Letterina ipotetica al Preside della mia scuola
di LUCA DI GIOVANNI ♦
Chi scrive, Preside, non è quello che si considera generalmente uno studente modello – perché è questo che la scuola vuole, giusto? Uno studente “modello” che in quanto tale si attenga senza eccezioni al modello, il programma, il percorso che la scuola riesce ad offrire – e già solo per questo fatto so bene che queste parole non verranno considerate poi molto – se non cestinate prima d’esser lette – ma sento l’esigenza di comunicare il mio malcontento a qualcuno che, nel suo “piccolo” ovvero nell’istituto di cui è a capo, ha il potere di cambiare qualcosa.
La scuola ha fallito.
Aspetti riformulo, così sembra tragica: la scuola, con me, ha fallito. In che senso? La scuola è un’attività organizzata per l’insegnamento di una o più discipline, no? Ma sappiamo benissimo che non è solo questo. Essa coadiuva la famiglia nell’educare e formare gli individui (brutta parola), i giovani (mi garba di più). Ecco, riguardo quest’ultimo punto io sistematicamente rimango spiazzato e rattristato nell’essere spettatore e spesso vittima della metodologia con cui gli insegnanti si propongono di educarci. In un primo momento semplicemente perché molti insegnanti preferiscono omettere questo compito, senza dubbio più faticoso dello spiegare qualche formuletta o ripetere a pappardella la stessa lezione su Hegel riproposta invariata da dieci anni. Fortunatamente non sono tutti così, anzi sono in minoranza, e molti insegnanti invece hanno ben presente il valore del loro ruolo di educatori prima che di semplici mediatori del sapere (circoscritto rigorosamente al loro campo di studi, guai a chiedere extra: si potrebbe pensare per un momento di interloquire con qualcuno che ha a malapena la licenza media… Sarcasmo finito), solo che molti adempiono a questo loro ufficio, usando un eufemismo, nelle maniere più bizzarre. E quello in assoluto più in voga è fingere, simulare comportamenti non propri impersonando figure di professori fortemente stereotipate, quanto banali, prevedibili e sterili. In questo senso ho sempre sostenuto e continuo a pensare che la scuola molte volte sia da considerare alla stregua di un teatro: perché ci si trova a dialogare e a confrontarsi con persone non autentiche che preferiscono rifugiarsi nel loro personaggio, nell’autorità (ma non l’autorevolezza) di cui gode il loro titolo e in pattern comportamentali retrivi (come le loro mentalità).
Così non è inconsueto nel varcare le soglie dell’istituto incontrare queste figure che ti chiedi come mai vent’anni prima non si siano presentate al provino per impersonare la preside Trinciabue di Matilde 6 mitica, date le loro innate doti nello scimmiottarla quotidianamente. Questi soggetti nell’analisi narrativa andrebbero facilmente a collocarsi nella categoria dei personaggi piatti e statici (opposti a quelli dinamici), i cui comportamenti e le decisioni sono prevedibili, privi di ingegno e inventiva. Essi stentano a ricordare i cognomi dei loro studenti (i nomi non ne parliamo) anteponendo motivi di quantità – «Ragazzi io ho 10 classi!» – al grande disinteresse di fondo verso i ragazzi. E questi ultimi per loro non sono un vastissimo gruppo di giovani donne e uomini, un giorno future madri e padri, ognuno con una propria personalissima visione del mondo, con le proprie passioni, interessi e sogni grandi come montagne da realizzare; no, essi per questi sapienti prof detentori di ogni certezza sono piuttosto una sorta di massa informe, una categoria facilmente individuabile di mocciosetti sciatti per indole, ricolmi di negligenza inesorabile e la cui impertinenza deve essere oggetto delle penitenze più umilianti mai state messe in atto nella storia dell’umanità (clero escluso). Per riuscire ad avere un dialogo aperto con un sano scambio di idee con questi professori – senza arringhe che lasciano il tempo che trovano o correre il rischio che le proprie parole vengano interpretate fatalmente come un affronto verso il docente – è necessaria una tuta alla Tom Cruise perché la missione è impossibile! Bisogna rimaner zitti anche quando è palese che una determinata situazione della classe sarebbe con facilità migliorabile, se solo fosse concesso un vero dialogo – quella cosa bellissima che si fa solitamente tra due o più persone disposte ad abbandonare la bramosia d’ottener ragione per il più prolifico scopo di ampliare le proprie vedute e di conseguenza crescere insieme.
