Come Eravamo- Italia – Brasile 1970

di MARIA ZENO ♦

Una premessa: questa non sarà una cronaca sportiva tecnicamente informata , ma il ricordo di una bambina all’epoca di 13 anni che , amante del calcio, solo pochi giorni prima era rimasta folgorata, come quasi tutti gli Italiani, dall’epica vittoria sulla Germania ( 4-3, indimenticabile, iscritto di diritto nell’epica del calcio).

Dunque: 21 giugno 1970, la finale del Campionato Mondiale, si assegnava la Coppa Rimet ( andava di diritto in modo definitivo a chi avesse vinto il Campionato per tre volte anche non consecutive).

Ecco la (non) cronaca della partita, pesco dai ricordi, necessariamente filtrati dalla giovanissima età, ma li riporto come li sento.

Dunque: le amichette mie uscivano quel pomeriggio, complice anche la partita che teneva a casa i padri ed allentava un po’ i vincoli del controllo. Io no, non avevo molti vincoli, i miei si fidavano, fino a prova contraria e godevo di una libertà all’epoca non comune. Per carità, niente di che, ma insomma uscivo tutti i pomeriggi, strusciavo per il Viale e tornavo a casa nel tardo pomeriggio. Quel giorno non esco: c’è la finale!

Mi piazzo al tinello, con un gelatino davanti ( lo ricordo: una coppetta limone e fragola) e ben presto il pomeriggio diventa un dramma. Gioisco al pareggio molto temporaneo di Boninsegna ( il mio Bonimba, nerazzurro!), ma pur essendo molto giovane, grazie alla mia abitudine di guardare le partite, mi accorgo che i valori in campo erano molto sbilanciati, a favore del Brasile. Mi veniva a tratti il mal di testa, non per lo sfocato bianco e nero delle televisioni dell’epoca ( quello era il target e gli occhi lo percepivano come ottimale), ma per le carambole gioiose ed incontrastate dei Brasiliani, sopra tutti il grande Pelè!

Ben  presto la coppetta di gelato mi si mise come peso insopportabile sullo stomaco, il 4 a 1 era non altrimenti leggibile: avevamo perso, probabilmente lo stress fisico e non solo contro la Germania aveva avuto il suo peso o forse, più fondata ed onesta ipotesi, il Brasile era un’altra cosa.

Tristi i tifosi italiani ammainarono le bandiere, tutti , meno uno…Il pomeriggio successivo un ragazzino sui 10 anni passava per via Annovazzi trascinando un tricolore più grande di lui; il ragazzino urlava :” Ehò ehò, ci danno la coppa a noi!!! “. Strade deserte, era il primo pomeriggio di una già calda estate, le giornate lunghe del solstizio. Si affaccia mio padre dalla finestra e apostrofa il ragazzo:” Ninè, che succede?!” ; apro parentesi: nel linguaggio affettivo romano-civitavecchiese dell’epoca i maschietti di cui non si conosceva il nome si chiamavano Ninetto (Niné) e le femminucce Ninarella (Ninarè). Riprendo; il bambino alza gli occhi verso la finestra e risponde, agitato e felice a mio padre :” Erano drogati, je levano la coppa!” e mio padre, ben altrimenti consapevole risponde :” Ninè, vattene  a casa, erano drogati di bravura…”.

E io aggiungo,  mentre il ricordo affiora veicolato dal bell’articolo odierno di Stefano, appena letto, che mi ha sbloccato un ricordo…aggiungo : Droga? Pelè! Quello sì davvero un calciatore stupefacente. E in fondo in fondo per la vittoria del Brasile non soffrii più di tanto ( mi facevano peggio le sconfitte dell’Inter): erano divinità del calcio, i Brasiliani, in fondo meritavano l’ammirazione di tutti i calciofili del mondo.

MARIA ZENO