LA SOPRAVVIVENZA DEGLI ANTICHI DEI
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Ci fu un tempo in cui le orme del Sacro si vedevano ovunque. Un ’albero, una particolare pietra, l’acqua di una sorgente, un incrocio, un animale. I luoghi disponevano di un loro particolare genio protettore.
In Grecia il divino non è mai stato il “totalmente altro” (Ganz Andere). Sempre presente l’intervento divino dal momento che gli dei si rivelano nei moti dell’animo. L’uomo greco non è mai padrone del proprio comportamento. L ’episodio tra Achille ed Athena, quando quest’ultima frena l’ira dell’eroe, ci indica con limpidità l’eliminazione di ogni pretesa di autonomia: ciò che noi attribuiamo alla libertà della volontà è niente altro che l’onnipresenza dei “lontanamente beati”. Impassibili, beati, sereni, quieti, eppure onnipresenti . E lo sono perché si rivelano nella bellezza dell’arte, nelle azioni umane, nei gesti del mondo.
Attraverso la bellezza di un corpo, di un volto, della Natura, dell’arte, di una poesia, di un poema, della musica l’uomo avverte la presenza del mistero. Il Lontano-Vicino diviene antropomorfo perché l’uomo possa avvicinarsi più facilmente al divino.
La divinità non è un Deus Absconditus ma si rivela nelle forme del mondo. Nella luminosità delle cose , nella loro chiarezza, nell’ordine plastico l’uomo greco vede l’epifania di Apollo. Così nella traboccante ebbrezza della vita, nel continuo morire e rinascere della vegetazione, degli animali, nell’eterno ritorno dei fenomeni, l’uomo greco vede l’azione viva di Dioniso. Nei sentimenti che ci travolgono, ci agitano, ci entusiasmano il pensiero greco intravede l’agire di Athena. Nella forma si riconosce la presenza del divino. Il divino è immanente al mondo, lo agisce, ne fissa il limite e la misura cosicché la forma possa trasformare il caos in ordine, in kosmos.
Si parla di “panteismo”. Ma non è esatto, anzi fuorviante. E’ il divino un Uno, come lo è il Bene di Platone, il Motore Immobile di Aristotele, l’Uno di Plotino. Ma questo unico si rivela in molteplici diversificazioni poiché la realtà appare troppo ricca, troppo complessa per essere contenuta e ristretta in una sola forma. La pluralità delle forme è una necessità ontologica. Non panteismo ma molteplicità delle forme dell’Uno.
Il divino greco non offre programmi di salvezza, non legifera, non offre futuro beato, non crea ex nihilo. Nulla di tutto questo.
Il divino offre nel presente (hic et nunc) l’essenza del suo essere. Non rimanda l’uomo al futuro ma tenta di offrire all’uomo qui ed ora attimi di eternità. Tutto ciò che esiste è destinato a perire ma ciò non significa affatto, per il pagano, che non sia degno di essere! Rimanere fedeli al presente, non sperare, conoscere il proprio limite, questi i principi. Il paganesimo non ha bisogno di salvezza: è una etica della finitudine. Gli dei non sono legislatori ma solo ideali da seguire per “amore” dell’ideale “in sé”. Ne deriva che la fede non fa appello alla dura obbedienza alla volontà di Dio ma fa appello all’intelligenza, al logos, all’amore (inteso come eros movimento, dell’umano verso il Bene ed il Bello). Il greco prega in piedi, la prostrazione non è greca. Si teme di certo il tremendum ma la dignità del fedele è irrinunciabile.
Le radici europee sono intrise di questo spirito classico che nel tempo venne oggetto di una violenta dissoluzione. Gli “usurpatori dell’Olimpo” agirono lentamente ma risolutamente. L’immanenza del divino in Natura venne sostituito con una trascendenza radicale. Gli dei fuggirono la Natura. L’uomo divenne un io debole, prostrato, reo di peccato bisognoso di fughe verso l’ultraterreno. Ciò che era disprezzato come indegna umiltà divenne motivo di vanto. Il mondo non era più la vera unica dimora. Il Dio non vantava più l’ineffabilità ma l’Amore. Non era più l’uomo a tendere verso l’alto, era il Cielo a sperimentare l’essenza umana.
