DOSSIER BENI COMUNI, 110. IL RIPORTO

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

Credo che la caccia, i cacciatori e i cani da caccia siano ancora molto diffusi, anche se si tratta di uno “sport” lontano dalle mie frequentazioni. Penso che ancora oggi vi siano comitive di cacciatori che partono per alcune località, anche lontane nel mondo, al solo scopo di esercitare questa che loro ritengono un’arte. Ma qui, adesso, mi vengono in mente quelli che ho conosciuto personalmente, e che sono scomparsi da tempo. Mi riferisco a cacciatori “alla buona”, cacciatori domestici, pure piccoli “cacciatori di frodo”, perché sparavano in tempi o in luoghi vietati, ma non facevano gravi danni: la “selvaggina” nel “carniere” al rientro era poca cosa, più che nei fatti, era nei loro racconti che le sparavano grosse.

Parlo dei tempi delle mie vacanze scolastiche trascorse in Sicilia, sull’Etna. Nei miei disegnini di allora, le immagini di cacciatori, cioè di uomini col fucile a tracolla, sono abituali, perché lo erano nell’ambiente in cui vivevo nelle vacanze, quei paesi intorno al vulcano, e mi colpivano perché naturalmente, nel resto dell’anno a Roma, non ne vedevo, a parte i militari di guardia ai palazzi intorno alla casa di via Nazionale, quello del Viminale, del Quirinale, il Ministero “della Guerra”. Tra quei numerosissimi cacciatori, c’era anche lo Zio Nino, l’imponente fratello di mia nonna Grazia, e ne ho fatto innumerevoli caricature. Ultimo (1873-1962) dei sei figli d’una coppia di sposi agiati di Paternò, dei quali il primo era il sacerdote don Mariano, canonico e celebrato predicatore (1854-1931), viveva prevalentemente nelle sue proprietà alla quota dei vigneti sulle pendici della Montagna, in una grande casa di campagna fornita di abitazione padronale, vari locali, magazzini, palmento per la vendemmia e cappellina. Si muoveva con una Fiat 1100 guidata da una specie di “attendente”, era spesso in giro tra la casa e il paese per affari, incontri e faccende diverse, e veniva con ritmi settimanali a trovare la più anziana sorella e noi nipoti e pronipoti.

Lo vedevo circolare – come del resto molti altri in quei paesi – tranquillamente armato, con il fucile (la doppietta in legno pregiato con parti decorate da incisioni e intarsi) sulla spalla, una cartucciera intorno alla vita e un’altra di traverso sulla spalla, la coppola in capo ed un abbigliamento poco sportivo, con tanto di giacca e gilet anche in estate. Quando lo si andava a trovare “chez lui”, dda iddu, a’ sa casa, era d’obbligo una passeggiata lì intorno, per compiacersi dello stato florido della vigna o del “carico” degli ulivi, sempre in compagnia della doppietta pure carica (non saprei di che tipo di cartucce) e d’un paio di cani, che erano di quei bellissimi cirnechi di cui ho scritto altre volte. Allora, capitava che camminando, lentamente, all’improvviso, si sentisse qualche rumore, che so… degli squittii, uno zigàre acuto, un fruscio trascinato o un batter d’ali veloce e subito lo Zio, rapidissimo, impugnava l’arma e l’imbracciava, puntandola in direzione del rumore, per così dire, verso l’alto o verso un punto basso, laggiù, fermandosi poi per qualche secondo in quella posa, quasi sempre senza far partire un colpo. Solo un paio di volte, se ben ricordo, ci fu lo sparo, anzi doppio, in rapida sequenza. Una volta non ci furono vittime: il coniglio selvatico sparì nella macchia, tra le ginestre, indenne. Un’altra volta, invece, i pallini giunsero a segno ed un povero volatile piombò a terra, dando il via ai cirnechi, che correndo lo raggiunsero abbaiando ed uno di loro lo prese tra i denti, tornando indietro a deporlo nella mano protesa di Zio (fiero della sua mira e della “bella figura” fatta con noi).

