Quando l’arte va in ebbrezza

di ROSAMARIA SORGE ♦

Credo che molti sappiano che l’altra mia grande passione oltre l’architettura e il bridge è il vino, passione che mi ha portato a frequentare un corso di sommelier e prendere il diploma; da tanto tempo volevo fare un articolo sul vino  nella pittura e finalmente ho trovato il tempo per farlo e proporvelo.

Il vino sin dall’antichità è stato molto più di una semplice bevanda: è simbolo di vita, di convivialità ma anche di sacralità. Nelle arti figurative la sua presenza attraversa secoli, culture e stili assumendo significati diversi a seconda dei contesti, rappresentando la gioia, l’eccesso, la sensualità e anche la spiritualità nel farsi rito sacro e trascendente.

Nei mosaici romani è connesso al culto di Dioniso o Bacco, divinità dell’ebbrezza, culto  che attraverso  riti augurali e propiziatori rimanda ad una rinascita e ad una rigenerazione; ma è attraverso il cristianesimo che il vino come simbolo del sangue di Cristo, assume una valenza differente diventando segno di redenzione sacrificio e pentimento. Nei cicli pittorici medievali e rinascimentali  il calice di vino rappresenta il momento in cui   la materia si fa spirito e   l’opera che  più lo rappresenta è senza dubbio “ L’ultima Cena “ di Leonardo da Vinci  dove il vino occupa una posizione di particolare rilievo. Nel tardo Quattrocento il tema dell’ultima Cena era già stato trattato dal Ghirlandaio e dal Perugino ma Leonardo nel collocare la figura del Cristo  al centro prospettico della composizione e concentrandosi sulla tensione emotiva dei protagonisti, sceglie piccoli calici, appena visibili e trasparenti disposti sulla tavola come segno di condivisione  e comunione; il vino nel dipinto di Leonardo diventa così il motore simbolico della scena, infatti come l’uva fermentata si trasforma in vino, il vino a sua volta diventa metafora del sacrificio eucaristico.

Esiste anche un’opera più contemporanea “ The Sacrament of the last Supper” di Salvator Dalì, conservata presso la National Gallery of Art di Washington dove “l’ultima cena “ è inscritta in una figura geometrica a 12 facce che simboleggiano i 12 apostoli  con al centro la figura del Cristo  e  dove il vino sul tavolo in un bicchiere  diventa il ponte tra visibile e invisibile, tra fede e conoscenza. Il vino in questa rappresentazione è più di una semplice bevanda, non ha il tipico colore rosso che troviamo in altri quadri ma è luce, energia che si trasforma. Notare i discepoli disposti simmetricamente e con il capo abbassato in preghiera  in un contesto di  rigore compositivo pronti a quella trasfigurazione di cui il vino è simbolo.

Altro tema che ha come protagonista il vino  è il Miracolo di Cana dove l’acqua viene trasformata in vino diventando  metafora dell’alleanza tra l’uomo e la divinità; il più celebre trai dipinti dedicati a questo episodio del Vangelo lo si deve al Veronese. Il “Convito di Cana” rappresenta un sontuoso banchetto  dove il vino è l’elemento più importante della scena e dove gli elementi che lo evocano guidano l’occhio dello spettatore verso il momento della trasformazione, travalicando il racconto evangelico e diventando simbolo universale.

Il vino poi diventa strumento della provvidenza e l’ebbrezza condizione necessaria nei dipinti di Orazio Gentileschi che hanno come tema “ Lot e le figlie” Il Gentileschi dipinse due opere su questo tema ed  entrambe le versioni mostrano le due fanciulle vigili spettatrici del rogo di Sodoma all’orizzonte mentre il padre giace addormentato. La luce calda che avvolge le figure e che è tipica della tavolozza del Gentileschi  amplifica l’ambiguità tra inganno, perdita del controllo seduzione e  dolcezza come del resto   nella  doppia natura del vino. Il vino quindi come mezzo  del peccato ma anche strumento della provvidenza divina.

Anche la figlia Artemisia Gentileschi affrontò il tema biblico di Lot e le sue figlie ma  Artemisia ne dà una lettura più femminile; nel dipinto si vede una brocca e una coppa ben in evidenza, Lot è visibilmente ubriaco e grazie al vino le figlie, donne di una società patriarcale, prendono il controllo della situazione.

Il  racconto biblico di Lot e delle sue figlie ha colpito  la fantasia di molti altri pittori,  Giovanni Francesco Guerrieri  Albrecht Altdorfer, Jan Muller, Otto Dix e tanti altri  ma   il più noto è sicuramente Marc Chagall.   Chagall incise  l’ottone di Lot  per un progetto di Bibbia che non vide mai la luce e nonostante un   linguaggio diverso  rispetto alla tradizione classica e barocca, questa incisione mantiene tutta la sua potenza simbolica e spirituale. Il vino come bevanda per dimenticare anche tutti gli orrori del mondo non solo la distruzione di Sodoma per Lot  ma anche tutti  gli orrori del suo tempo, l’incisione fu infatti realizzata nel periodo 1930-1939 in pieno delirio nazista.