Quando la scienza eresse i suoi fondamenti e la “morte di Dio” venne annunciata svanì l’idea dell’aldilà e l’Occidente si trovò con un vuoto pauroso di valori a dibattersi fra la disperazione e la pretesa di essere egli stesso Dio. Se le cose del mondo cristiano non hanno consistenza in sé ma si generano e si mantengono nell’essere solo perché Dio le tiene in essere, è evidente che nel momento della “morte di Dio” l’uomo precipitasse nel nulla. Incapace di reggere il vuoto l’uomo occidentale tentò di riempire quel vuoto con l’esasperare l’immediato materialismo: l’Economico (Oeconomia salutis) e l’onnipotenza prometeica della Tecnica (l’assalto al Cielo) divennero il senso dell’esistenza con l’assoluta denigrazione della Terra (il mondo come semplice “fondo disponibile”, Gestell). Conseguenza di tutto questo: dissoluzione del cristianesimo e sua trasformazione in una etica, in luogo dell’ideale della salvezza eterna.
Stranieri nel presente. Straniati dall’antica patria, dagli altari dei Padri siamo ora alla ricerca di una terra benevola. Dovunque lo sguardo si volge vediamo che la Natura ha perso il suo statuto di epifania del sacro, ha perso cioè la sua essenza di theophania, di ierophania.
Nonostante ciò, in questo nihilismo valoriale esiste una nostalgia delle origini greche. Una nostalgia inespressa, negata alla coscienza ma presente in molti atti. Se non si può tornare indietro nel passato greco però è possibile la scelta del modello: ai greci non si torna, li si può solo scegliere! Ecco alcune tracce.
Il culto del corpo (fitness, salute, dieta, body building) sembrano azioni innocue e frutto del momento, eppure tradiscono l’antico culto verso la forma apollinea, verso una immanenza eterna.
L’ossessione per il design, verso le forme eterne, verso la bellezza da conseguire negli oggetti di uso comune tradisce l’antico impeto greco verso l’armonia e l’ordine, la regola aurea.
Tutti i movimenti ecologici che sono mossi, in modo diretto, da fini egoistici ed economici ma che hanno come movente inconscio la passione sacrale verso Gaia oltraggiata a grande riserva di materie prime.
In tutti i grandi fenomeni di “estasi collettiva” dove si celebra la pienezza vitale (rave culture, festival, eventi sportivi) e la liberazione dell’istinto (heavy metal, performance art) si riconosce la forza creatrice nel caos di Dioniso.
Nell’idea della “immanenza totale”dove in assenza di un Dio garante e nella devastazione di ogni “verità ultima (religiosa, laica, Idea di Progresso, Utopia marxista) la vita è percepita hic et nunc secondo quell’etica del finito greca per cui homo sum: nihil humani a me alienum puto. Ovvero, la gestione del limite che eviti la tracotanza. Ovvero, la gestione del dolore come evento ineludibile e naturale (i greci interpretavano la felicità come un inganno degli dei: la vita va presa per quello che è).
Nell’idea che se la vita è unica ciò che veramente vale sono i rapporti personali (philia) nella comunità politica (polis) dove felicità è qualcosa non individuale (salvezza singola nell’aldilà) ma un qualcosa di collettivo ed immanente.
Immanenza, limite, relazionalità interpersonale. Queste le tracce esistenti di un “neopaganesimo”attraverso cui l’anima del popolo greco sembra apparire di nuovo. Anima, si badi bene, che non è mai scomparsa nel Medioevo ed è balzata in auge nell’Umanesimo quale fondamentale forma dell’arte.
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Ho descritto questa insorgenza pagana. Non esprimo decisi giudizi di valore. Mi limito a dire che essa scaturisce a seguito della dissolvenza del vero cristianesimo ridotto, purtroppo, a mera etica, ovvero svuotato del Mistero e del trascendente. Abitare un mondo che accetti il finito come sufficiente a se stesso, per molti ipotesi non condivisibile, già sarebbe una esistenza degna a fronte del devastante disagio odierno. Il mondo potrebbe ritornare ad animarsi dopo che lo sguardo oggettivante della scienza lo ha ridotto a spazio esteso ed uniforme governato solo dalle leggi fisiche e dall’utilitarismo economico. Restituendo valore all’ anima mundi, la Terra apparirebbe come kosmos: il ritorno degli antichi dei (nel senso,naturalmente, di visione dell’esistere!).
Se dovessi sintetizzare in termini di teoria economica il neopaganesimo si configurerebbe come una strategia “minimax”.
CARLO ALBERTO FALZETTI

Molto suggestiva la tua lettura dell’attuale “forma” religiosa. Trovo affascinante – e la condivido in pieno, fa parte del mio immaginario-la considerazione della bellezza come ricerca costante del pensiero occidentale derivante dalla immensa cultura greca. Grazie di questo bell’articolo. Quando rifletto sui Greci non posso non avere un sussulto di “sublime”. Maria Zeno
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Perfettamente d’accordo sulla riduzione del cristianesimo a puro insegnamento etico, ma nel tentativo di farsi così accettare sta inesorabilmente perdendo il suo senso profondo e distintivo.
Ettore
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