Infatti, i Cirnechi dell’Etna sono cani “da riporto” (con termine inglese si dice “retriever”) ed io ho scritto tutto questo lungo preambolo solo per arrivare qui, a scrivere queste parole. Ma intanto, aggiungo pure che io, personalmente, con fucili “veri”, da caccia (e in casa dei nonni siciliani ce n’erano, benché nonno Francesco non li usasse, come c’erano quelli lunghissimi, ad avancarica e con tanto di baionetta, appartenuti ai bis- e trisnonni patrioti), più che a qualche pala di fico d’India non ho sparato e l’ho fatto quando capitavamo in quella proprietà familiare – nota ai Lettori fedeli – che si chiamava la Pantaforna. Devo dire che non solo non ho cacciato, ma neppure (e forse questo ai Lettori di Civitavecchia risulterà più grave) neppure pescato in alcun modo né con la lenza, né con la fiocina, né con il fucile da sub e neppure con le mani. Però sono solito apprezzare, se ben cucinate, sia le vittime della caccia sia quelle della pesca e anche quelle della raccolta.

Scritte e pronunciate mentalmente le parole «cani da riporto», posso annunciare più serenamente che questa volta, in questa puntata, farò proprio da cane da riporto, nel senso che dopo essere andato “a caccia“ di parole, frasi, concetti e notizie, ora le “riporterò“ qui in questo articolo senza altra manipolazione, con pochissima fatica.

Giorni fa, l’amico Livio Spinelli, una volta tanto, non mi ha chiesto notizie della «cattedrale ariana di Centumcellae» e mi ha comunicato, invece, di aver scoperto la comune amicizia con Lucilla Rami. È vero, con Lucilla Rami Ceci, antropologa culturale docente dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli e della Sapienza di Roma, ci siamo conosciuti molti anni fa per uno studio sulle località termali italiane, che la portò ad interessarsi del mio piano urbanistico e paesaggistico per la Zona Turistico-Termale del Comune di Civitavecchia del 1990 di cui aveva avuto conoscenza tempo prima. Ne scaturì un suo paper dedicato all’illustrazione del progetto ed alla valutazione dei risultati delle iniziative comunali, che presentò ad un simposio i cui atti furono pubblicati nel 2012 (nota 1).

In seguito, ci siamo ancora frequentati perché mi chiese la disponibilità a collaborare allo svolgimento di un Master di Alta Formazione in Beni culturali (Master in Metodi e Strumenti per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali) che stava organizzando presso la Pontificia Università Salesiana. Aveva pensato ad una mia partecipazione relativamente alla materia “Antropologia e Architettura del paesaggio” ed io le inviai infatti una mia bozza di programma. Il Corso non ebbe seguito per il diverso orientamento del Senato Accademico e della Facoltà di Lettere classiche. Poi il tempo è passato senza ulteriori contatti tra noi, pur continuando io, di tanto in tanto, a sfogliare qualcuno dei suoi libri nella mia biblioteca, quando avevo bisogno di confrontarmi su alcuni argomenti, come La città, la casa, il valore e soprattutto Sassi e templi, dato il mio interesse, alimentato da studi e soggiorni, per luoghi “antropologici” come i Sassi e la Martella di Matera, Petra e il Wadi Rum in Giordania ed altri ancora.

Ora, vedendo la copertina del nuovo libro edito nel 2023 (Cammini, I racconti dell’altrove, Armando Editore), che Livio mi mostrava su WhatsApp, dicendomi che vi ero citato, mi sono affrettato a ordinarlo alla libreria dell’Auditorium. Ed eccolo, finalmente nelle mie mani il libro della professoressa Lucilla, con quell’immagine di copertina così simile alle tantissime fotografie che ho scattato nel 2010 a Paola quando ci siamo ritrovati nella magica atmosfera delle gole di Petra, soli al tramonto dopo la chiusura al pubblico, a ritornare lentamente verso il nostro albergo. Mi affretto anche a telefonare all’Autrice, al numero che ancora conservo nella rubrica del cellulare, che a sua volta riconosce il nome che le appare e mi saluta con un «Francesco! Che grande piacere risentirla!»