Parlando di vino nella pittura un posto di eccellenza lo detiene  il  “Bacco” del Caravaggio, oggi alla Galleria degli Uffizi a Firenze, opera enigmatica che rappresenta una svolta nel modo di intendere il mito classico e la simbologia del vino. Il dipinto raffigura un giovane Bacco, paffuto, incoronato d’edera svestito con una coppa di vino in mano. In questo dipinto Bacco con il calice in mano che sembra offrilo allo spettatore,  suggerisce  il piacere dei sensi e  la stessa luce caravaggesca che si riflette  in ogni particolare restituisce al vino la sua sfera terrena. Accanto al Bacco adolescente Caravaggio dipinse anche il Bacchino malato, con il grappolo d’uva in mano, pallido e con le labbra livide, dove il vino diventa simbolo della decadenza e della fragilità umana; una riflessione forse autobiografica sulla vita, la malattia e la morte.

Bacco  come soggetto pittorico fu  dipinto anche da Rubens ; Bacco con la coppa del vino in mano, nudo e piuttosto abbondante nelle forme è un inno alla carnalità, espressione dell’ebbrezza positiva, i tempi sono cambiati e tutto trasmette una vitalità sensuale e barocca. Rubens dipinse varie versioni e la più nota è quella del Louvre.

L’ebbrezza è evidente nei corpi e nell’energia del movimento, il vino luccica con riflessi caldi e si confonde con le figure.

Anche un suo allievo  Antoon Van Dyck si cimentò in un dipinto dove il vino è  il motore dell’azione, si tratta del “Sileno ebbro” .La mitologia  ci racconta che Sileno era il precettore di Dionisio e Van Dyck ce lo rappresenta completamente ubriaco sostenuto da ninfe e satiri; in questo dipinto il vino allude alla perdita di controllo, alla vanità del piacere ,al destino fragile dell’uomo.

Della fragilità umana ci parla anche il quadro di  Jacob Jordaens un pittore fiammingo  del XVII secolo in un dipinto che ha per titolo “ Il re beve”. Il titolo fa riferimento ad una festa molto popolare in Olanda  durante la quale si eleggeva un re tra i commensali e gli altri dovevano bere al comando del re. In questo dipinto il vino è centrale, è allegria,  convivialità ma anche  eccesso, dissolutezza e il pittore nel ritrarre questa allegra combriccola sembra oscillare tra moralismo ed umorismo.

In questa rassegna non può mancare una tela emblematica parlando di vino nella pittura e precisamente  il quadro “ Il giovane degustatore” di Philippe Mercier, pittore francese naturalizzato inglese. Nel dipinto il vino incarna la gioia di vivere  la ricerca del gusto e del piacere  raffinato del palato, dove degustare, come del resto ci hanno insegnato, significa riflessione non per ubriacarsi ma per capire.

Facciamo ora  un salto all’Impressionismo con una delle opere più rappresentative di Manet, “ Le  bar aux Folies Bergere” Con questo quadro facciamo un salto nella modernità. Il quadro raffigura una barista  in piedi dietro ad un bancone  di un locale e davanti a lei bottiglie di vino e champagne sulla sinistra e altri liquori a destra birre comprese. In questo dipinto il vino ha un significato simbolico e sociale, ci riporta a quella che era la vita mondana nel 1880; fa da contrasto al vino come simbolo di lusso e spensieratezza lo sguardo assorto e triste della barista.

Un altro dipinto in cui il vino è protagonista è “Au cafè” di Leonard Tsuguharu Fouijta, pittore giapponese naturalizzato francese e attivo a Parigi negli anni 20. Nei suoi quadri il vino è un elemento di quotidianità parigina oltre che simbolo di piacere. Sul tavolo compare un bicchiere mentre alle spalle un cameriere serve altri commensali portando una bottiglia, e la donna rappresentata con uno sguardo pensante e malinconico forse cerca nel  vino un ristoro alla sua solitudine. In questo tela l’artista attraverso  il vino osserva la vita parigina di quegli anni fondendo la delicatezza giapponese con la sensualità europea.

Uno degli artisti che del vino fece  un elemento ricorrente è sicuramente  Toulouse-Lautrec. Il vino nei suoi quadri  è il simbolo della boheme e della decadenza di fine Ottocento, segno di marginalità del soggetto, della sua disillusione nei confronti della vita, alcune volte però diventa rituale sociale, lusso moderato momento comunitario. Un celebre disegno di Lautrec e un  quadro dal titolo” Pranzo a casa del signori Natanson” sono esplicativi del suo mondo pittorico.

In questa panoramica non possiamo dimenticare una quadro straordinario: “ La vigna rossa” di Vincent van Gogh dove vino vigna e raccoglitori sono fusi in un significato profondo che va oltre la scena agricola rappresentata.

Siamo già nella vendemmia, in quella fase della raccolta dei grappoli che andranno  poi alla diraspatura e pigiatura per proseguire poi con la fermentazione la svinatura e l’affinamento, in questo senso il quadro rappresenta la fine di un ciclo naturale e l’inizio di una trasformazione frutto di lavoro fatica e sacrificio.

Con Van Gogh si conclude questo articolo sul vino nell’arte pittorica, articolo che non è esaustivo, in questo dialogo continuo tra vino e arte si riflette la stessa essenza della condizione umana, effimera ma anche intensa; ogni artista ne ha colto un significato diverso e a noi  non resta che dire che tra un sorso e un tratto di pennello l’arte va sempre in ebbrezza.

ROSAMARIA SORGE