Tutto ciò – ad eccezione di rari casi di cui parlerò più avanti – all’interno di una scuola è proibito.
Lei potrebbe dire, come a mo’ d’orologio rotto ripetono i prof: «Questo è ciò che troverai fuori di qui, all’università come a lavoro. Perciò sfrutta l’occasione per farci il callo ed arrivare preparato alla vita vera… » come se questa fosse finta. Allora, ragionandoci un po’ su, mi son chiesto: ma se fuori di qui funziona tutto in questa maniera, come dice lei, ci sarà forse un motivo, una causa profonda? Quelle persone che operano fuori dall’ambiente scolastico non sono forse dei prodotti sfornati dalla scuola? Dopotutto è molto probabile che anch’essi a loro tempo ci andarono e non mi serve fare un così grande sforzo di fantasia nell’immaginare le dinamiche di ciò che succedeva in classe, dei rapporti professore-studente e del mai risolto problema dell’incomunicabilità.
Supporre che la radice di tutto questo mal funzionante sistema sia da ricercare – perlomeno in buona parte – proprio nella scuola, crede che sia così lontano dalla verità? Personalmente credo che ancor prima del registro e del badge elettronici, la nostra scuola con urgenza dovrebbe sopperire alla non trascurabile carenza di insegnanti fresh. Non indulgenti, non amiconi, non fricchettoni; ma insegnanti degni d’esser chiamati tali, facenti parte di un’élite selezionata di creativi cogli attributi (reputo che l’insegnamento debba essere riservato solo a chi veramente in grado, oltre che motivato; non a chiunque sia in possesso di un pezzo di carta che testimonia il numero di esami che ha superato), che il rispetto se lo guadagnano senza fatica, senza strilli, perché i ragazzi hanno di loro un’autentica stima indipendente dal titolo o la qualifica. Insegnanti con una reale passione per ciò che insegnano, in grado di farti innamorare della loro materia perché questo in realtà è il loro unico compito oggi: non siamo più ai tempi degli antichi greci dove di maestro ce n’era uno ed era l’unico riferimento cui poter chiedere se si voleva sapere di più. Oggi si ha internet a disposizione e qualunque cosa si voglia sapere è a portata di mano. Che non mi si venga a dire che sul Web non si può ottenere una formazione adeguata, ma solo informazione, perché significa che oltre ai social network si bazzicano pochi altri siti. Coursera, Udemy, Udacity, Khan Academy… Tutti corsi a livello universitario super organizzati e gratuiti. Disponendo di una fonte illimitata di possibilità di studio e approfondimento di questo tipo, cosa può dare in più un insegnante, quale valore aggiunto? La sua genuina passione. Solo attraverso una passione pervasiva si può far innamorare i propri studenti di ciò che si insegna loro; una volta che si è riusciti in questo il lavoro del professore è praticamente finito o rimane marginale. Accesa la fiamma, il desiderio di sapere quella determinata cosa in un ragazzo, non esiste più ostacolo abbastanza grande che, passetto dopo passetto, non possa essere superato.
Ad eccezione di chi purtroppo ha reali e comprovati problemi di apprendimento, tutti gli altri in sé hanno tutte le risorse necessarie per imparare ciò che vogliono sapere. Ripeto: ciò che vogliono sapere. Perché tutti siamo curiosi e abbiamo i nostri naturali campi di interesse, che ci divertono e di conseguenza stimolano a saperne sempre di più; ma non è detto che questi “campi di interesse” riguardino per forza le materie scolastiche (ce ne sono miliardi di cose interessantissime che andrebbe la pena approfondire di cui la scuola nemmeno accenna!). Dunque forse solo in questo dovrebbe riuscire un bravo professore: trasmettere ai giovani quella stessa gioia che lui stesso ha provato (e soprattutto continua a provare) nello studiare quella materia, tanta da divenire il suo lavoro di una vita! Figure come queste fino ad oggi ne ho incontrate pochissime, ma ognuna di esse è riuscita a lasciare una traccia del loro passaggio. Ti cambiano la vita, e non per modo di dire, perché in un modo o nell’altro quelle persone trasformano il tuo modo di vedere il mondo ripercuotendosi sul tuo comportamento: a questi Maestri va la mia più sincera gratitudine.
