SOCCORRIAMO IL PRONTO SOCCORSO!

di ENRICO IENGO ♦

Gran parte dei cittadini che si recano al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo ne riportano un’esperienza da incubo: ore di attesa prima di essere visitati, pazienti parcheggiati su barelle scomode per giorni, necessità di ricovero nei reparti impedita dalla mancanza di posti letto, difficoltà di comunicazione tra medici e familiari… Ho citato solo alcune fra le più frequenti cause di malcontento fra la popolazione.

La risposta rassicurante che spesso viene data dalla stampa e dalle Istituzioni e accettata di buon grado dalla cittadinanza è quella di aumentare il personale e fare opera di restyling.

Purtroppo non è così semplice.

Il Pronto Soccorso è per sua natura l’area più problematica all’interno di una struttura ospedaliera, sia perché rappresenta il punto di accesso percepito come il più visibile e disponibile a dare una immediata risposta ai bisogni sanitari dei cittadini, sia per la variabilità e complessità dei casi clinici che vi afferiscono.

Di conseguenza le difficoltà sono anche legate ad una oggettiva impossibilità di programmare l’attività: i PS sono attivi tutti i giorni 24 ore su 24, senza nessun filtro.

Da sottolineare, per le riflessioni che seguiranno, che solo il 15-20% degli accessi vengono trasformati in ricovero nei vari reparti ospedalieri.

Il problema inoltre non è cittadino, ma nazionale e mi spingo ad affermare sovranazionale, caratteristico di una concezione della Sanità Pubblica tipica del mondo occidentale e del Welfare, ove si tenta di dare risposta immediata ad ogni domanda di salute, da quella grave alla semplice rassicurazione.

Ovviamente le soluzioni sono state declinate in maniera diversa da Paese a Paese, con risultati diversi, ma sostanzialmente, almeno nei Paesi ove c’è un “Welfare” sanitario, con evidenti criticità.

L’organizzazione della Sanità nei paesi occidentali rischia di collidere seriamente oggi e soprattutto in un prossimo futuro con le compatibilità economiche, in un quadro di miglioramento delle capacità tecnologiche e scientifiche a fronte di una popolazione che inesorabilmente invecchia ed ha sempre maggior bisogno di efficaci risposte di salute (valga il recente esempio, di cui hanno parlato i media, della nuova terapia, costosissima, dell’epatite C)  Qui subentrano tante riflessioni che ci porterebbero lontano dallo scopo di questa riflessione e che ineriscono anche al bisogno di salute e al rapporto con la malattia profondamente cambiati nelle ultime generazioni.

Ma veniamo alle riflessioni da proporre, ferme restando le oggettive difficoltà di cui abbiamo parlato.

Per migliorare la gestione del Pronto Soccorso occorre a mio parere agire a 3 livelli: a monte del P.S., al suo interno e a valle della struttura.

 