Sfoglio il libro, pagina per pagina, cercando di cogliere con lo sguardo parole che riguardino la citazione di cui mi ha parlato Livio ed arrivo così alla pagina 117, al capitolo 8 dal titolo «Notte alle Terme». L’autrice parla di quando, nel 2012, dopo gli anni di ricerche in Giordania in attuazione del Protocollo con la University of Jordan di Amman, aveva scelto di occuparsi delle terme antiche in siti archeologici restaurati, resi dunque accessibili.

«Provai ad organizzare una mappatura delle fonti termali in Italia. Colleghi specializzati in sociologia del turismo avevano pubblicato studi su molte di esse. Dai nostri monti ricchi di minerali sgorgano acque preziosissime. Analizzando il processo di valorizzazione di un sito termale a nord di Roma, riconobbi questa polisemia del paesaggio. Si tratta di un paesaggio marino eppure nell’antichità le terme erano state volute da un imperatore romano proprio lì dove sgorgava miracolosamente, in mezzo alle colline dell’entroterra, un’acqua salubre. Ricordavo vagamente a nord di S. Marinella una pozza d’acqua calda in mezzo ai cespugli dove andavamo a bagnarci da ragazzi di sera al primo fresco di settembre quando eravamo in vacanza. Stabilii con le Soprintendenze i primi contatti per approfondire come questo antico sito era stato valorizzato o al contrario trascurato nel passato e quali interessi ruotavano intorno a esso. Documentandomi, con sorpresa notavo quale evoluzione aveva avuto negli ultimi decenni in Italia e in Europa il settore del turismo termale. In particolare laddove questa risorsa è affiancata ad antiche strutture si può dare vita a poli di recettività e benessere favorendo quel turismo culturale sul quale stavo lavorando da anni. La Soprintendenza, organismo generalmente piuttosto chiuso alle innovazioni, cominciava a comprendere la necessità dell’intervento di differenti competenze nel valorizzare questi contesti. Le amministrazioni locali dovevano, dal canto loro, impegnarsi a leggere nello sviluppo turistico dell’area, uno degli obiettivi del loro programma politico, riconoscendo la ricchezza del paesaggio. Civitavecchia, città a nord di Roma spesso sottovalutata per una sua proverbiale “bruttezza urbanistica” ha nel porto la sua maggiore risorsa.»

L’autrice scrive alla giovane nipote, Isabel. Le spiega che a Civitavecchia approdano navi da crociera provenienti dai porti del Mediterraneo Fanno scalo un giorno o due per consentire ai turisti di passaggio di raggiungere Roma per la consueta visita alle antichità della Città Eterna. «L’area circostante, la sua storia, i resti degli antichi insediamenti romani vengono completamente ignorati. Ci si stava rendendo conto che lo sguardo di un singolo esperto non sarebbe stato in grado di restituire per intero il valore e la fruibilità di quel paesaggio per troppo tempo ignorato. In poche parole l’antropologa si metteva alla ricerca di storie, storie che avevano avuto a che fare con fonti d’acqua sgorgate in un tempo lontano e che poteva avere ancora un senso raccontare per ridare vita ai luoghi.»

Lucilla Rami, a questo punto, avverte che ricorda queste cose per esigenze del racconto, pur sapendo che il papà ci ha sicuramente portato Isabel, in quel sito archeologico, data la vicinanza alla loro casa di villeggiatura di S. Marinella. «Le Terme Taurine – chiarisce comunque – sono un complesso archeologico romano ben conservato che si trova a poca distanza da Civitavecchia» e qui prosegue con notizie sulle terme, sulla non lontana villa di Traiano, sulle innovazioni come le visite guidate e l’orto botanico, riferendo infine della richiesta giuntale dalla Soprintendente di verificare la possibilità di promuovere il sito turisticamente. Ne parla con il marito, in auto con lei, che le ricorda che proprio lì, alle Terme Taurine, c’erano stati insieme tanti anni prima.

