Immigrazione

di MARIETTA TIDEI ♦

Il pianto che assume il dolore dell’altro come se fosse il mio. Le parole di Papa Francesco in occasione della visita nell’isola greca di Lesbo risuonano forti nelle nostre coscienze: di fronte alla tragedia dei migranti non possiamo voltare lo sguardo altrove. Spetta alla politica il compito, prioritario, di assumersi la responsabilità di decidere e di farlo al meglio. A tutti i livelli: europeo, nazionale, locale. Ed è da questa assunzione di responsabilità che si misurerà la capacità dell’Unione europea di incidere davvero, di scegliere la strada migliore per la gestione dei flussi migratori.

L’Europa, oggi, pensa e agisce in modo disarmonico: c’è chi, come i Paesi del blocco dell’Est, pensa che i fili spinati e i muri possano rappresentare delle soluzioni, quando invece sono degli strumenti che non hanno alcun effetto se non quello di criminalizzare i profughi e di accrescere quel sentimento negativo che purtroppo sta contagiando tanti cittadini europei. Serve responsabilità perché stiamo parlando di uomini, donne e bambini in cerca di un’ancora di sopravvivenza. L’Austria minaccia di costruire un muro al Brennero, altri Paesi pensano di imitare questo scempio. Si sta sbagliando. I toni e le azioni devono essere ben altre.

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Una proposta concreta può venire dagli sforzi che il governo italiano sta mettendo in campo. Un impegno che ha iniziato a farsi ancora più determinato in occasione del vertice de La Valletta, che si è tenuto a Malta lo scorso novembre, e che oggi trova ancora più compiutezza nel ‘Migration Compact’, il documento inviato dal governo italiano a Bruxelles. E’ ora di sbarrare la strada ai nazionalismi e agli egoismi. Purtroppo molte delle proposte, seppure approvate dal Consiglio Europeo, stentano a produrre risultati. Dei 160.000 profughi giunti in Italia e Grecia che dovevano essere ricollocati nei 28 Paesi dell’Unione ne sono stati ricollocati neanche 1000. Ma non bisogna cedere di un millimetro rispetto all’approccio della responsabilità condivisa. La riflessione e l’azione che il governo italiano ha voluto mettere in campo con il ‘Migration Compact’ sono strategiche. Dal vertice di La Valletta, al quale hanno partecipato anche 35 Paesi africani, al ‘Migration Compact’ c’è un elemento che risulta sempre imprescindibile: dobbiamo aiutare le popolazioni che oggi sono in difficoltà nei loro Paesi. Servono aiuti e interventi in Africa e non solo.

La proposta italiana deve essere condivisa. Schengen non può essere messo a repentaglio. È molto di più che è un accordo: è il sinonimo dell’Europa stessa, l’emblema della nostra possibilità di muoverci in un unico spazio. Una libertà che l’Europa ha costruito con fatica e alla quale non può rinunciare perché incapace di trovare soluzioni efficaci al 100%. Sospendere Schengen rappresenterebbe una sconfitta inesorabile, il segno evidente che abbiamo ceduto alla paura, ma soprattutto all’incapacità. È un lusso che non possiamo permetterci.

La validità del Migration Compact sta prendendo piede in Europa. L’approccio del presidente della Commissione europea, Jean Claude-Juncker, fa ben sperare sul fatto che questa sia davvero la volta buona per l’assunzione di una consapevolezza imprescindibile da parte dell’Unione europea, quella cioè che gli impegni vanno condivisi. Nella lettera inviata al premier Renzi, Juncker si dichiara pronto a lavorare su tutti i temi del Migration Compact, dando mandato di approfondire l’iniziativa ai vicepresidenti della Commissione Ue Federica Mogherini e Frans Timmermans in vista del vertice europeo del 28-29 giugno. E’ importante tenere la barra dritta e quindi arrivare a un risultato concreto già nell’estate.

Questo lavoro si accompagna a un’altra condizione. Dobbiamo necessariamente riscoprirci umani. Abbiamo dimenticato oramai il suono e la bellezza della parola umanità. Bisogna riappropriarsene. Spero che questa consapevolezza possa prendere piede anche aCivitavecchia dove qualcuno strumentalizza la vicenda dell’hub per l’accoglienza dei migranti nell’ex caserma De Carolis. E’ un atteggiamento riprovevole e che denota una cultura lontana anni luce dai valori dell’accoglienza e della solidarietà. Dovrebbe essere chiaro a tutti che chi affronta l’inferno del deserto e poi delle carrette del mare non ha nessuna colpa per essere nato dalla parte “sbagliata” del Mediterraneo e soprattutto noi non abbiamo nessun merito per essere nati da quest’altra parte. Nessuno può essere condannato dal luogo in cui è nato.

di MARIETTA TIDEI