  1. A monte del Pronto Soccorso: occorre rispondere ai bisogni di salute non gravi al di fuori dell’Ospedale, al fine di ridurre un accesso improprio al Pronto Soccorso. Esempi tipici dell’inappropriato ricorso al Pronto Soccorso, semplificando, sono i seguenti: arriva dal medico di famiglia un paziente con una sospetta  colica renale, o una violenta cefalea, o una sospetta flebotrombosi agli arti inferiori; occorre una diagnosi strumentale urgente che confermi o meno il sospetto ed escluda patologie più gravi. Non c’è altra soluzione: o il paziente aspetta mesi o va al Pronto Soccorso, ove nell’arco di qualche ora e gratuitamente(riflettiamo su questo avverbio, perché è un altro aspetto importante dell’accesso al Pronto Soccorso in tempi di crisi) ha risposte certe.   A tal fine si è parlato recentemente di una nuova convenzione con la medicina di base, caratterizzata dall’apertura degli studi medici, con i medici in gruppo e  “in rete” H16, cioè dalle ore 8 alle ore 24 e strutture dotate anche di infermieri e, quando possibile, di specialisti convenzionati, in grado di garantire una prima assistenza ed accertamenti di laboratorio e di “imaging” che possano filtrare i casi complessi da quelli che si possono gestire al di fuori della struttura ospedaliera. Ampi studi, anche internazionali, dimostrano che questa è la strada giusta. C’è però un limite, posto dal governo Renzi: questa riforma, per certi versi rivoluzionaria, andrebbe fatta a “isorisorse”. Ebbene questa riorganizzazione non può essere fatta a isorisorse; occorre investire sul territorio, farne anzi il perno del sistema sanitario. Investire oggi significa migliorare la qualità e l’efficienza della risposta sanitaria  domani e diminuirne i costi. Scontiamo ancora oggi una visione “ospedalocentrica” della sanità, visione fra l’altro apportatrice di sprechi e malaffare.  Ricalibrare la medicina riportandola sul territorio non si può fare a costo zero, lasciando alla buona volontà e all’inventiva dei dirigenti sanitari e dei medici il peso delle scelte in termini di strutture, di apparecchiature medicali, di spostamento di infermieri e specialisti, di aumento di ore di lavoro. Questo tipo di scelta sarebbe in realtà una non scelta, che continuerebbe la politica sciagurata dei tagli lineari, ove non si decide dove investire e dove invece tagliare.
  2. All’interno del Pronto Soccorso è a mio parere determinante migliorare l’ efficienza dell’iter diagnostico, potenziando non tanto i mezzi diagnostici, ma un loro più rapido uso, magari dedicando alcune apparecchiature all’esclusivo uso del P.S. e contemporaneamente occorre rendere più funzionale la collaborazione con gli specialisti nei vari reparti chiamati a consulenza dal personale medico del Pronto Soccorso. Senz’altro il rafforzamento del personale medico e paramedico, recentemente avviato nel nostro Ospedale, ma ancora a mio parere insufficiente,  assume una rilevanza centrale. Così come la disposizione dei posti letto che devono essere tutti direttamente controllabili dal personale professionale e soprattutto una astanteria che accolga i casi per “breve osservazione”, evitando le scomode barelle e soprattutto quella promiscuità uomini-donne, anziani con demenza-bambini che spesso offendono la dignità di chi soffre.  
  3. A valle del P.S.: quel 15-20% di pazienti che devono essere ricoverati nei vari reparti, rappresentano il “collo di bottiglia” che determina quell’affollamento e quel lungo stazionare in barelle scomode: immagini a tutti noi note sia per averle vissute personalmente, sia per esserne venuto a conoscenza tramite i media. Nei reparti non c’è posto e quindi tutti ammassati. Anche qui la soluzione non è dentro l’Ospedale, o lo è solo in parte. E’ senz’ altro necessario una buona organizzazione nelle attività di degenza e di dimissione, magari creando appositi spazi per aree omogenee di patologia (per es. un reparto di geriatria, vista l’alta percentuale di ultraottantenni nelle corsie, quindi con posti letto dedicati, in maniera da separare le riacutizzazioni di patologie croniche tipiche dell’età avanzata da altre malattie). Ma soprattutto, se teniamo conto che la maggior parte dei posti letto è occupata da pazienti molto anziani, ove il motivo del ricovero è nel migliore dei casi dovuto ad una riacutizzazione di patologie croniche, risulta evidente come sia determinante potenziare strutture intermedie  esterne: case di cura convenzionate, assistenza domiciliare, strutture di riabilitazione che gestiscono quel delicato periodo post-critico in modo da consentire al paziente non più grave, ma ancora bisognoso di cure, difficilmente gestibili a casa,  di tornare fra le mura domestiche in condizioni di relativa stabilità. In questo modo l’anziano può essere dimesso precocemente, evitando l’ansia dei familiari, che, non sapendo fronteggiare un equilibrio precario, spesso ricorrono di nuovo al Pronto Soccorso, in un circolo vizioso, ove a perderci è la dignità del paziente e la fiducia nella istituzione sanitaria. Anche in questo caso è intuitivo il ricorso a investimenti mirati, che, oltre a migliorare il livello qualitativo della sanità, portano alla fine anche un risparmio di mezzi e di risorse umane.

E’ evidente da queste poche righe come il problema del Pronto Soccorso sia in realtà poco del Pronto Soccorso e molto della organizzazione generale della Sanità e delle conseguenti scelte di politica sanitaria, a mio parere improrogabili,  che occorre  fare.

Un’ultima considerazione: ci sono fortunatamente coloro che hanno un’esperienza positiva e quindi esprimono un giudizio lusinghiero sul Pronto Soccorso. Sapete chi sono in base alla mia esperienza? La maggior parte sono pazienti che arrivano in codice rosso, quindi gravi. In questi casi spesso viene espletato con celerità ed efficienza tutto il percorso dell’urgenza, comprendente ricovero, esami e terapie: momenti drammatici, vite sospese che, grazie al pronto intervento medico, ritornano alle loro famiglie, al loro mondo.

Mi sembrava onesto e anche rassicurante terminare così.

ENRICO IENGO