«Tuo nonno – dice a Isabel – molti anni prima aveva preparato la tesi di laurea in architettura sui resti di una villa romana alle porte di S. Marinella. Successivamente con l’ufficio urbanistico del comune di Civitavecchia aveva continuato ad interessarsi della sistemazione di queste aree. Conosceva dunque molto bene il patrimonio archeologico della costa nord di Roma. Per di più come ricordi dalle nostre frequenti discussioni, era sempre ben felice di potermi fare la “lezioncina“!

Si chiede come mai della villa di Traiano non si hanno che pochissimi resti, mentre la struttura delle terme sia repubblicane che imperiali è molto ben conservata e qui dà direttamente la parola al marito Corrado:

«“L’architetto Correnti dell’Ufficio Urbanistico di Civitavecchia, qualche anno fa, mi chiamò per chiedermi se potevo aiutarlo a stendere un progetto di riqualificazione della intera area (nota 2). C’era una gara in corso e rischiavano che il complesso cadesse nelle mani di investitori locali interessati solo al proprio profitto”. Tutta l’area interessata dalle Terme è stata oggetto in vari periodi delle mire di speculatori poco interessati alla valorizzazione della struttura antica, ma piuttosto ad avviare un business turistico di sicuro guadagno. “Siamo alle solite. Comunque non si è mosso nulla in questi anni e la cosa è rimasta in mano alle Sovrintendenze”, gli dissi prevedendo cosa avremmo trovato. “Alla fine, meglio così. Io ero troppo impegnato a Roma in quel periodo e gli risposi negativamente. La risistemazione del grande complesso archeologico è avvenuta solo nel 2002.” “Hanno impiegato più di trenta anni per capire che il complesso può costituire una attrattiva per il turismo!” replicai sconfortata.» Nonostante i piani urbanistici ed i progetti architettonici predisposti egregiamente dal 1990-91, compreso l’allestimento di un Museo delle Terme nello storico Casale dei Bagni! (nota 3)

E qui nonna Lucilla riporta i ricordi del marito, di quando lui, nel 1966, la corteggiava da pochi giorni: erano finiti lassù, davanti al famoso cancello delle antiche terme, e facendosi luce con una torcia erano entrati e lui, furbetto, le aveva promesso, di farle vedere la luna tra le mura che un tempo sostenevano la copertura delle grandi vasche termali.

«Uno spettacolo incredibile con la sfera argentea che si rifletteva nel mare davanti a noi. Mentre con i piedi scivolavamo tenendoci per mano dentro la grande vasca di epoca imperiale», dove ancora le sorgenti davano tanta acqua. Ed è lui a sussurrarle: “Ne approfittai per cingerti la vita e farti sentire al sicuro”.

«La scelta che è stata fatta oggi di valorizzare l’antico sito delle Terme Taurine come Bene culturale della città di Civitavecchia rinnova la memoria storica di una delle più importanti testimonianze che abbiamo dell’esistenza delle Terme in epoca tardo imperiale». In proposito, a Isabel, la nonna racconta la storia di Rutilio Namaziano, così come nonno Corrado, allora fresco di studi universitari in storia dell’architettura, l’aveva sciorinata a lei, come un fiume in piena, arricchendola dottamente delle frasi in latino del poemetto elegiaco.

Finché (e siamo all’attualità del racconto) i due ritornano ancora una volta davanti a quello stesso cancello di allora e ripercorrono le vicende recenti del grande complesso archeologico, dopo i decenni trascorsi, tra i rallentamenti burocratici, i contrasti tra amministrazioni e privati, le ingerenze varie, e però ben restaurato, tutelato da un buon progetto conservativo, certo spogliato delle opere d’arte dell’età imperiale, che però in buona parte sono esposte e ammirabili nel bel Museo Archeologico Nazionale istituito nella Palazzina del Presidio di Clemente XIII.