Forse quella che ho delineato è soltanto utopia, la bozza di un sogno: il sogno di un mondo migliore. E tale rimarrà fino al momento in cui qualcuno investito delle facoltà necessarie deciderà che varrà la pena rischiare e tentare qualcosa di nuovo, perché l’insegnamento scolastico è ormai stagnante e un cambio di paradigma è, oggi più che mai, indispensabile.
LUCA DI GIOVANNI
E per fortuna che hai incontrato qualche raro Maestro che deve aver stimolato le tue meravigliose curiosità, caro Luca! Perchè nella prima parte della tua bella lettera hai descritto la scuola come una gabbia, qualcosa che sta stretto ai ragazzi e non li fa volare alto tanto quanto meritano. Non a caso sono Insegnante!
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Credo che tutti abbiamo avuto insegnanti capaci di farti innamorare e/o incuriosire e altri incapaci di trasmettere l’interesse per la materia. Idem per la capacità di instaurare relazioni fruttifere. Ricordo un preside al quale ci rivolgemmo per un insegnante evidentemente non all’altezza. Il preside ci rispose. “non posso far nulla gli insegnanti non sono tali perchè hanno frequentato una scuola per imparare ad insegnare, ma sono semplicemente laureati.”. Sono passati molti anni, c’è da dirlo, ma forse quest’articolo mi conferma che forse la scuola, a dispetto delle tante riforme, non è cambiata gran che. Voglio credere che non sia solo un luogo nel quale entrare al suono della campanella, subire le lesioni, e riuscirne sempre al suono della campanella. Suppongo, però, che sia anche vero che non tutte le scuole siano uguali.
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C’è qualcosa che non mi convince Luca. Credo che la scuola sia fatta di persone, come le città, dove ci sono le persone giuste le cose funzionano, in altri casi meno.
Credo anche che sperare di ottenere qualcosa in più da un professore non dev’essere una caratteristica necessaria, forse l’inghippo sta proprio qui. Secondo me la scuola, e quindi i professori, dovrebbero trasmettere le loro conoscenze nel miglior modo possibile e SENZA spingersi oltre. Nessuno ha nel dna il comportamento perfetto dello studente modello o del ragazzo perfetto; ognuno di noi piace per ciò che è e ognuno a modo suo. Ovvio che ti parlo per esperienza e non per studi appresi, prova a pensare a chi come me ha fatto il servizio militare di leva? oppure a persone più grandi che non hanno ricevuto né dai propri genitori né tantomeno dalla scuola le “giuste” informazioni e magari nella vita ha vinto comunque!
Credo e spero questa volta, che ogni essere vivente possa farsi valere e prendersi il dovuto riscatto indipendentemente da ciò che gli è stato trasmesso, questo sarebbe e sono certo che lo è, la cosa più gratificante e giusta; anche perché altrimenti, l’allievo come può superare il maestro? 😉
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Trovo l’analisi abbastanza verosimile per non dire reale; non voglio parlare della mia esperienza di alunna prima e di breve docente dopo( sono fuggita a gambe levate dalla scuola preferendo l’incognita di una libera professione) ma mio figlio ha avuto un percorso scolastico travagliato proprio per la qualità degli insegnanti; quella di inglese mi disse: signora si rassegni suo figlio non imparerà mai l’inglese……. Mio figlio si è laureato a Oxford con il massimo dei voti e parla inglese come parla italiano. Per fortuna ad un certo punto all’Università iniziata a Perugia ha trovato dei veri professori. Credo che sia un lavoro poco stimato e poco retribuito e che a conti fatti non prevede il controllo delle capacità sia inerenti la materia sia la comunicazione. Mia suocera ai tempi riteneva che fosse l’unico lavoro adatto ad una donna e questo dice tutto
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