguere quello che può essere pubblicato , reso noto, condiviso e ciò che è normale, giusto e sacrosanto che debba restare privato ? I nativi digitali, i cosiddetti millenials, hanno una qualche confidenza con la privacy, la riservatezza, con il pudore ? Oggi , per molti adolescenti, l’unica prova di fare sul serio con il proprio ragazzo/a è quando decidono di mettere “ impegnato “ sul proprio status di Facebook. Tutto, compreso quello che attiene ai propri sentimenti ed affetti, deve essere reso noto. Perché se non è pubblico non ha alcun valore. Del resto, gran parte degli eroi di questa generazione devono gran parte del loro successo a quello che mostrano in tv e nei social. Tutto è iniziato con la casa de Il Grande Fratello , reality show trasmesso in Italia su Canale 5 dal 2000, prodotto dalla Endemol e basato sul format olandese Big Brother. I protagonisti del reality, come credo tutti sanno, sono persone sconosciute o semi-sconosciute al pubblico, equamente divise tra uomini e donne, di varia estrazione sociale e collocazione geografica, le quali condividono la vita quotidiana, sotto lo stesso tetto, spiati 24 ore su 24 da una serie di telecamere. E dopo di questo nulla è stato come prima. Persone normali diventano vip per avere mostrato se stessi in tv. Quindi mostrare se stessi è bene. Ed anche i social network servono, in gran parte, a mostrare al Mondo intero chi siamo. La foto profilo, i selfie su Instagram, magari un pochino osè, sono il nostro biglietto per il successo. E più amici ho, più like e commenti ottengono i miei post più sono le possibilità che io divenga qualcuno che ha successo.
Ma anche questa spiegazione sconta il fatto che chi la scrive è figlio di una diversa generazione.
Perché, in sostanza, le ragazze di Rimini che hanno ripreso l’amica ubriaca e ( forse ) stuprata non l’hanno fatto per cattiveria ma per abitudine. E’ una cosa normale, una cosa come un’altra. Una cosa che si fa. “In fondo che c’è di male? “ Era una cosa divertente. Sembrava uno di quei video buffi che vedi su YouTube. Perché se una cosa la fai e non la sa nessuno allora che la fai a fare? Perché , in fondo in fondo , tutto quello che ci accade deve essere postato sui social. Deve. Altrimenti è come se non ci fosse accaduto.
ROBERTO FIORENTINI
Qualcuno disse: “Cogito ergo sum”, ma era altra epoca, leggere e scrivere era cosa per pochi. Oggi si è nella misura in cui si appare e nella misura di ciò che si fa vedere. Mi dicono che al festival del cinema qualcuna l’abbia fatta vedere, qualcuno che lo fa vedere non mi pare ci sia ancora stato, ma forse perchè in realtà “pare brutto”. Tempo fa una ragazzina che “esponeva” causando l’attenzione del mio sguardo, mi apostrofò: “che cazzo guardi”. Ma dev’essere una questione d’età, avessi avuto 30 anni di meno, forse non mi avrebbe apostrofato, magari avessi avuto l’aspetto di un ricco signore… Insomma questa è la società, Roberto, e sinceramente credo sia il caso di dire che ce la siamo cercata, nel senso che la mia generazione e forse anche la tua è autrice di questo mondo, di questi valori e, quando riflettiamo su queste vicende, dovremmo nel contempo porre una feroce autocritica generazionale. Non c’è genitore che biasima questi accadimenti, questo modo d’essere dei propri figli, ma quanti di questi genitori hanno cambiato verso? Quanti danno ai propri figli un esempio “diverso”? Ma sopratutto lo facciamo noi in prima persona? Sarà il caso che ce lo chiediamo senza mentire a noi stessi, possibilmente.
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Non sto cercando colpevoli e – meno che mai – addosso ai ” millenials” responsabilità per essere come la società gli dice di essere. Certo , mi capita di vedere padri e madri che fanno vedere cartoons sullo smartphone a bambini in carrozzina. O a tavola al ristorante. Io non lo facevo. Ma gli smartphone non c’erano ancora. Fossi padre adesso, lo farei ? Non cerco colpevoli ma provo a raccontare quello che vedo. Ma posso dire che non mi piace, vero ?
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Assolutamente si, non piace neppure a me, ma la mia buona autocritica non me la risparmio nel senso che cerco di mantenere alta la tensione alla coerenza fra il pensiero ed il quotidiano modo di essere, se ci riesca o no non posso dirlo io, sebbene abbia certamente una mia idea.
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