«I viaggi che ho intrapreso – conclude l’Autrice – mi hanno convinta del fatto che ci portiamo dietro nella nostra stessa esistenza un’alterità assoluta con la quale non vogliamo confrontarci. Questa alterità prende le sembianze di volta in volta dello straniero, del diverso, del nemico, della vecchiaia, della malattia, del passato. L’Antico soffre di questo suo essere localizzato in un tempo e in una dimensione lontani dai bisogni medi del presente. Lontano dalla gente comune. In particolare, le giovani generazioni tendono a situarlo lì, tra le pagine noiose di un libro di storia dell’arte, tra le carte polverose di un archivio, tra le foto di qualche viaggio fatto da genitori e nonni in pochi anni considerate d’epoca, tra i cocci indecifrabili di un museo etrusco.»

Terminato il “riporto” del piacevole libro di Lucilla Rami Ceci, per giunta gradito perché mi fa sentire un personaggio d’un’opera di narrativa, quasi un protagonista alla Montalbano di un’avventura, come in effetti sono stati tanti miei progetti e lavori, molti a lieto fine e alcuni non coronati dal successo della realizzazione. Per questo, avevo in mente un altro “riporto”, che volevo pescare (questa volta) sullo stesso SpazioLiberoBlog della mia rubrica. Un articolo di un amico dell’anno 2016, che avevo letto compiacendomi per la chiarezza, la precisione e la piena aderenza al mio pensiero sull’argomento (il codice comportamentale di un gruppo politico locale) in quel periodo (l’articolo era del 19 ottobre di quell’anno) alle prese con richieste irricevibili di utilizzo improprio di fondi posti sotto la mia responsabilità. Vedo adesso che quell’articolo è scomparso dal Blog, come anche lo stesso nome del suo autore e, quindi, ne rispetto la volontà ed il possibile mutamento di opinioni sull’argomento, sul Blog o sull’apertura a confrontare le idee, astenendomi dal reportage.

Nota 1 – Lucilla Rami Ceci, Archeoturismo. Le Terme Taurine (Civitavecchia) da Patrimonio a risorsa: un caso controverso di valorizzazione del Patrimonio culturale, in Atti della IV riunione scientifica della Società Italiana di Scienze del Turismo (SISTUR), Palermo, 26–27 ottobre 2012, Centro Universitario Studi Aziendali (CUSA) dell’Università di Palermo (a cura di), Quaderni di ricerca economico-aziendale: teoria e casi / 6, ARACNE editrice, Roma, 2012, pp. 179-207.

Nota 2 – La nota 10 della professoressa Rami cita: Correnti F. (a cura di), Obiettivo Civitavecchia, 1943- 1993. Documenti sulla distruzione e la ricostruzione della città nel 50° anniversario dei bombardamenti, Civitavecchia, Comune di Civitavecchia, 1993 (coll. «OC/Quaderni del C.D.U.», XII (1993), nn. 1-4. Idem, Chome lo papa uole. Note per una rilettura critica della storia urbanistica di Civitavecchia, (2 voll.) Cassa di Risparmio di Civitavecchia, Etruria Arti Grafiche, 2005; Civitavecchia, I ed. 1985.

Nota 3 – Il “Piano attuativo paesistico d’inquadramento della zona T.A/Terme Taurine”, esteso all’intero comprensorio e propedeutico ai successivi interventi, è stato approvato con deliberazione del Consiglio comunale n° 146 del 19 marzo 1990, essendo sindaco Fabrizio Barbaranelli e progettista l’architetto Francesco Correnti, progettista e coordinatore anche del successivo “Piano particolareggiato di esecuzione della Zona Turistico-Termale T.A/Terme Taurine” e del “Piano attuativo del comparto B”, con il gruppo di professionisti costituito dal Prof. Arch. Lucio Barbera, dall’Arch. Claudio Maroni e dall’Arch. Patrizia Riccioni.

FRANCESCO CORRENTI